Archivi del giorno: giugno 22, 2007

Le vere spoglie di Heidegger

Gentile direttore, su Il Foglio del 20.06.07, Sergio Belardinelli non si rassegna a considerare Heidegger un grande filosofo. Al solito, l’argomento principe è l’oscurità del linguaggio. Belardinelli non se la prende solo con le posizioni politiche del filosofo tedesco, che in effetti riesce complicato difendere, e neppure sostiene, come qualche francese, che la sua filosofia non doveva essere gran che, viste appunto le posizioni politiche che ne poterono discendere. No, è la "qualità filosofica" che proprio non c’è. Ci sono invece e soltanto formule vuote e incantatorie. Può darsi. Desta però in me qualche preoccupazione il fatto che Belardinelli metta nel conto espressioni come "in-essere come tale" ed "essere-nel-mondo" che qualunque studente che abbia letto Essere e Tempo comprende benissimo e difficilmente può trovare oscure o sofistiche o non so cosa. Ma più in generale mi chiedo se davvero Belardinelli consideri oscuro e incomprensibile Essere e Tempo, o i corsi universitari tenuti da Heidegger in quegli anni, spesso di esemplare chiarezza. Siccome qui si tratta solo della "qualità filosofica" di Heidegger – e non dell’interpretazione dell’intero arco del suo pensiero – posso assicurarla che Essere e Tempo basta e avanza per mettere Heidegger tra i grandi filosofi del ‘900. E basta e avanza anche per respingere la strampalata idea di Belardinelli, secondo la quale Heidegger non avrebbe fatto altro che rivendere ai contemporanei  sotto false spoglie la mistica che costoro ignoravano. Suppongo che invece Belardinelli non la ignori. Mi piacerebbe allora sapere in quale mistico troverei le vere spoglie di Essere e Tempo (oppure, tanto per dire, L’origine dell’opera d’arte. O il Kantbuch, o il Nietzsche). Insomma, gentile Direttore, il giudizio di Belardinelli, che a quel che leggo è trent’anni che non si capacita, sembra legato molto superficialmente a certe arditezze linguistiche che qui non ho bisogno di difendere (e che altrove, con lettori meno prevenuti, potrei persino provare a difendere), ma che in ogni caso non coprono l’intera produzione filosofica di Heidegger, e che possono tranquillamente essere messe da parte, senza compromettere la "qualità filosofica" del suo lavoro. Ovviamente ne risentirebbe l’interpretazione complessiva del suo pensiero, e dunque quel che propongo non si può fare. Ma non capisco perché Belardinelli non si accontenti di fornire un’interpretazione complessiva del suo pensiero, magari dicendone peste e corna, e debba invece trattare Heidegger come un insopportabile venditore di fumo.  Uno finisce col pensare che il simile conosce il simile, e che non vede la qualità filosofica chi non vede la filosofia.

(Ho pescato l’articolo grazie a Malvino, che ne riporta stralci. Anche Malvino non si capacita, ma almeno lui non si capacita che esista ancora una cosa che si chiama filosofia. Quanto alla domanda sull’essere e l’ente che Malvino pone, la risposta è no)

Salamandre e controfiocchi

In premessa si legge che la vera ragione è superiore alla logica. L’impero della logica è limitato. Chi vuol intendere, intenda, diceva Cristo stesso. E chi non vuol capire, non capisce – chiosa Zamax. E per cominciare: Massimo Adinolfi non capisce.
Prima di capire cosa non capirei (a proposito di una mia interpretazione di Montaigne), ci terrei a rassicurare il mio brillante confutatore: non c’è bisogno di scomodare Cristo stesso per limitare l’impero della logica, figuriamoci per confutare me. (Credo poi che questa esigenza di scomodare Cristo stesso si accordi molto poco col fatto che Montaigne lo scomoda molto poco, e in particolare non scomoda affatto la croce, ma Zamax non mi pare turbato da questa – alquanto singolare per un crstiano – latitanza).
Ad ogni modo, per confutare, Zamax cita lunghi passaggi della mia interpretazione “completamente sbagliata”, apparsa su Left Wing, del che lo ringrazio (in verità su LW è apparsa sola una pilloletta, perché su La morte in Montaigne e Pascal avevo scritto più lungamente su Il pensiero, 1/97).
Primo sbaglio: restringo il pensiero della morte in Montaigne (e c’è da sospettare in generale) al pensiero del momento della morte. Non so da quale mia affermazione tragga Zamax questa convinzione. Nella citazione sono comprese le parole di Montaigne: “La premeditazione della morte è premeditazione della libertà. Chi ha imparato a morire, ha disimparato a servire”. Parole, queste, che generosamente definisco niente di meno che grandiose, e che non mi pare mostrino la restrizione di cui parla Zamax. Mi sembra palese che qui Zamax ha parecchio frainteso.
Seconda citazione dall’elezeviro, e secondo sbaglio. Qui mi si accusa amabilmente di non tenere presente certe parole di Gesù. Può darsi che nello scrivere l’articolo non le tenessi effettivamente presenti, ma forse sfugge a Zamax che si è ripromesso di confutare la mia interpretazione di Montaigne, non quella del Vangelo.
Ma la mia interpretazione sarebbe sbagliata, perché sostengo che una cosa è la prémeditation della morte (che alla morte pensa), un’altra la diversion (che alla morte non pensa). (In effetti, lo sostengo, insieme a un buon numero di studiosi di Montaigne, che mettono pure le date e mostrano come i due atteggiamenti appartengano anche a momenti diversi della vita di Montaigne, che per un’opera ad andamento autobiografico non dovrebbe essere irrilevante). Ma in realtà, se non siamo degli inguaribili superficiali, possiamo vedere con l’aiuto di Zamax come le due cose vadano perfettamente d’accordo. A condizione di sostenere che la diversion riguarda solo il momento della morte. E’ da quella che Montaigne invita a distogliere lo sguardo. Di qui il rilievo mossomi sopra (del tutto arbitrariamente): serviva lo spazio per mettere d’accordo prémeditation e diversion. Ed allora, voilà: io restringo, ma Zamax esclude. La prémeditation ha così poco a che fare col fatto che moriamo – tipo Troisi: ricordati che devi morire – che anzi è completata dalla diversion che suggerisce di non darsi pena del fatto che moriamo. Bah.
Zamax spinge così avanti la sua interpretazione completamente esatta di Montaigne, da domandarsi “perché la calma compostezza dell’animo di Socrate dovrebbe essere diversa dalla compostezza dell’animo del fisicamente sofferente Gesù?”.
Già, perché? Dov’è mai la differenza? Secondo Zamax, che perciò usa i corsivi, io interpreto sensisticamente. Mi faccio turbare dalle sofferenze fisiche, ma Gesù nel momento del trapasso conservava una compostezza stoica che Seneca al confronto era un tremebondo. Gesù aveva l’animo in pace: come Socrate e come Catone. Dov’è la differenza? Se non c’è, io ho torto. Ma se c’è, io ho qualche ragione…
Ecco: io non ho difficoltà a considerare completamente sbagliata la mia interpretazione di Montaigne, se questo giudizio è conseguenza di un’interpretazione della morte di Gesù, che gli doni la stessa serenità del saggio stoico. (Spero che passi di qui qualche cristiano a turbarsi).
 
Ci sarebbero poi un po’ di cose qua e là, ma l’ho fatta già troppo lunga. Il fatto è che per Zamax la confidenza del vecchio Montaigne nel ciclo naturale è perfettamente cristiana.
Sarà. Chi sono io per giudicare cosa è cristiano e cosa no? Pascal si incazzava come una salamandra: se questo è cristianesimo, pensava, allora chiudiamo la baracca e non se ne parli più. Però magari Pascal aveva torto e Zamax ragione: chissà.
Io però dovevo interpretare il pensiero di Montaigne. Non è che mi importi poi molto il tasso di cristianesimo nelle vene di Montaigne. Anzi, concedo tutto quel che vuole, a questo riguardo: ci sono un mucchio di modi diversi di pensarsi cristiani (e di pensare il cristianesimo). Zamax non ha ancora citato sorella morte, se è per questo. Ma io dovevo fare vedere una differenza nel testo di Montaigne. Mostrare come abbia considerato in certe pagine la morte come un nemico (contaminando cristianesimo e stoicismo allo scopo di farvi fronte), e in altre più tarde pagine come un’amica, una compagna naturale nel naturale avvicendamento delle cose. Se la mia interpretazione è completamente errata, è perché non è vero che in certe pagine la morte è un nemico da affrontare a piè fermo, e in altre una compagna naturale che non ci strappa nulla e non è il salario di nulla. Questo doveva mostrare Zamax, invece di dimostrare che Montaigne è un cristiano coi controfiocchi.
P.S.
(Io ho scritto nel 2005, Zamax nel febbraio 2007, ora siamo a giugno. Se c’è battaglione, ci regala una foto)