L’argomento impiegato da Cremaschi, leader FIOM, ieri sera a Ballarò, per spiegare perché vada tolto lo scalone e lasciata la pensione a 57 anni è degno di nota.
Cremaschi ha detto: ma chi è che va in pensione a 57 anni, e rinuncia a versare contributi per altri cinque anni, e di conseguenza anche a un trattamento pensionistico migliore? Chi davvero non ce la fa più a lavorare. Lasciare lo scalone e portare l’età pensionistica a 60 anni colpisce dunque proprio quei poveri cristi che non scelgono di andare in pensione, a vi sono costretti dalla durezza della condizione lavorativa.
Allora ho una proposta: portiamo l’età pensionabile indietro, a 55 anni. Anzi a 50. O forse a 45. Tanto, chi volete che scelga di andare in pensione e di non versare i contributi? Quelli che a 45 anni non ce la fanno più. Dunque perché costringerli, perché vessarli?
Cremaschi: ottima idea (ovviamente Cremaschi esclude pure che uno vada in pensione e trovi il modo di lavorare lo stesso, pur essendo in pensione, per esempio nella cartolibreria intestata alla moglie).
P.S. Non è che mi occupi di pensioni, di solito. Di argomenti però sì. E già che ci sono: visto che la telefonata di D’Alema a Consorte ha mosso qualcuno a domandarsi se sia di sinistra questo o quello, prego di preoccuparsi di pensare tutto il male possibile della sinistra, ma di definirne (se proprio se ne sente il bisogno) l’identità di sinistra su questioni come le pensioni. La posizione di Cremaschi è per esempio una posizione di sinistra. Conservatrice e di sinistra.