Archivi del mese: Maggio 2007

L'undicesimo piano

Siete di quelli che leggono a letto, prima di addormentarsi? Beh, se passate da New York, fate un salto al Library Hotel, dove le stanze, zeppe di libri, sono numerate in base al sistema di classificazione Dewey. E, mi raccomando, prenotate una stanza all’undicesimo piano!

(In francese, se ne parla qui).

La verità: un esempio

"Dal punto di vista dei filosofi che lavorano nella tradizione inaugurata da Frege, vale a dire i filosofi analitici, è un errore concentrarsi sulla comprensione in questo senso più ampio [in quel senso in cui è compreso come oggetto di comprensione tutto ciò che può essere capito e che pertanto ha significato]. Un dipinto o un componimento musicale colpisce la nostra sensibilità. Può cambiare i nostri atteggiamenti, spesso anche profondamente, o arricchire le nostre emozioni, può perfino portarci a riconoscere come vera una proposizione che avevamo inzialmente scartato, ma di per sé non comunica conoscenza. La conoscenza consiste nell’appresione della verità delle proposizioni, e le proposizioni possono essere comunicate soltanto mediante un linguaggio" (M. Dummett, La natura e il futuro della filosofia, Il Melangolo 2001, p. 21)

Esempio. Cosa significa danzare? Danzare è un’attività abbastanza ampia e dai contorni alquanto indeterminati, e dentro ci stanno un mucchio di cose che non è facile ricondurre a un denominatore comune. Ma poniamo che sia possibile. Vi saranno dunque delle proposizioni vere in cui si dirà che danzare è questo o quello. Poi vedo quel certo quadro di Matisse. Si tratta solo di sensibilità e di emozioni? Oppure posso ridefinire che cosa sia danzare a partire da quel quadro? Perché debbo escludere per principio che un quadro possa dire la verità del danzare, di modo che le proposizioni vere che formerò a partire da quel quadro saranno altre e diverse? Perché devo stabilire per principio che al più sarà un esempio, un caso tra gli altri (o forse nemmeno quello)? E’ chiaro che il quadro non mi darà un denominatore comune, ma non mi è chiara la ragione per cui l’unico modo di dire la verità del danzare è mettersi in cerca del denominatore comune (e questa ricerca, poi, da cosa sarà guidata, visto che viene avviata prima ancora di sapere cosa è danzare?). Perché devo considerare che non sia conoscenza quella che il quadro mi offre? Mi pare chiaro che il quadro non sia una proposizione, ma le proposizioni non cascano dalle nuvole: perché non possono cascare dai quadri (posto pure che la verità debba accadere in forma proposizionale)? Mi pare anche probabile che il quadro mi dirà qualcosa circa il senso e l’essenza del danzare, e dunque si tratterà della verità nel senso in cui per esempio si parla di un vero uomo, cioè di un uomo che sia all’altezza del suo concetto (e non semplicemente della verità minimale, di appartenente alla specie umana), ma perché dovrei escludere a priori che a questa via appartenga qualche verità? Perché escludere a priori che le due vie si intersechino da qualche parte? Forse perché questa verità del danzare sarebbe contestabile, indimostrabile? Ma allora non si tratta di verità, bensì al più di certezza, di conoscenza certa e dimostrata (secondo determinate regole). (E’ peraltro difficile da dimostrare che la verità è quella cosa che deve essere dimostrabile. Si può forse assumere, non dimostrare). Ma allora perché, invece di farne una questione che concerne la verità, la conoscenza o l’arte, invece di dire che è un errore occuparsi di quadri (come fa l’ermeneutica) quando si ha di mirà la verità e la conoscenza della verità, non dire semplicemente che ci si limita a questo o a quello?

Il teorema di Boeckenfoerde

"Il teorema di Boeckenfoerde. L’ultimo numero di Reset, mensile diretto da Giancarlo Bosetti, mette a tema il«famoso» teorema di Boeckenfoerde, teologo tedesco. Esposto nel 1966 e che suona così: «Lo stato liberale è incapace di autogiustificarsi sulla base dei suoi presupposti etici». E perciò ne consegue che avrebbe bisogno di un’altra fondazione, più forte e davvero cogente. E su questo Reset sviluppa il confronto a più voci".

In attesa di leggere su Reset il confronto, leggo l’articolo di Bruno Gravagnuolo. Ora Gravagnuolo cosa obietta? Che quel teorema va bene per ogni cosa: non c’è nulla che si autofondi (salvo Dio), sicché non si capisce perché questa sarebbe un’obiezione contro la democrazia.

Poiché manca l’autofondazione assoluta, non resta che un criterio di fondazione "empirico, storico", che è ciò a cui la democrazia si affida. E al dialogo, anche, che "incorpora procedure e principi laici. In altri termini, la democrazia si autofonda, basta a se stessa, anche quando trascina dentro di sé pregresse eredità religiose" .

L’ultimo passo non è chiarissimo: siccome niente basta a se stesso (niente si autofonda in senso assoluto), la democrazia basta a se stessa (si autofonda come può). Ma così sembra quasi che tutti i regimi siano pari (almeno sotto il profilo considerato): tutti in difetto di autofondazione, tutti chiamati a fondarsi in base a propri principi e proprie procedure.  

Perché allora non fare altri due passi? Il primo: specificare che la ‘superiorità’ delle istituzioni liberal-democratiche sta proprio nei suoi presupposti etici, in ciò che essa presuppone dal punto di vista etico, e che ingloba nei suoi principi e nelle sue procedure. Il secondo (filosoficamente più rilevante): ma siamo poi sicuri che è tutto in ordine nella richiesta di ‘autofondazione’? Siamo sicuri che è una richiesta sensata? Non è che possiamo liberarcene, e liberarcene nel senso non che la soddisfiamo, ma che la respingiamo?

Soluzioni

L’autore della prima riflessione sulla libera scelta che non va bene era il teologo Joseph Ratzinger. L’autore della seconda riflessione sulla libera scelta che non va bene era Slavoj Zizek, Contro i diritti umani, filosofo lacaniano (e leninista).

(Per l’errore, può darsi che ci scriva su un articoletto, e allora rinvio)

L'Italia si annoia

Nel suo reportage In Sarkoland, The New York Review of Books ricorda il titolo apparso su Le Monde poco prima che scoppiasse il ’68: La France s’ennuie. Ecco, nessuno può dire che Sarkozy sia noioso. E la scossa ci voleva, perché è dall’86, dal tempo della coabitazione fra Mitterand e Chirac, che dura la stagnazione: politica e culturale, persino simbolica, prima ancora che economica (simbolica: il Presidente non sta più in carica sette anni ma cinque, come un qualunque primo ministro). (Segue interessante ritratto del Presidente e della Francia).

Beh, e in Italia? Ho l’impressione che la colpa capitale che si vuole imputare al Partito Democratico è che annoia. Dopodiché ci sono due modi di vincere la noia: trovare il senso di un impegno reale, oppure baloccarsi con le novità e i divertissements. A voi la scelta.

Trova l'errore (e l'autore)/2

Continuiamo ad esercitarci sul tema della libertà:

"E’ il motivo per cui, nelle nostre democrazie laiche e liberali, le persone che conservano un forte credo relgioso si trovano in una posizione subordinata: la loro fede viene "tollerata" in quanto scelta personale, ma quando mostrano pubblicamente ciò che essa rappresenta per loro – una questione di appartenenza – vengono accusati di fondamentalismo. Evidentemente, la scelta  libera soggettiva, in senso tollerante e multiculturale, emerge solo come risultato di un processo estremamente violento di sradicamento a ogni particolare ‘mondo della vita’".

Al tavolo

E’ già tempo di consuntivi. Luca Sofri, sul suo blog, spiega cosa è successo da che ha messo l’appello sul blog. Mi devo permettere in spirito di amicizia una piccola osservazione, che per me è un macigno. Luca Sofri scrive:

"Veniamo invece ai risultati che quest’idea – improvvisata, messa per iscritto e discussa in un pomeriggio – si è portata a casa rispetto a ciò che si prefiggeva".

Proprio non capisco. E domando: che l’idea fosse improvvisata, messa per iscritta e discussa in un pomeriggio va considerato un pregio o un difetto di quell’idea? Sembra un pregio (vedete come siete stati bravi noi, in un pomeriggio solo? Quelli là, invece…), e invece è solo infantilismo politico. Sofri intende forse che se ci avessero lavorato su qualche pomeriggio in più sarebbe venuta meglio, e gli aderenti sarebbero stati il triplo? E allora, perché non l’ha fatto? Perché non lavora duro su quella proposta o su qualunque altra cosa serva al PD (e qui dò ragione a Gad Lerner, che dice qualcosa del genere). Perché gli è bastato, perché si è accontentato di improvvisare? Aveva di meglio da fare? E’ comprensibile, è legittimo: ma perché io dovrei apprezzare un’idea improvvisata, neanche fossimo alla Corrida (e comunque in tv, dove appunto vige spesso la regola che non conta quel che sai fare, l’importante è improvvisare)? Io, in verità, sarei piuttosto imbarazzato dall’affidare una proposta politica di rinnovamento di un partito e di non so cos’altro a un’idea improvvisata buttata lì in un pomeriggio. Una sta lì un pomeriggio, butta un’idea sul tavolo e si aspetta che succeda che due partiti dicono giusto, ma che bravi, ora ci facciamo da parte? E’ questa l’idea che Sofri e gli altri hanno della competizione politica, della lotta politica, della vita di partito? E’ così che ci si siede al tavolo? Tre giorni con un appello sul blog? (Se ora qualcuno mi dice che è l’opinione pubblica, mi limito a osservare: ma l’opinione pubblica ha tutto il diritto di giudicare che il PD è una schifezza; non però di meravigliarsi che non basta dare questo giudizio per meritarsi di farne parte!).

(Stasera, per dire, ho partecipato a una riunione di partito in sezione, ed è letteralmente (letteralmente) volato un tavolino, uno di quelli su cui una volta i vecchi compagni di partito giocavano a carte: dall’assessore al capogruppo, compagni di partito e di maggioranza. Con contorno di offese infamanti (tu fai affari; tu cambi tessera ogni tre mesi; tu sei in malafede; tu sei disonesto). Io volevo alzarmi e buttare lì una proposta molto ideale, molto nobile, ma volavano i tavolini, e ho desistito)

Filosofia politica e partito democratico

Cito interamente, a proposito dell’appello di luca sofriquesto post da brodoprimordiale:

"In Italia ci sono 31.234.564,3 mancini. Trentunomilioni di mancini. E chi rappresenta i mancini nel PD? Ve lo dico io: nessuno. Eppure – come noto – i mancini possono essere degnamente rappresentati solo da altri mancini (ovviamente, i mancini possono militare solo in un partito di sinistra). Quindi, per cortesia, mettete dieci mancini nel komintern del PD. Please, please, please. Suggerirei: roberto mancini, claudia mancina, antonio mancini, alberto mancini, francesco mancini, umberto mancini, carla mancini, ottavio mancini, norberto mancini, pierluigi diaco".

Poi vedo che Omar Calabrese ha molto da ridire sul modo in cui sta prendendo forma il Partito Democratico. Io non ho difficoltà a pensare che il Partito Democratico meriti tutte le critiche del mondo, ma trovo straordinario che qualcuno potesse pensare che un partito nuovo, che nasce tuttavia dall’incontro fra partiti già esistenti, potesse affidarsi "a poche persone competenti e autorevoli" perché "redigessero un manifesto politico e una carta costituente, e la sottoponessero poi al giudizio delle segreterie dei partiti, dei movimenti, delle assemblee degli eletti fino a giungere a una piattaforma di contenuti condivisi". Ma com’è possibile che Calabresi pensi che quel che manca al Comitato Promotore sono "persone in grado di leggere e scrivere un progetto di filosofia politica"? Ma com’è posibile scrivere che non si vogliono enunciazioni astratte del tipo del Manifesto dei Dieci, e immaginare processi che più astratti non si può?

Trova l'errore

Se il valore morale di un’azione dipende essenzialmente dall’intenzione, se in coscienza io penso di fare il bene, se sono nazista e seguo scrupolosamente per tutta la vita quel che in coscienza, con assoluta certezza, mi sembra che sia bene, andrò in Paradiso? La mancanza di scrupoli, di dubbi, mi giustifica? O mi condanna?

(E se la libertà di coscienza è un bene assoluto e intangibile, bisognerà solo evitare che il nazista di sopra faccia del male agli altri, senza pretendere di correggere le sue convinzioni? Questa pretesa sarebbe odiosamente autoritaria?)

(Manca il link, lo metto dopo)

Ma il dato naturale da solo non basta

Solo per il link all’articolo su Il Mattino, preannunciato qui (grazie a finOcchio che l’ha ripreso nel commento)

Pazienza

Uno dei maggiori filosofi francesi viventi, Jean-Luc Marion, cattolico, viene sentito da Le Figaro sul Gesù di Joseph Ratzinger. E Marion cita un passo di Giovanni (1,18: "Dio, nessuno lo ha mai visto. Ma il Figlio, che è nel seno del Padre, ne ha fatto l’ermeneutica" – il testo che noi solitamente leggiamo dice: "ma lui lo ha rivelato"), che mi aveva molto colpito quando lo trovai in Dio senza essere (bel libro). Perciò vi linko l’intervista (doppia, con Philippe Sollers, in francese).

Marion dice che intendere i Vangeli è comprendere perché Gesù fu crocifisso. E Gesù fu crocifisso perché era intollerabile (per certi ebrei e in un certo senso per ogni uomo) che Dio si fosse fatto uomo. Fosse stata solo la sua dottrina, fossero state solo le sue parole, non sarebbe stato crocifisso (e basterebbe la fioritura dell’umanesimo per venirne a capo).

Non so. E’ ovvio che si possono trovare molte ragioni (storiche, politiche, teologiche) del perché Gesù fu messo a morte. Il credente deve forse escludere per fede che fossero sufficienti? E davvero la fede cristiana si costituisce come tale senza l’evento pasquale tutto intero, cioè morte e resurrezione? Oppure la resurrezione soltanto dimostra che Gesù era veramente Dio fatto uomo? In effetti Marion dice alla fine proprio così: che "l’originalità radicale di Cristo non è la denuncia della morte o della sofferenza, ma il fatto di vincerle con la Resurrezione". Ma allora la cosa cambia. E se solo la resurrezione dimostra l’umanità di Dio e la divinità di Cristo, prima che risorgesse Gesù non poteva essere messo a morte per ciò che solo la morte e la resurrezione avrebbero dimostrato.

Ma essi non potevano neanche ammettere che fosse possibile. La sola possibilità era più grande di ciò che potevano sopportare. Quindi, anche in mancanza della resurrezione, cioè senza dimostrazione (senza rivelazione), crocifissero Gesù. Ma questo cosa vuol dire, che pensavano di dimostrare il contrario, con la morte di Gesù? Ecco, vedete, è morto: costui non era il Figlio di Dio. Ma se ciò che temevano era il fatto che fosse un Dio fattosi uomo, non doveva quest’uomo morire comunque? Misero a morte Gesù per impazienza, perché non ebbero la pazienza di aspettare che morisse di vecchiaia? Fosse morto di vecchiaia, non avrebbero potuto dire uguale (anzi, a maggor ragione): "ecco, vedete, è morto: costui non era il Figlio di Dio"? Se ciò che temevano era che fosse Dio fatto uomo, se ciò che non potevano ammettere era che fosse Dio fatto uomo, avevano forse da temere la resurrezione, e mettendolo a morte certo non la impedivano. (E ovviamente Marion non può intendere soltanto che fu messo a morte per la ragione troppo umana della bestemmia, per aver bestemmiato Dio essendosi detto il suo Filio unigenito).

(Io, poi, sono una persona paziente, e per questa via, l’evento della morte e resurrezione di Gesù non ha alcun senso per me). (E quanto alle ragioni in genere: per me, non c’è nulla che non sia inutile che possa avere valore teologico).

2+2=4

Quello che segue (Il vero rischio è abolire la distinzione tra i sessi), è l’intervento di Filippo Vari ospitato da Il Mattino ieri. Fortuna ha voluto che il giornale mi abbia consentito di replicare, in 2500 battute ("una fucilata, mi raccomando!"). La risposta sarà online dopo le 14, non so in qual pagina. Ma intanto, perché conosciate la materia del contendere…

(Avviso: leggo la citazione di Chesterton che apre l’articolo – che diamine!, due più due fa quattro, e insomma almeno i dati elementari della realtà! – leggo la citazione un giorno sì e l’altro pure, e soprattutto non passa giorno senza che illustri opinionisti come Luigi Amicone mi impartiscano la grande lezione del realismo cristiano (perché i laici, invece, relativisti e nichilisti, farebbero scandalosamente evaporare la realtà). M’è costato qualche centinaio di caratteri, ma ho dovuto per forza cominciare di lì, da 2+2=4, e da chi ne fece una divisa, prima di Chesterton: l’impenitente Don Giovanni. Ma: a più tardi):

FILIPPO VARI * In un saggio del 1905, Chesterton profetizzava l’avvento di un’era nella quale, proseguendo «la grande marcia della distruzione intellettuale», tutto sarebbe stato negato, anche che «due più due fa quattro». Le vicende relative all’introduzione di un riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali in Italia sembrerebbero dimostrare che questa era è giunta. Infatti, le forti resistenze all’introduzione, nell’ordinamento italiano, di un riconoscimento pubblico delle convivenze omosessuali, sotto la forma dei Dico, hanno spinto i sostenitori di una tale posizione a scegliere una tattica meno frontale, ma ancor più insidiosa e mistificatrice. In numerosi disegni di legge si annida un tale riconoscimento di queste unioni non in forma espressa, bensì mediante un richiamo alla cosiddetta ”ideologia del genere”. Di cosa si tratta? Come noto, in natura le persone sono o uomini o donne. L’ideologia del genere o del gender parte dal presupposto che il sesso non costituisca un carattere naturale, bensì un’opzione culturale, cioè una ”libera” scelta di ciascuna persona. Le conseguenze di un tale approccio sono quanto mai pericolose. Infatti, se il sesso è un’opzione culturale, si può scegliere liberamente a quale appartenere. Una volta affermata tale possibilità, ne discende direttamente, e senza passare per alcuna battaglia culturale, l’introduzione del ”matrimonio” tra persone dello stesso sesso: è sufficiente che uno affermi di essere del sesso opposto rispetto a quello del partner per poter chiedere il matrimonio. L’ipotesi, seppur a prima vista poco realistica, ha trovato, invece, concreto riscontro in Spagna, ove è possibile cambiare sesso sulla base di una dichiarazione all’autorità costituita e, come noto, contrarre matrimonio con una persona dello stesso sesso. In Italia, cominciano ad affermarsi i primi tentativi di introdurre tale ideologia. In numerosi disegni di legge, che disciplinano materie che con le unioni omosessuali non c’entrano nulla – si pensi, ad esempio, al disegno di legge recante «Delega al governo in materia di riordino degli enti di ricerca» – in qualche comma destinato a passare inosservato si cerca di inserire riferimenti ”all’eguaglianza dei generi”. A fronte di tali tendenze va ribadito, da un canto, come lo stesso diritto positivo italiano conosce esclusivamente la distinzione tra uomo e donna e non altre artificiose catalogazioni: si prenda, ad esempio, l’articolo 51 della Costituzione, di recente modificato, che stabilisce «la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». D’altro canto, è evidente il regresso di una società che, allontanandosi dalla tradizione e dalla realtà naturale, chiede ai bambini, come avviene negli ospedali scozzesi, di non parlare più di ”mamma” e ”papà”, ma dei loro ”tutor” o ”guardian”. * Professore associato di Diritto costituzionale Università europea di Roma

Vai col liscio

Caro blog, è finito il seminario napoletano su Spinoza, nel corso del quale ho fra le altre cose sostenuto che: ha un bel parlare Spinoza di idee al plurale, dalla prima (o quasi) all’ultima riga del libro, ma in fondo pensa che l’idea è una; ha un bel parlare Spinoza di idea ideae, ma in fondo pensa che una cosa così non esiste; ha un bel parlare Spinoza di infiniti attributi della sostanza, ma in fondo pensa che uno, cioè due (ma proprio per dire che non è uno); ha un bel parlare Spinoza di terzo genere di conoscenza, ma in fondo pensa che non è nemmeno una conoscenza, figuriamoci se viene per terza; ha un bel dire Spinoza che l’essenza di ogni cosa singolare è il conatus, ma in fondo sa che questo non spiega un bel nulla; ha un bel dire Spinoza che tutto procede secondo necessità, ma in fondo pensa che quel che c’è, siccome c’è è necessario, e non c’è perché è necessario; ha un bel parlare di eternità, ma proprio sotto specie di eternità sperimentiamo la nostra finitezza. E la finitezza, quella, si espone all’inizio e nulla sa della propria fine (sennò, che finitezza è?). Carlo Sini dice che la sostanza è l’accadere del modo, e allora io mi prendo, in finale, il ghiribizzo di dire che il modo dell’accadere è sostanziale, e così sia.

Orbene, se ci fossero stati spinozisti incazzosi, non me ne avebbero fatta passare una, testi alla mano. Ma gli spinozisti incazzosi non c’erano, e tutto è andato sin troppo liscio. 

Storia e geografia

Sempre sul filone spazzatura, non posso non segnalare l’articolo di Gian Antonio Stella sul paesotto  a una manciata di chilometri dai cumuli di spazzatura: Mercato San Severino (in verità, se n’era già occupato Report). Il paesotto è a meno di una manciata di chilometri dal paesotto in cui vivo io, ed è Copenaghen pure questo: raccolta differenziata, e niente cassonetti della spazzatura, salvo la raccolta del vetro (c’è una piccola complicazione con i pannolini, che non vengono raccolti ogni giorno, oppure sì, non ricordo, ma in ogni caso in apposite buste distribuite in numero inferore alla capacità produttiva di mio figlio: ma son sciocchezze). Tra Mercato San Severino e Baronissi c’è Fisciano, dove ha sede l’Università di Salerno, e neanche lì ci sono i casonnetti (salvo nell’Università di Salerno). Insomma, com’è verde questa Valle (dell’Irno). Mercato San Severino, infine, ha pure la premialità (chi raccoglie meglio paga meno), noi no.

Un’ultima cosa: il vicesindaco Romano (dopo due elezioni, non potendo più essere eletto fa il sindaco da vicesindaco) viene presentato come vicino ad AN: in realtà, era di AN, ma come spesso accade (sopratutto nei paesotti) con i sindaci che divengono grandezze politiche in proprio, ha avuto attriti col partito di provenienza. Viene poi presentato comm docente universitario, ma non è un docente universitario.

E sopratutto, caro Gian Antonio Stella: "docente universitario di storia e geografia". Di storia e geografia? Ma è possibile che un giornalista come Stella creda che esistano i docenti universitari di storia e geografia?

P.S. Per i cultori di storia locale, l’articolo si chiude con l’intervista al Sindaco di Salerno, De Luca, che di Napoli e di Bassolino (pur compagno di partito) non ne può più. E, vista la monnezza, riesce difficile dargli torto.

Carosello napoletano/2

Oggi a pranzo, ho finalmente capito cosa passasse per la testa di Nerone, quando volle incendiare Roma. Ero al decimo piano dell’Hotel, di fronte a Castel dell’Ovo, tutte stucchi, tende e vetrate, musica napoletana (solo musica, niente parole) appena accennata in sottofondo, un mare immobile e perfettamente indifferente, la sala vuota, il vino, una luminosità diffusa, tre camerieri immobili contro le pareti, e non ho potuto non pensare a quanto tutto ciò fosse intollerabile, mentre Napoli, tutta la cintura napoletana, puzza di rifiuti, di immondizia, di fumi maleodoranti. Non al decimo piano, però; non dietro le vetrate insonorizzate dell’albergo.

Napoli è lo scialo. Delle bellezza e dell’immondizia. Per non sentire neanche un grammo di responsabilità in un simile spreco, bisognerebbe bruciare tutto, tutto.