Questa mattina c’era un coniglio in giardino. Un bel coniglio bianco con il muso grigio. Mangiucchiava qualche erbetta. Renata ed Enrico lo hanno visto: senza varcare l’uscio della finestra, per non spaventarlo, gli abbiamo lanciato qualche pezzettino di carota, un po’ di sedano, un po’ di lattuga. Lui è rimasto immobile. Io mi sono messo a studiare. Verso mezzogiorno i bimbi mi hanno detto che il coniglio era ancora lì, in giardino. Aveva però cambiato posizione, e se ne stava acquattato vicino all’alberello di limoni; si guardava poco intorno. Appena ci ha notato, è rimasto immobile. Guardava, e stava lì immobile.
Abbiamo mangiato, siamo usciti. Ho portato Renata ed Enrico al parco per un po’, poi li ho lasciati da mia madre. Sono andato all’università. Ora sono rientrato prima di scendere nuovamente per recarmi in consiglio comunale. Guardo dalla finestra del primo piano. Il coniglio è giù, vicino all’albero di limoni, immobile, come stamattina.
Ma lo sguardo incrociato stamane mi ha messo addosso una tristezza indicibile. Mi ha ricordato le parole di Benjamin sulla natura muta, e Dostoevskij: siamo tutti colpevoli di tutto. I suoi occhi mi sono sembrati la cosa più inerme e inutile del mondo, e davvero non so come tutti possano un giorno essere salvi.