Archivi del giorno: settembre 14, 2007

Stendiamo un velo pietoso

Giuliano Amato: "Se le donne portano il velo o chiedono di essere visitate soltanto da ginecologhe, vogliamo desumerne che si tratta di diversità inaccettabili, perché sempre e in ogni caso espressive di inaccettabili prevaricazioni maschili, oppure vi riconosciamo sensibilità identitarie legittime, certo rimovibili, ma rimovibili solo per volontà delle donne che ne sono portatrici?".

Maria Giovanna Maglie: "Ci sono molte donne che potrebbero rispondergli, quelle ancora vive, ammesso che qualcuno le faccia uscire dalla segregazione nella quale qui in Italia è tenuto l’ottantacinque per cento di loro; ma al ministro questo non interessa, ha deciso, come l’Ucoii, che tutte le donne che portano il velo vogliono il velo, così si sta più tranquilli".

Ecco, uno può giudicare che certe posizioni à la Amato facciano troppi distinguo, siano troppo morbide, troppo rispettose, persino ipocrite (non è il mio parere). Uno può persino ritenere che ci voglia invece il maiale day (e in tal caso non si vede che bisogno vi sia di portare suini a passeggio, basterebbe il promotore), ma come si fa a scrivere dopo averne citato le parole, e quindi senza nemmeno fingere di non averle presenti, che il ministro ha deciso che tutte le donne vogliono il velo? Perché si scrive con una simile sciatteria su faccende così tremendamente serie?

Severino e Spinoza

Non avevo visto l’articolo scritto da Severino per il Corriere della Sera, in occasione del Meridiano Mondadori, curato da Filippo Mignini e Omero Proietti, con tutte le opere di Baruch Spinoza. Lo trovo grazie a Millepiani. Dopo avere presentato la figura, Severino viene a quella che giudica la cosa essenziale, "radicalmente più decisiva del modo in cui Spinoza «dimostra » l’esistenza di Dio — e più decisiva di ogni altra «dimostrazione» di tale esistenza, proposta lungo la storia del pensiero occidentale". Questo punto emerge fin dalle prime battute dell’Ethica, nelle definizioni che aprono la prima parte dell’opera ed è precisamente la distinzione tra "ciò che esiste necessariamente, cioè non è mai inesistente, ed è Dio, l’Eterno, [e] ciò che invece non esiste necessariamente, nel senso che non è sempre esistente ed è l’insieme delle «cose prodotte da Dio», esistenti nel Tempo".

Ora, non v’è chi non sappia che Spinoza comincia proprio da una distinzione simile: di là la sostanza, di qua i modi. E se io ardissi contestarla, mi si potrebbero addurre montagne di testi che si riconducono a questa distinzione. Dunque niente contestazione. Tuttavia cosa accade, quando questa distinzione diviene più decisiva di tutto quello che Spinoza avrebbe detto sul fondamento di questa presunta evidenza? Che di tutto il resto non occorre più far parola, perché tutto dipende, per Severino, da quella distinzione. Dal punto di vista teoretico, Spinoza non serve più (e infatti, giunto al punto decisivo, di Spinoza l’articolo non parla più. E così di Spinoza Severino finisce col ricordare il profilo biografico e le tracce intellettuali lasciate in eredità al romanticismo, e nient’altro, perché nient’altro resta).

Paradossalmente (ma non troppo), Severino filosofo teoretico è interessato alla lettera di Spinoza proprio al modo di uno storico. Come uno storico, non come un filosofo, va a caccia dell’evidenza che è la follia dell’Occidente (che le cose divengano), dopodiché abbandona l’oggetto della ricerca per aggredire da filosofo quell’evidenza (questa aggressione è peraltro una robustissima riflessione filosofica, che ha tutta la mia ammirazione). Ma l’oggetto della ricerca non gli serve più a nulla, e dunque in philosophicis non gli è mai davvero servito.

Si parva licet, per me è molto diverso. Per me non significa un bel nulla che Spinoza cominci da quella distinzione. Anzi: non è vero che quella distinzione è decisiva in Spinoza, ed è vero invece che si tratta di mettere in discussione quella distinzione. E’ vero invece che vi sono luoghi di Spinoza a partire dai quali quella distinzione viene in questione. Dico forse meglio, o almeno più nettamente: non è vero che tra la sostanza e i modi la relazione posta da Spinoza sia una relazione di distinzione (con tutto che Spinoza distingue eccome!). La relazione che vede Severino è poi una distinzione logico-concettuale (sostanza e modo non sono distinti nel senso che stiano in luoghi diversi), ma c’è modo leggendo Spinoza di domandarsi: come si formano, da dove vengono le distinzioni logico-concettuali? Siamo sicuri che debbano avere l’ultima parola? A partire da simili domande, la lettura di Spinoza non finisce prima ancora di cominciare, anche se naturalmente lo storico inorridisce, perché non si tratterà più di attenersi superstiziosamente a ciò che è scritto. Questo però è per me ciò a cui, senza vestire per un tratto i panni dello storico e senza mischiare i mestieri, il filosofo teoretico deve mirare.