Lipperatura mette una bella intervista a Cacciari su un tema a lui caro, l’Apocalisse. Per Cacciari significa: Cristo è venuto. Ma nell’ultima proposizione non è più venuto, ma viene, e cioè sta per venire:
"il tempo è sempre compiuto, e in ogni momento dobbiamo responsabilmente render conto di noi. Essere pronti, perché il Signore viene come la morte, come un ladro di notte".
Come mettere insieme le due cose? Forse, solo se che Cristo è venuto significa proprio questo, che sta per venire. Ma mentre si capisce perché Cacciari rifiuti un’interpretazione ingenua della fine, come se appartenesse a un determinato tempo futuro, non si capisce perché la venuta di Cristo debba significare che bisogna vivere il tempo presente sul modo di una inquieta perifrastica (sempre pronti, sempre preparati, sempre sul chi va là). Non si capisce perché, se Cristo è venuto e il tempo è compiuto, questo compimento debba essere pensato come un non compimento, e cioè come se non tutto è compiuto ma tutto potesse compiersi ora, proprio ora, in un ora non immanente ma imminente nel tempo presente.
E’ possibile che invece questa idea che la venuta di Cristo non ci toglie il tempo mondano è troppo ‘tenera’ nei confronti del tempo mondano, e che sia solo un trucco quella di pensare che il compimento del tempo sia pensarlo proprio nel non compimento? In questo modo il tempo presente si riempie di senso, ma di un senso finito, mentre nella promessa religiosa sta l’idea che il tempo si riempia di un senso infinito. Dove poi sarebbe la pace, la beatitudine, e infine la gloria, se debbo stare sempre sull’attenti, sempre in allarme, sempre col timore dei ladri, sempre sul chi vive? Si capisce perché Cacciari non voglia mettere di qua il finito e di là l’infinito, e non voglia neppure concludere che c’è solo il finito, ma tuto ciò non porta necessariamente a pensare il finito come verità dell’infinito. (E per giunta come una verità che consente a Cacciari di dialogare con chi si aspetta comunque un ultimo rovesciamento in zona Cesarini).