Quello che segue (Il vero rischio è abolire la distinzione tra i sessi), è l’intervento di Filippo Vari ospitato da Il Mattino ieri. Fortuna ha voluto che il giornale mi abbia consentito di replicare, in 2500 battute ("una fucilata, mi raccomando!"). La risposta sarà online dopo le 14, non so in qual pagina. Ma intanto, perché conosciate la materia del contendere…
(Avviso: leggo la citazione di Chesterton che apre l’articolo – che diamine!, due più due fa quattro, e insomma almeno i dati elementari della realtà! – leggo la citazione un giorno sì e l’altro pure, e soprattutto non passa giorno senza che illustri opinionisti come Luigi Amicone mi impartiscano la grande lezione del realismo cristiano (perché i laici, invece, relativisti e nichilisti, farebbero scandalosamente evaporare la realtà). M’è costato qualche centinaio di caratteri, ma ho dovuto per forza cominciare di lì, da 2+2=4, e da chi ne fece una divisa, prima di Chesterton: l’impenitente Don Giovanni. Ma: a più tardi):
FILIPPO VARI * In un saggio del 1905, Chesterton profetizzava l’avvento di un’era nella quale, proseguendo «la grande marcia della distruzione intellettuale», tutto sarebbe stato negato, anche che «due più due fa quattro». Le vicende relative all’introduzione di un riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali in Italia sembrerebbero dimostrare che questa era è giunta. Infatti, le forti resistenze all’introduzione, nell’ordinamento italiano, di un riconoscimento pubblico delle convivenze omosessuali, sotto la forma dei Dico, hanno spinto i sostenitori di una tale posizione a scegliere una tattica meno frontale, ma ancor più insidiosa e mistificatrice. In numerosi disegni di legge si annida un tale riconoscimento di queste unioni non in forma espressa, bensì mediante un richiamo alla cosiddetta ”ideologia del genere”. Di cosa si tratta? Come noto, in natura le persone sono o uomini o donne. L’ideologia del genere o del gender parte dal presupposto che il sesso non costituisca un carattere naturale, bensì un’opzione culturale, cioè una ”libera” scelta di ciascuna persona. Le conseguenze di un tale approccio sono quanto mai pericolose. Infatti, se il sesso è un’opzione culturale, si può scegliere liberamente a quale appartenere. Una volta affermata tale possibilità, ne discende direttamente, e senza passare per alcuna battaglia culturale, l’introduzione del ”matrimonio” tra persone dello stesso sesso: è sufficiente che uno affermi di essere del sesso opposto rispetto a quello del partner per poter chiedere il matrimonio. L’ipotesi, seppur a prima vista poco realistica, ha trovato, invece, concreto riscontro in Spagna, ove è possibile cambiare sesso sulla base di una dichiarazione all’autorità costituita e, come noto, contrarre matrimonio con una persona dello stesso sesso. In Italia, cominciano ad affermarsi i primi tentativi di introdurre tale ideologia. In numerosi disegni di legge, che disciplinano materie che con le unioni omosessuali non c’entrano nulla – si pensi, ad esempio, al disegno di legge recante «Delega al governo in materia di riordino degli enti di ricerca» – in qualche comma destinato a passare inosservato si cerca di inserire riferimenti ”all’eguaglianza dei generi”. A fronte di tali tendenze va ribadito, da un canto, come lo stesso diritto positivo italiano conosce esclusivamente la distinzione tra uomo e donna e non altre artificiose catalogazioni: si prenda, ad esempio, l’articolo 51 della Costituzione, di recente modificato, che stabilisce «la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». D’altro canto, è evidente il regresso di una società che, allontanandosi dalla tradizione e dalla realtà naturale, chiede ai bambini, come avviene negli ospedali scozzesi, di non parlare più di ”mamma” e ”papà”, ma dei loro ”tutor” o ”guardian”. * Professore associato di Diritto costituzionale Università europea di Roma