Sollicitudo

Poiché non ho tempo di discutere nel dettaglio le prese di posizione di Eugenia Roccella e Paola Binetti a proposito di testamento biologico, discutibili in più punti, mi limito a toccare un solo punto. Par di capire che quello di "essere lasciato morire" non sia un diritto. Immagino che tocchi a chi neghi che sia un diritto spiegare perché non lo sia. Ma le spiegazioni latitano. Offro perciò un piccolo chiarimento.

Io rivendico il diritto di essere lasciato solo. E’ evidente che quel che rivendico non è un diritto nel senso che possa pretendere che sia scritto in costituzione. Ma è altresì evidente che non  mi si può imporre la compagnia di nessuno. In questo senso, io credo che rientri tra i miei diritti di essere lasciato morire. Non ho difficoltà neppure a considerare che ci sia da parte del medico un dovere di curare, ma quel dovere si arresta dinanzi al mio diritto di rifiutare le sue cure e ogni altra sollecitudine nei miei confronti.

E tanto dovrebbe bastare per fare una legge sul testamento biologico.

12 risposte a “Sollicitudo

  1. eh, la fai facile 😉 con questa nichilorelativistico pretesa di disporre della tua vita schivi la sottomissione alla dottrina, figurati se te lo concedono

  2. La pretesa di disporre della propria vità può essere per esempio stoica, oppure epicurea: non è necessariamente nihilo-relativistica.
    (E può essere anche cristiana: il che forse mi ributta nel relativismo!).

  3. la vedo male. altri mesi di dibattiti per far entrare l’ovvio nel legno. e alla fine un bell’appello al poppolo dalle salde radici e buonanotte al secchio. e della tua vita ne dispone la binetti. brrrrrr.

  4. questo nella migliore delle ipotesi, giorgio

  5. Prova un pò a spiegarlo alla portatrice malsana di cilicio.

  6. utente anonimo

    Il diritto di essere lasciato solo” – che tu sembri trattare come genere di cui “il diritto di essere lasciato morire” sarebbe un’applicazione specifica – è formula suggestiva ed evocativa ma secondo me insufficiente. Questo diritto, difatti, si tradurrebbe nella pretesa del paziente alla sola interruzione del trattamento, e dunque ad un comportamento sostanzialmente solo omissivo del medico – ché in ciò mi pare s’estrinsechi la pretesa alla solitudine –, e non, quindi, a tutte quelle azioni positive (preventive, concomitanti o immediatamente successive all’interruzione) che pure sono funzionali alla “migliore” (rectius: meno dolorosa) riuscita dell’interruzione stessa (ad esempio, la sedazione nel caso di Welby).

    Credo allora che la formula, del resto usuale, di diritto del paziente all’autodeterminazione relativamente all’interruzione o meno delle cure, sia più dirimente e fondamentale. Questo diritto, infatti, include necessariamente tutte quelle pretese funzionali alla sua migliore attuazione, ivi compresa la pretesa a non soffrire. Non fa parte forse delle regole della scienza e pratica medica, intrinseche a qualsiasi prestazione del professionista, il far soffrire il meno possibile il paziente durante l’intervento richiesto, quale che sia?
    Emilio

  7. bah… ho fatto la tesi sul “diritto” di essere lasciato solo… io capisco che uno possa rassegnarsi all’idea, ma che l’apprezzi… mi sembra spregevole.

  8. utente anonimo

    Al netto dei turbamenti delle anime belle, se il diritto (d’essere lasciato solo) è utile, nelle situazioni in questione, allora di per sé è apprezzabile (e non vedo nulla di scandaloso). Però, ai fini della tutela del paziente in queste situazioni, lo ritengo, ripeto, inadeguato.

  9. utente anonimo

    Scusate: ero Emilio.

  10. Un dubbio. Non sono sicuro di avere il diritto di essere lasciato solo.
    Mi pare che tutta la mia vita sia nell’essere con altre persone, le quali sono indispensabili alla mia vita: non è che ne consegue che non ho il diritto in nessun momento della mia vita di voler essere solo, cioè agire come se le altre persone non fossero?
    (Il che non toglie che io mi senta responsabile, individualmente, e quindi ‘solo’ nella mia responsabilità).
    Non ho idee molto chiare.

    giuliomozzi

  11. Non ho difficoltà a riconoscere di avere un dovere morale di solidarietà nei confronti dell’altro, e che lui probabilmente lo ha nei miei (e qui comprendo in genere le forme di solidarietà morale e anche politica che non voglio affatto sminuire, non essendo un liberale individualista a 24 carati). Ho scritto infatti del dovere del medico di curare, e posso estenderlo ad altre forme di sollecitudine (e per questo che ho scelto il titolo del post). Ma secondo te questa sollecitudine deve o no incontrare un limite nella mia libertà di respingerla, di rovinarmi per esempio la vita con le mie mani? Se intendo la tua parentesi, tu parli di una responsabilità morale di cura per gli altri che sei chiamato a esercitare in prima persona, e a cui nessuno può costringerti. In realtà, dalla tassazione fiscale in avanti, si danno anche forme di costrizione, ma se qualcuno non volesse ricevere assistenza, suppongo che gli si dovrebbe lasciare il diritto di rifiutarla

  12. Ma, Massimo, non penso a una “responsabilità morale di cura per gli altri”. Scusa se non riesco a spiegarmi bene. Penso che tutta la mia vita è nella rete di relazioni con altre persone: da quando sono stato generato e allattato e addestrato a essere quel che sono, fino a oggi. “Non essere solo” mi pare la “condizione naturale” (metto le virgolette perché “condizione naturale” mi pare un cattivo modo di dire la cosa: ma non ne trovo altri).
    (Ah: “Non è bene che l’uomo sia solo”, diceva un tale. Ma il contesto era tutt’altro).
    Se noi veniamo al mondo per essere tra noi, in relazione, reciprocamente dipendenti eccetera, non so quanto si possa rivendicare un “diritto di essere lasciato solo”.
    Provo a dirla come segue:
    “Chi è l’uomo?”. “E’ colui che non può essere un uomo se non con gli altri uomini”.
    Non è una questione morale. E’ (mi pare) che colui che è lasciato solo (abbandonato), e colui che chiede (e ottiene) di essere lasciato solo, smettono di essere uomini.
    Non so se esiste il diritto di scegliere di smettere di essere uomini; mi pare che non esista il diritto di far smettere di essere uomini; credo di sapere che cosa diventa colui che è costretto a smettere di essere uomo (diventa il prediletto del dio); non ho idea di che cosa diventi chi rivendica e ottiene di smettere di essere uomo.
    (D’altra parte, non vedo come possa essere negato il diritto a rifiutare una cura; e mi sembra che se io rifiuto una cura, e il medico e le altre persone attorno a me accettano il mio rifiuto, non sono solo; se queste persone sono obbligate ad accettare il mio rifiuto, non sono solo perché c’è una legge – fatta dagli uomini come me – che impone loro l’accettazione).
    Sto andando a tentoni.

    giuliomozzi

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