Applausi

"Come scienziato devo affermare con chiarezza che sono ateo, materialista, e credo che non ci sia nulla dopo la morte". Malvino cita Massarenti, che cita le parole di Prochiants al Festival di Filosofia. E soprattutto l’applauso scrosciante che ne è seguito.

Ora, io non voglio mettere questo commento per dire le solite cose. Che ho meno certezze, che non si può dimostrare né questo né quello, ecc. ecc.. Penso per giunta che sia Massarenti che Malvino abbiano più di una ragione, nel vedere un che di liberatorio in quell’applauso, come di chi s’è stufato non tanto dell’al di là, ma di come la Chiesa metta le cose nell’al di qua.

Tuttavia mi domando: perché la sua affermazione "sono ateo, sono materialista, ecc." Prochiants doveva farla "come scienziato"? Parlava da scienziato? No ("credo – credo, dice – che non ci sia nulla…"). Lo ha detto uno scienziato, ma non lo ha detto da scienziato: eppure questa differenza è stata sommersa da un applauso. E se lo avesse detto da agronomo? Si stava forse autorizzando in forza del credito sociale della scienza? Ma può uno scienziato accreditarsi in quanto scienziato anche quando non parla su cose che lo interpellano in quanto scienziato?

Ma soprattutto: se qualcuno lo avesse detto " da filosofo" (dopotutto, si era al Festival di Filosofia), l’applauso sarebbe seguito uguale? Forse sì. Forse quell’applauso avrebbe salutato chiunque avesse fatto quella liberatoria affermazione. Chiunque avesse parlato chiaro. Senza infingimenti, senza ammiccamenti, senza tentennamenti. Però, secondo me, se in premessa avesse detto: "Lo so che non c’è un acca di dimostrazione per l’affermazione che sto per fare, ma tengo a dirvi, come scienziato, che sono credente, spiritualista, e penso che dopo la morte c’è il Paradiso (e per voi l’Inferno)", l’applauso sarebbe scattato lo stesso. (Avrei applaudito anch’io, perché non penso che la filosofia sia condannata a non dire nulla di nulla. E se mai – capriola indicibile – se non dice nulla è perché non c’è nulla da dire).

Peròc’è un però. Prochiants ha premesso: "Sono consapevole del luogo in cui ci troviamo, ma come scienziato…", e quel che segue. E in quale luogo si trovava? Mica era nel Tempio: era sul palco del Festival di Filosofia. Forse stava dicendo proprio: come scienziato credo (credo: anche qui, si sarebbe trattato di quel che Prochiants crede) che la filosofia non la si può fare su basi atee e materialistiche; su quelle basi si fa scienza, il resto sono amenità. Si stava quindi scusando della sgradevolezza che stava per dire? Credeva di parlare della corda in casa dell’impiccato? Può darsi. Sta il fatto che la gente era andata al Festival di Filosofia, non a quello della Scienza. Ed ha applaudito lo stesso. Prochiants viene al Festival della Sciocchezza, e il pubblico, che è accorso numeroso e s’è lasciato suggestionare per tre giorni, scoppia in un fragoroso applauso?

Non so.

10 risposte a “Applausi

  1. Sono andato solo un giorno al Festival di Filosofia (sabato: Bianchi e Sini), quindi quello che sto per scrivere è solo una impressione parziale.
    Temo che Modena stia diventando (forse per contrapposizione al Festival di Filosofia di Roma), molto più popolare e più vicino all’area cattolica / spiritualista. Nulla di male, però la cosa si fa meno interessante per me, e può giustificare la excusatio di Prochiants…

  2. è l’ultima che hai detto. come spesso accade, hanno applaudito perchè non hanno capito.

  3. Io mi chiedo se sia giusto dare al “credo” di Prochiants un significato diverso da “ritengo”, “sono dell’opinione che”, ecc.
    “Mica era nel Tempio: era sul palco del Festival di Filosofia”, sì, però, come ti ho sempre fatto notare, avete qualcosa che puzza di religione, voi filosofi. Non saprei dire, chissà, forse il cambiare le carte in tavola a vostro favore. Certo che, poi, il vostro favore non è mai quello della religione (vorrei ben vedere, non c’è un filosofo che sia d’accordo in toto con un altro filosofo), e però ci sta ad una spanna (perché il fatto che non ci sia un filosofo che sia d’accordo in toto con un altro filosofo è comunque un modo per fare dei filosofi una sorta di guardiani del Tempio).
    Prima di tutto sta la rivelazione, poi la saggezza, poi la filosofia, poi la storia della filosofia, poi la critica della storia della filosofia; ai lati di questo travagliato cammino di un qualcosa cui la scienza ha via via sottratto quasi tutto c’è l’eristica di chi a una domanda ti risponde con un’altra domanda. E capita, puttana Eva, che tutte le domande senza una risposta siano le domande giuste; e quelle che ce l’hanno ovvia, risultano poste male.
    Bisognerebbe impiccarli, i filosofi, ma con dolcezza.

  4. > “Però, secondo me, se in premessa avesse detto: “Lo so che non c’è un acca di dimostrazione per l’affermazione che sto per fare, ma tengo a dirvi, come scienziato, che sono credente, spiritualista, e penso che dopo la morte c’è il Paradiso (e per voi l’Inferno)”, l’applauso sarebbe scattato lo stesso.”

    Sei un inguaribile ottimista.

  5. Malvino, mentre stringi con dolcezza il cappio attorno al collo di tutti i filosofi che ti capitano tra le mani, posso farti alcune domande?
    Sei sicuro che i filosofi siano buoni guardiani del tempio? Onestamente, penso che ci sia di meglio in giro.
    E poi, di filosofi a guardia del tempio ne vedo pochi: vedo alcune armi filosofiche, spesso maneggiate con imperizia, ma non puoi certo incolparne i filosofi: a guardia del Tempio ci sono pure alcune teorie scientifiche, come il Big Bang! Invece di impiccare i filosofi, dovresti assoldarli per spuntare quelle armi in mano a incapaci!
    Infine: a te non danno fastidio i filosofi: tu ce l’hai con i chierici. Per economia, prenditela con loro: che si inizi dai filosofi, va a finire che non hai tempo neppure per un pretino di periferia!

  6. “Chiunque avesse parlato chiaro. Senza infingimenti, senza ammiccamenti, senza tentennamenti.” …

    Si stava quindi scusando della sgradevolezza che stava per dire? Credeva di parlare della corda in casa dell’impiccato?

    L’ironia, caro Ap, mi sembra particolarmente appropriata.

  7. Ma. Che uno scienziato si dichiari ateo, mi pare ovvio. Io pure, quando faccio lavoro scientifico, sono ateo.

    Proposta: non domandiamoci “se esiste qualcosa dopo la morte”, domandiamoci “quando esiste qualcosa dopo la morte”.
    Quando faccio lavoro scientifico, io so che tutto ciò che so è un “modello” (un complesso coerente di modelli), ossia una trasformazione in algoritmi o in discorsi di dati selezionati dell’esperienza diretta e indiretta (un complesso coerente di trasformazioni ecc.).

    E quando non faccio lavoro scientifico?

    Ma si potrebb dire: “Si fa sempre lavoro scientifico (magari male)”. Oppure: “Si può fare solo lavoro scientifico”.
    Sta di fatto che esiste al mondo un sacco di lavoro non scientifico. Come la mettiamo? Che ce ne facciamo?

    Il lavoro scientifico produce conoscenza che, appena prodotta, diventa ovvia (magari difficile da capire, ma ovvia). Ci sono conoscenze che non diventano mai ovvie? O: quando è che le conoscenze non sono ovvie?

    Se constato l’esistenza di domande che restano aperte (cioè senza risposta) per lunghissimo tempo, posso fare l’ipotesi che ci siano domande che è bene che rimangano aperte? Ha senso formulare deliberatamente domande destinate a restare aperte?

    Domanda: perché mai sentiamo il non avere una risposta come una sconfitta? Non è che, detta banalmente, ci piace poco l’estasi?

  8. Dimenticata la firma al #7. Sono giulio mozzi.

  9. Rispondo solo all’ultima domanda? Sì. Ma domando a mia volta: non è che non ci piaccia rimaner senza domande? E anche qui risponderei: sì.

  10. Vorrei solo far notare che lo scienziato, in quanto scienziato, non dice nulla. In quanto scienziato non parla, ma fa. Se parla, allora non lo fa da scienziato ma da metafisico. La scienza consiste infatti tutta in un procedimento che si avvale al massimo della scrittura matematica, non delle parole.

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