Archivi del mese: novembre 2007

Stella cometa

Quando l’Europa politica è diventata moderna? Più o meno, quando nel 1680 compare nel cielo una cometa, la gente prende paura, e Pierre Bayle ci fa qualche pensierino su, convincendosi della possibilità che esistano al mondo degli atei virtuosi.

(E’ apparsa la nuova enciclica di papa Benedetto XVI. In attesa di leggere, commento la notizia che ne dà il Corriere)

Un carico da undici per giocatori di briscola

Su la Repubblica di oggi, c’è la replica di Habermas a un saggio dell’esimio collega Paolo Flores d’Arcais, dal titolo Le tentazioni della fede. Undici tesi contro Habermas, che apparirà il prossimo sette dicembre su Micromega. Il saggio di Flores è stato parzialmente tradotto e pubblicato da die Zeit, dove compare anche la replica di Habermas tradotta oggi da Repubblica.

Ora, sarebbe molto bello distribuire torti e ragioni. Non avendo però letto le tesi di Flores, sarebbe veramente scorretto lanciarsi in commenti di qualunque natura. Sta però il fatto che la polemica di Flores fa seguito all’intervento pubblico di Habermas a Roma, di poche settimane fa, e che la replica odierna consiste nientepopodimeno che nella mera autocitazione di un paio di passi di quell’intervento all’Eliseo.

Habermas non spreca una parola per nuovamente argomentare. Invita Flores a rileggerlo. E mi getta nell’atroce dubbio che il carico da undici di Flores sia perfettamente inutile. Sicuramente lo è agli occhi di Habermas, e chi sono io per?

Utopia, utopia, sembra che non ci sia

Fredric Jameson su la Republica di ieri spiega perché un’effervescente istanza utopica rispunta in coloro che si oppongono alla globalizzazione (ovvero all’emergente mercato mondiale ovvero all’imperialismo americano e occidentale ovvero all’attuale fase del capitalismo). "Sembrerà paradossale" – dice – ma un tempo i marxisti doc criticavano senza pietà quelle che giudicavano scorciatoie utopiste abbastanza regressive.

A me, invece, non sembra affatto paradossale. E continua a sembrarmi che l’istanza utopica tanto più emerge, quanto più si dipinge la globalizzazione (ovvero ovvero ovvero) come un’unica cosa, un unico blocco, un irrefragabile schiacciasassi. Se è così, in effetti, chi si oppone non può aspirare che a nuovi cieli e nuova terra (e nella misura in cui c’è anche in Marx questa convinzione, l’utopismo c’è anche nel marxismo).

Ad esempio. Se è vero, come scrive Jameson, che "l´universalità invincibile del capitalismo […] smantella instancabile tutti i progressi sociali strappati a partire dalla nascita dei movimenti socialista e comunista, […] limita il welfare, la rete di salvaguardie, il diritto a unirsi in sindacato, i vincoli ambientali alle industrie, […] propone di privatizzare le pensioni e di distruggere quanto si oppone al libero mercato in tutto il mondo" – se questo è vero, se questi sono i termini della questione, capisco che le istanze di criticità debbono necessariamente prendere terreno in un altro mondo. (E se il capitalismo è invincibile in questa forma, mettiamoci l’anima in pace, aggiungerei). Ma questo è vero? Non credo. Se infatti domandiamo: i vincoli ambientali alle industrie sono maggiori o minori di 50 anni fa?, la risposta potrebbe essere: da noi maggiori, in Cina forse minori (o assenti, ieri come oggi). E il diritto di unirsi al sindacato? Da noi mi pare abbastanza stabile, in altre parti del mondo faticosamente in aumento. Ma il welfare, almeno? Certo da noi si va restringendo, immagino. Ma, di nuovo, mi pare difficile sostenere che nel resto del mondo si va parimenti restringendo coll’avanzare progressivo del capitalismo, né si può descrivere lo sviluppo in Occidente del capitalismo come un’unica traiettoria, di progressiva maturazione del capitalismo e progressiva restrizione di diritti e prestazioni sociali. Tutt’altro. E allora: perché non pensare che le faccende sono un po’ più complicate di queste storie a senso unico?

(Segnalo che la ricerca "jameson" su Repubblica.it non produce alcun risultato per Fredric, e qualche interessante risultato per Jenna Jameson. Ah l’utopia!)

In memoria

Una pagina dell’Associazione Scacchistica Italiana Giocatori per Corrispondenza.

Tora! Tora! Tora!

Non ho ancora fatto bene i conti, ma poiché la novità del 2007 è stata per me la collaborazione con il Mattino, mi pare sensato far sapere al mondo che la retribuzione corrispostami finora dal giornale è inferiore, grazie alla nuova arrivata di questa mattina, alle multe comminatemi per eccesso di velocità dal simpaticissimo comune di Tora e Piccilli.

(E dire che leggo al volante!)

Viva il prefetto Mori!

Si stava meglio quando si stava peggio? Beh, forse non è proprio così, però Giorgio Agamben ritiene che “se uno storico confrontasse i dispositivi di legge esistenti durante il Fascismo e quelli in vigore oggi, ho paura che dovrebbe concludere a sfavore del presente”.
Se non si tratta di una mera provocazione, Giorgio Agamben immagina che lo storico in questione – ma forse, in fondo, lui stesso – rimpiangerebbe di non essere vissuto sotto il Fascismo…
Ad ogni modo, ci sono due cose che non mi sono chiare nell’intervista. La prima riguarda la tesi secondo cui certe misure di sicurezza non servono per prevenire i delitti, casomai per impedire che vengano ripetuti. Servono, più precisamente, per acchiappare chi ha già commesso un delitto, grazie a tutto ciò di cui si è oggi capaci per identificare e tenere sotto controllo le persone. Posto che sia così, bisognerebbe forse adottare misure che prevengano la stessa possibilità di commettere un delitto? Ma io non mi sentirei molto rassicurato da un potere che, come i precog di Dick e Spielberg, fosse in grado di riportarmi all’ovile ancor prima che io commetta un delitto…
La seconda cosa riguarda la ‘quantità’ di libertà di cui disporremmo oggi. I nostri movimenti fisici e virtuali sono come mai prima d’ora rintracciabili: grazie a telecamere, connessioni, schede, carte di credito, cellulari, ecc. ecc. Questo controllo è però potenziale, nel senso che non c’è nessuno che sverni ad esempio 24 su 24 dietro l’occhio di una telecamera. Solo nel caso che accada un delitto nel luogo sorvegliato dalla telecamera, il filmato può essere messo a disposizione della magistratura (secondo procedure di legge – che non è un particolare irrilevante). Se io ho garanzie che in altri casi nessuna autorità giudiziaria può servirsi del filmato, debbo ritenere di essere sottoposto a un controllo asfissiante? Non mi pare. Con questo non voglio dire che le telecamere mi fanno piacere, ma che in simili faccende non conta solo il ‘significato’ di una certa misura, ma la sua portata effettiva. Agamben cita una legge non più applicata, in materia di ospitalità: l’obbligo di denunciare la presenza nella propria casa di un ospite. E gli pare più rilevante il fatto che quella legge sia sopravvissuta, che non il fatto che non sia più applicata. A me pare invece che sia decisamente più rilevante il contrario: che non venga applicata, benché sia sopravvissuta. (Dopodiché abrogratela, per favore).
(Io poi non sono un esperto di diritto comparato, ma credo che vi siano al mondo un buon numero di paesi, la cui patina di democrazia formale, che tanto pare insufficiente ad Agamben, è ancor più ridotta, ma che in compenso hanno anche un bel numero di leggi illiberali scrupolosamente applicate)

Non si butta via niente (un post per i posteri)

Le carte di Derrida a Irvine. Impressionante il lavoro svolto per iscritto da studente. (Io, per me, ho il problema di una tesi di laurea scritta con un sistema di videoscrittura Amstrad, eredità del fratello maggiore, che era in un rapporto di parentela con i futuri PC ed adoperava strambi dischetti rigidi che non saprei proprio come si potranno mai leggere – ma un’idea forse ce la si può fare qui, perciò non butto via niente).

Materialismo e religione

«Wittgenstein addio». Così, sbrigativamente (i titoli sono redazionali, ma spesso colgono il senso del tempo) era intitolato un breve intervento del filosofo del linguaggio Diego Marconi pubblicato nel giugno scorso sull’inserto domenicale del quotidiano della Confindustria, Il Sole24ore. Marconi, che ne è uno dei maggiori studiosi italiani e non solo, osservava come nella filosofia analitica «negli ultimi venti anni l’interesse per la filosofia di Wittgenstein sia nettamente declinato». In realtà il quadro è ancora peggiore, continua Marconi, perché «per la maggior parte dei giovani filosofi americani di oggi rappresenta un paradigma di cattiva filosofia, da relegare nella stessa pessima compagnia a cui appartengono Dewey e Heidegger». Ora, a parte il fatto che verrebbe da chiedersi quale filosofo possa ritenere che Heidegger rappresenti il «paradigma della cattiva filosofia» (ma poi, davvero Dewey è «peggiore» di Davidson o Fodor?), Marconi solleva una questione che il collettivo redazionale di Forme di Vita si è posto fin dalla sua fondazione.
Il problema è quello del materialismo: in filosofia essere materialisti significa descrivere la realtà in modo adeguato e aderente ai fenomeni, senza bisogno di postulare l’esistenza di entità misteriose e/o trascendenti. Il problema è che il modo in cui la filosofia analitica ha scelto di essere materialista non è in grado (per limiti interni) di descrivere l’esistenza effettiva degli animali della specie Homo sapiens. In particolare le scienze cognitive, che sono diventate l’orizzonte teorico di riferimento della filosofia analitica, non sembrano essere in grado di cogliere la specificità dell’esistenza umana. Si pensi al caso esemplare dell’esperienza religiosa, a cui Forme di Vita ha dedicato diversi interventi negli scorsi numeri. Per le scienze cognitive «spiegare» la religione significa dare conto, ad esempio, di come sia possibile credere che esista un Dio dotato di corpo ma che allo stesso tempo sia anche incorporeo oppure credere all’esistenza di una donna che sia contemporaneamente madre e vergine. Il problema religioso diventa un problema di credenze improponibili. Ed è facile sostenere che siccome si tratta di credenze irrazionali e false, l’intero problema religioso è in realtà un problema psicologico di credulità se non addirittura d’autoillusione. Ora, l’esperienza religiosa è essenzialmente un problema legato al rito, e com’è noto l’efficacia di un rito non dipende dalle credenze di chi vi prende parte, così come un battesimo è valido anche se il prete che lo officia ha perso la fede, o un matrimonio se l’assessore che lo celebra crede nell’amore libero. Lo stesso vale per le cosiddette descrizioni naturalistiche della cultura umana: ci si affanna a mostrare che anche molti animali non umani, ad esempio, sono in grado di imitare i comportamenti altrui, e così si afferma con soddisfazione che la cultura umana non è un fenomeno speciale. Sia speciale o meno, da Durkheim in poi sappiamo che la cultura umana è un insieme di istituzioni le quali hanno una vita indipendente da coloro che le abbracciano e usano, a partire dal caso esemplare delle lingue, che com’è noto sono arbitrarie, cioè non dipendono dalla volontà di coloro che le parlano. Di questo fondamentale aspetto della cultura umana le scienze cognitive però non si occupano, e talvolta sembrano proprio neanche coglierlo.

Il mito di Issione

Su Il Mattino di oggi:

E se al sistema politico italiano toccasse la stessa pena inflitta ad Issione? Il Re dei Lapiti, invitato alla mensa degli dèi, cercò di sedurre Hera, la sposa di Zeus. Il Signore dell’Olimpo diede allora ad una nuvola le sembianze di Hera e la inviò ad Issione, che su di essa sfogò le sue brame. Dall’amplesso nacque la stirpe dei Centauri, mostri favolosi per metà uomini e per metà cavallo. Issione terminò i suoi giorni nel Tartaro legato ad una ruota infuocata che gira eternamente nel cielo.
Ora, è probabile che nessuno degli autori antichi che ci ha tramandato questa storia pensasse ai sistemi elettorali. Tuttavia il mito si attaglia benissimo. I politici rischiano a volte di somigliare ad Issione: il loro sogno, Hera, è quella legge elettorale che soddisfi completamente i loro inconfessabili desideri (più o meno: scansare la fatica di raggiungere la maggioranza dei consensi, ricevendola in dote da opportuni meccanismi di legge). Ma come il mito insegna che nessun uomo può forse mai dire di possedere completamente una donna, e che anzi gli tocca di acchiappar nuvole, quando in tal modo si illude, così, applicandolo al caso nostro, suggerisce che inseguire il sistema elettorale perfetto è una pia illusione. Anche gli altri tasselli del mito vanno al loro posto: la mensa con gli dei è forse l’incontro del 30 novembre fra Veltroni e Berlusconi, e la riforma rischia di uscire, dalla complessa partita che si è appena avviata, con fattezze alquanto ibride: per metà tedesca per metà spagnola; proporzionale però anche maggioritaria; bipolare ma non poi troppo, e persino, in maniera inedita, binominale, nel senso che nei collegi uninominali lo sconfitto spesso ce la farebbe comunque. Infine, la ruota di Issione pare alludere all’impressionante ripetitività con la quale la competizione politica prende a ruotare intorno alla questione elettorale.
Naturalmente, che una nuova legge elettorale sia indispensabile è vero; e se anche non lo fosse ci penserebbe il referendum prossimo venturo ad imporre l’appuntamento al paese (Consulta permettendo). È possibile poi che il nuovo partito democratico da un lato, e dall’altro il nuovo partito della libertà, spezzino finalmente il cerchio sempre uguale in cui la politica sembra essersi rinchiusa da più di un decennio. Ma non va dimenticato che in ogni caso non possono essere (perché non sono mai state) le leggi elettorali a risolvere i problemi di sistema della politica italiana. Che sono legati per un verso alla necessità di adeguamenti istituzionali, per l’altro, più banalmente, alla capacità di proposta politica delle forze in campo. E come, per il passato, nessuno si sognerebbe di raccontare la storia politica italiana in funzione del sistema elettorale adottato, così i cambiamenti introdotti negli ultimi anni, con un ritmo crescente, in materia di leggi elettorali, saranno descritti dallo storico che verrà più probabilmente in termini di effetti che non di cause. In generale, l’efficacia dell’azione di governo dipende da ragioni politiche molto più che dai congegni elettorali. E per fare solo un esempio, se oggi è sacrosanto denunciare (come ha fatto Giuliano Amato) il premio di maggioranza come una specie di Viagra, è perché stanno finalmente prendendo forma partiti politici capaci di farne a meno – mentre finora si era percorsa purtroppo la strada contraria: dare il premio poiché i partiti da soli non ce la fanno.
Qual è allora la morale della favola, cioè del mito? Issione era un brigante matricolato. Quando si sedette alla mensa degli dèi, aveva già alle spalle un assassinio e uno spergiuro. Ciononostante, Zeus, ottimo politico, gli diede una chance. Per fortuna, nessuno dei nostri leader ne ha combinate di così grosse; però c’è da sperare che non ci voglia la pazienza o l’astuzia di un dio, ma che basti un po’ di lungimiranza politica per evitare al paese il supplizio che Zeus inflisse al suo ospite, e cioè, nel caso nostro, la pena di una discussione inconcludente. Lungimiranza, e un po’ di auspicabile concretezza, per non disperdere tra le nuvole del perfettismo elettorale l’obiettivo di una robusta riforma della politica.

Discombobulating

E’ partita nel gennaio del 2007 (sono sempre in ritardo), è peer-reviewed, ed è dedicata allo "Elvis della teoria culturale" e al più marxista dei fratelli Marx. A Zizek, insomma, il cui lavoro suscita enormi interessi perché riesce ad applicare conoscenze accademiche altrimenti esoteriche alla politica e alla cultura di massa. La rivista in questione è la International Journal of Zizek Studies.

Fa piacere sapere che in sede di presentazione si escludono intenti agiografici, benché si ammetta che è discombobulating intestare una rivista a un pensatore assai loquacemente vivente. (E così i Kant-Studien e gli Hegel-Studien imparano a fare i tirchi in rete).

La rivista scombussola, si diceva. Basta leggere, dello Elvis, Why Heidegger Made the Right Step in 1933

Tarocchi

L’editoriale de il Foglio di sabato cita René Girard: "La debolezza dell’Occidente è che non crede più ai suoi capri espiatori". Sarà. Ma la debolezza de il Foglio si vede tutta dal fatto che tarocca le citazioni, come mi accade di spiegare su Left Wing (e come ognuno può verificare qua)

Uno statuto proprietario incerto

Augusto Illuminati recensisce il volume deleuziano su Spinoza attualmente in libreria,e ha l’accortezza di avvisare che il testo è interamente disponibile in rete. Sicché leggete pure la recensione, ma soprattutto scaricatevi le lezioni.

P.S. Io non mi sono accorto che dopo l’estate nel dibattito politco e culturale del paese Spinoza è diventato centrale: "Scalfari ne ha fatto un’icona, quasi il nume tutelare – insieme a pochi altri – dei valori del nascente partito democratico"

Danni collaterali

Un paio di occhiali rotti, un paio di multe, un tamponamento, una macchinetta del caffè bruciata, un libro e un giornale smarriti, e nient’altro, credo.

(grazie a tutti)

 
che praticamente non ho ancora conosciuto in questo mondo,
forse perché lo ha abitato solo di sfuggita,
come tutti coloro le scoperte dei quali
se ne stanno nel mondo vero.
 
 
 
Gli uomini oggi non credono all’esistenza reale dei numeri,
perché questa non è riducibile alla loro forma di vita;
ma sapranno cambiare idea,
quando si accorgeranno di una vita umana
che ha la stessa stoffa di cui sono fatti i numeri?
L. V. T.

Questioni cosmologiche

Enrico: – Papà, ma viene prima il giorno o prima la notte? -.
Il papà, che ha già provato più volte a spiegare rotazioni e rivoluzioni, fa segno verso l’ovale del lavandino, distingue due archi secondo il verso del beccuccio del sapone liquido, posto al centro del lavandino, e comincia a far ruotare lo spazzolino in aria, lungo la linea dell’ovale. Poi domanda:
– Allora cosa viene prima, il giorno o la notte?
Enrico è perplesso. Renata finisce di far pipì e spiega:
– Ma nessuno dei due! E’ un cerchio, non ha inizio.
Enrico, lamentoso: – Non è vero, viene prima il giorno -.
Papà: – Perché? -.
Enrico: – Perché se non veniva prima il giorno, Dio creava le cose di notte e poteva sbagliare perché di notte non si vede -.

Mi rendo conto che il contesto creazionista non giustifica perfettamente l’accostamento, ma non siamo molto lontani da Aristotele, per il quale non ci furono per un tempo infinito il caos o la notte, ma sempre le medesime cose, o in tondo (ciclicamente), o in altro modo.