Il discorsetto preparato per Second Life ha fatto impressione. A me medesimo. Dovendo metterlo in chat rigo per rigo, ho dovuto procedere allo spezzettamento taglia-e-incolla. E mi son dovuto così rendere tangibilmente conto di quanto semplificata dovesse essere la mia esposizione. Così ve lo posto perché ne apprezziate la forma (la forma tipografica, intendo), e abbiate una visibile dimostrazione di come non sia trascurabile il noto detto di quel tale, che il mezzo è il messaggio.
(Poi la cosa è andata così. Io ho parlato. Ho finito. C’è stata una domanda. Poi sono saltati i server della Linden e stiamo stati tutti sbattuti fuori dal fantastico mondo di Second Life)
Some trivial things
Io devo anzitutto scusarmi se dirò poche cose banali,
e se le cose non banali che dirò potranno apparire lontane dalle realtà,
e soprattutto lontane dalle preoccupazioni di coloro che si occupano professionalmente di internet,
che vi lavorano, e che provano ad impiegare la rete per la promozione di iniziative politiche.
Comincio dalle cose banali.
Second Life, an opportunity (new media, old media: which of these?)
I nuovi media sono in continua espansione.
E anche SL lo è, in Italia come altrove.
SL è ancora in una fase esplorativa.
Appare come un mezzo di grande potenzialità,
ma non è chiaro ancora quali di queste potenzialità avranno effettivamente un impatto politico e in quale misura.
Per il momento, mi pare che un certo numero di iniziative e di presenze (anche istituzionali)
siano anzitutto preoccupate
della ricaduta che possono avere nel mondo reale e sui media tradizionali.
Non saprei dire se sia il caso anche di questa iniziativa.
Non me ne preoccuperei. Per due ragioni:
- mi pare sia una caratteristica strutturale del sistema avanzato dei media
che si richiamino l’un l’altro, si facciano eco, si compenetrino e così si rafforzino.
- mantengo serie riserve sull’uso dell’aggettivo virtuale.
In quel che stiamo facendo adesso, ad esempio, vi è del virtuale ma pure del reale,
e non vi può mai essere l’uno senza che vi sia l’altro.
Un mucchio di retorica sul mondo parallelo cade
di fronte a questa che a me pare un’evidenza.
Ma mantengo fermo il proposito di dire anzitutto cose banali, e lascio (per ora, almeno) cadere questo punto.
Politics and virtual world. Where persons are.
Aggiungo invece, quanto all’interesse che la politica può nutrire per la realtà virtuale,
che non vedo ragioni a ciò contrarie.
Mi pare semplice, banalmente sillogistico:
SL è un luogo dove si incontrano molte persone,
la politica la si fa con le persone;
è naturale che la politica si faccia anche con e su SL.
Questo è il profilo più basso che riesco a dare al tema che ci occupa.
Domanda:
la si può considerare una solida e condivisa base di partenza?
Ad ogni buon conto, penso che sarà meglio strutturata se sapremo chiederci
in che modo la politica su SL si possa fare
(organizzare, promuovere, favorire).
Credo di dire ancora una cosa banale se aggiungo:
Political marketing
è una questione di marketing politico.
Non sono un esperto, ma immagino
che i responsabili di una campagna elettorale
tengano debitamente conto, nel pianificarla,
dei mezzi con i quali intendono svolgerla.
Un conto è stilare un comunicato stampa,
un altro è formulare uno slogan, affiggere manifesti,
registrare uno spot, dare un’intervista, allestire un sito, e così via.
In ciascuno di questi casi (e in tutti gli altri non elencati),
occorre tenere conto della specificità del mezzo.
Questo significa, grosso modo:
devo ‘aggiustare’ il messaggio in considerazione del mezzo che impiego,
o dell’ambiente in cui lo lancio.
Non parlo lo stesso linguaggio, né dedico lo stesso tempo e le stesse risorse
a ciascuno di questi canali.
Empirical questions
Sin qui (banalizzando al massimo),
le questioni da formulare sono essenzialmente di due ordini.
Il primo: cosa si può fare su SL di diverso e di meglio
di quel che si può fare attraverso altri canali?
Il secondo: il gioco vale la candela?
I costi sono giustificati dai benefici?
Non sono la persona più indicata per rispondere a simili domande.
Dopotutto, anzi prima di tutto,
non sono un esperto di politica né di comunicazione.
Per giunta, quelle proposte mi paiono domande ad alto tasso di empiria,
che vanno quindi trattate come tutte le questioni empiriche.
Meno teoria si fa su questo punto, e meglio è.
Più esperienza si raccoglie, e meglio è.
Penso però (e chiedo eventualmente conferma)
che anche gli esperti non hanno risposte sicure,
perché molto qui è ancora da fare e da sviluppare.
Some commonplaces
Ad esempio:
- leggo e vedo che SL
si presenta come un ambiente fortemente collaborativo.
Io non sono affatto sicuro che sia
e soprattutto che non possa non essere così.
Inoltre, non sono affatto sicuro che collaborare
porti automaticamente con sé
il tradizionale valore democratico della partecipazione su un piede di uguaglianza.
- Leggo e vedo che SL
appare come un ambiente assai favorevole
a compiti educativi.
Ma anche in questo caso non sono affatto sicuro
che mantenga inalterate le distanze e i rapporti
fra cose molto diverse come
l’apprendimento, l’informazione, l’ammaestramento,
l’indottrinamento, l’elaborazione di dati, la ricerca, ecc..
- Leggo e vedo che SL ha una dimensione globale.
Permette a tutti di stabilire relazioni comunicative
con persone che altrimenti non sarebbero mai state raggiunte.
Ma non sono affatto sicuro
che sia sempre cosa positiva e salutare
la globalizzazione delle relazioni tra gli uomini,
o che l’agire comunicativo su SL sia alieno da relazioni di potere,
come per lo più si tende a credere.
Più in generale,
non sono affatto sicuro che si comprenda
quanto poco sia innocente o neutrale questa parola
magica, ingannevole ed elusiva
che è la parola ‘comunicazione’.
A fantastic world! (For everybody?)
Non vorrei però avere dato l’impressione
di nutrire qualche diffidenza nei confronti di SL.
Ne sono anzi entusiasta, quanto può esserlo chiunque
si disponga ad esplorare un mondo nuovo.
Non però semplicemente ad esplorarlo,
ma ad esplorarlo nella convinzione di avere tutti i mezzi per farlo
e di essere perfettamente in condizione di farlo.
Aggiungo e preciso:
quanto può esserlo chiunque sia forte della convinzione
che il mondo stia lì per essere esplorato,
e che l’esplorazione sia libera e senza pericoli.
Ma quanto è giustificata questa convinzione?
Dobbiamo o no avere un’idea
di qual genere di convinzione sia e di che cosa presupponga?
Dobbiamo occuparci di questi presupposti?
Some not trivial things
Qui cominciano, almeno per me, le cose non banali.
Questioni grandi e grosse che è difficile circoscrivere.
Anche solo i titoli da dare ad esse fanno tremar le vene e i polsi.
Un titolo generale potrebbe essere:
Cosa ne è delle nostre vite, nell’epoca della loro riproducibilità tecnica?
(Non è mio; c’è un ottimo libro che ne parla, anche se non parla di SL).
Rispetto ad una questione così ampia,
che per i miei interessi filosofici non posso non tenere in vista,
quel che sono in condizione di offrire è solo un breve (e aperto) elenco di motivi di riflessione.
Con l’avvertenza che qui le questioni non sono più empiriche, ma concettuali.
Old questions reformulated
Primo motivo:
la domanda posta nel titolo
sta in luogo di un certo numero di domande tradizionali, che si formulavano diversamente.
È bene tenerlo presente.
Esempi: ‘qual è il posto dell’uomo nel mondo?’, o: ‘qual è la situazione spirituale del nostro tempo?’.
Non è difficile dimostrare che queste domande tradizionali,
in cui ne andava del senso dell’esistenza (problema massimamente politico),
non possono essere oggi formulate
senza riguardo per l’orizzonte complessivo e onnipervasivo della tecnica.
Old distinctions disappearing
Secondo: le distinzioni di campo
che tradizionalmente organizzavano il nostro sapere
non funzionano più bene.
Nel senso comune, ad esempio,
politica e tecnica, tecnica e etica, vita e tecnica, pubblico e privato sono ancora cose ben distinte.
Ma nessuna di queste distinzioni abituali
funziona bene come una volta.
Tutte si sono fatte altamente problematiche.
Questo, che sicuramente vale per le tecnoscienze
(ingegneria genetica, scienze cognitive)
sospetto che valga anche per la vita su SL.
Politics and media
Terzo: tra le distinzioni che non funzionano più
metto anche quella che ho trattato come banale nella prima parte del mio intervento.
Che cioè una cosa sia la politica, regno dei fini,
un’altra la sfera della comunicazione, ambito dei mezzi.
E che ciascuna funzioni secondo principi propri e autonomi.
What language is
Quarto. Qui dovrei proporre una sfilza di domande.
Anche qui, solo esempi:
in che modo cambia la natura stessa del linguaggio,
nell’epoca in cui domina il paradigma dell’informazione?
E’ vero oppure no che il linguaggio è un mezzo di comunicazione?
(Non è vero)
O magari non era vero un tempo e si va facendo più vero adesso?
Ed è poi vero che viviamo nell’epoca dell’immagine, oppure è solo un luogo comune?
(È un luogo comune)
What mankind is. (Eye and memory).
Quinto
(da cui forse si comprende meglio la rilevanza del motivo precedente).
Un’altra sfilza di domande riguarda la questione antropologica.
Persino i termini basilari della nostra esperienza mutano di significato su SL.
Due esempi, che hanno a che vedere con SL: l’occhio e la memoria.
L’occhio.
In psicologia e in filosofia si è dimostrato
che alla piena visibilità non corrisponda affatto uno zero di tangibilità.
Vedere e cioè sempre anche un po’ toccare.
Cosa cambia in questa sfera primaria dell’esperienza su SL?
E in che modo questi cambiamenti si riflettono nella vita reale?
La memoria.
I francesi arrivano a metterla così:
non siamo più coscienze, siamo solo cervelli.
Le coscienze sono ormai interamente colonizzate.
Magari è un’esagerazione,
ma qualcosa cambia davvero se una quota sempre maggiore della nostra identità individuale
richiede determinati supporti esterni.
(Platone li chiamava: hypomnemata)
E in ogni caso,
nessuna tradizionale rivendicazione liberale dell’autonomia dell’individuo
è più sufficiente, se non sul piano retorico.
Io credo che SL abbia (possa avere) molto a che fare con queste decisive trasformazioni.
The linguistic turn?
Sesto motivo. Vi ho già alluso. Perciò abbrevio.
Non bisogna peccare di idealismo linguistico o comunicativo.
Non bisogna credere che la politica sia tutta e solo una questione di
parole, messaggi e idee.
Da questo punto di vista,
SL e l’ideologia collaborativa che alimenta può essere addirittura uno specchietto per le allodole.
What world is: real ad unique.
(And moral is: there is always something, not everything)
Settimo e ultimo motivo.
Una questione filosofica generalissima.
Che rinuncio ad istruire e propongo soltanto.
Ma davvero SL è un mondo virtuale?
Io direi: se è un mondo, non è virtuale, e se è virtuale, non è un mondo.
Nel mondo virtuale – si dce – non vi sono limiti,
o perlomeno non sono così stringenti come quelli del mondo reale.
Io invece trovo che i limiti vi siano,
che hanno una loro stringenza,
e che quanto più SL si farà mondo, tanto più stringenti si farano quei limiti.
E in ogni caso, poiché di mondi temo che ce ne sia uno solo,
i limiti dei mondo virtuale dipendono più o meno mediatamente
inesorabilmente
dai punti di attrito col mondo reale.
Uno dei quali sperimento seduta stante,
per il solo fatto di avere preso così tanto tempo ai miei pazienti ascoltatori/lettori.
Grazie
è interessante: mi sembra però che manchi completamente la dimensione “economica” del fenomeno (quanto costa – e in proporzione – che benefici porta fare politica su Second Life, in rapporto ad altre modalità)?
non è che manchi,è che mi are una questione empirica (su cui non ho elementi), e che perciò segnalo come tale
sei riuscito a piazzare diversi endecasillabi
dio bono, quanto scrivi. su second life, poi.
vale anche per te il “l’ho scritta troppo lunga, questa lettera, perchè non ho avuto il tempo di scriverla più corta”*?
* courtesy of Blaise Pascal
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