Archivi del giorno: novembre 12, 2007

Volti

I titoli sono tutti accattivanti, e perciò vi segnalo il blog della collana Volti, di Mimesis. Poi ci metto che in questa collana è appena uscito I tempi della poesia, di Vincenzo Vitiello, e sta per uscire, a cura di un famoso (da queste parti) heideggerologo, F. Duque, El mundo por de dentro.

E il naufragar m'è dolce

Io capisco il liberalismo, figuratevi, i diritti fondamentali degli individui: d’accordo. Capisco il relativismo, la crisi dei valori e tutto quel che segue, ma siamo ormai a un punti di non ritorno. Al punto che Lavinia e John Elkann chiamano il figlio Oceano, rendiamoci conto.

Ahimè, non c’è più il capitalismo familiare di una volta. (Che se poi fossi patriottico, avrei chiamato i miei tre figli Tirrenia Adriatico e Ionio, almeno almeno).

P.S. Però la tradizione è salva, perché abbiamo sant’Oceano.

Le ragioni nascoste

Su Il Mattino, ieri, è uscito questo articolo qua:

Anima concupiscibile, anima irascibile, anima razionale. Per Platone siamo fatti così: desideriamo, ci adiriamo, ragioniamo. Non che la sua idea dell’uomo debba essere presa necessariamente per buona. Tuttavia torna utile, specie quando si tratta di cronaca nera. Prendete i fratelli Karamazov, capolavoro di Dostoevskij che ruota tutto intorno a un delitto. Muore il vecchio e laido padre Fëdor. Ad ucciderlo, senza avere un vero motivo ma desiderando di averne uno, per riscattarsi almeno nel male, è il figlio illegittimo, il rancoroso Smerdjakov: l’anima concupiscibile. In carcere finisce però Dmitrij, l’anima irascibile, l’impetuoso ufficiale che volentieri avrebbe ucciso il padre per una folle gelosia. Ma ad aver teorizzato il delitto è stato Ivàn, l’anima razionale, che si spinge fino ad un passo dall’omicidio gratuito, al solo scopo di dimostrare la propria illimitata volontà di potenza, in spregio a ogni morale. (C’è ancora un fratello, Aleksèj, ma la sua anima non è gravata da pensieri delittuosi, il che dovrebbe darci una chance)
Ora, immaginate di essere la Metro Goldwin Mayer, e di produrre un film su questo capolavoro della narrativa russa: chi dei fratelli Karamazov mettereste in cartellone? A chi dei fratelli fareste giocare il ruolo di protagonista? A Dimitri, naturalmente, e infatti nel drammone di quasi cinquant’anni fa era Yul Brinner a dominare la scena, con il colbacco in testa e una donna ai suoi piedi.
Noi non pensiamo molto diversamente dalla Metro Goldwin Mayer. Dovessimo scegliere, lasceremmo che a commettere il delitto, qualunque delitto, sia un’anima grande, disposta a rovinarsi per un motivo altrettanto grande: per una travolgente passione, per un orgoglio smisurato, o anche, se ci attirano le febbri cerebrali di Ivàn, per un’ossessione metafisica o una cieca furia ideologica.
E invece accade spesso che il delitto sia compiuto da anime basse e vili, persino meschine, e che terribili fatti di sangue siano commessi per futili motivi. Vorremmo prestare agli assassini un impeto romantico e una tensione ideale, sia pure volta al male, vorremmo immaginarli dominati dagli slanci potenti di un’anima irascibile, e invece nella scena che dopo la notte dell’omicidio si sgrana grigia nella luce del giorno, restano macchie di sangue e qualche impronta, il laborioso affaccendarsi della polizia, e del resto nessuna traccia.
Così è stato, ad esempio, per il delitto nella quiete di Cogne, poi per quello condominiale di Rosa Bazzi e Olindo Romano, e più di recente per il delitto di Garlasco e da ultimo per l’omicidio della povera Meredith, a quanto pare commesso tra studenti fuori sede in cerca di nuove emozioni. Non sappiamo ancora come si siano svolti i fatti, ma siamo stupefatti per l’esiguità dei moventi, e per la normalità di vita dentro la quale si inserisce il crimine efferato. Eppure va quasi sempre così, ed è forse solo per il bisogno di esorcizzare il male che preferiamo dipingerlo in grande formato, così da renderlo eccezionale e spingerlo lontano dalla nostra quotidianità. Purtroppo, certi delitti di sangue accadono invece stupidi come gli incidenti, quasi con la stessa ingovernabile fatalità, in contesti affatto ordinari, non diversi da quelli nei quali noi tutti viviamo.
Ma siccome questo non è accettabile, sentiamo l’esigenza di dare all’omicidio un senso, di prestargli una cornice tutta particolare, di renderlo significativo non si sa bene di cosa. Di significativo c’è invece soltanto il nostro bisogno di reperire un senso pur che sia. Sicché, invece di domandarci quale significato abbia per il nostro tempo, la nostra società e o il futuro dei nostri figli che si commettano delitti del genere – una domanda che nessuna generazione di genitori ha potuto evitare di porsi – sarebbe il caso di domandarsi quale significato abbia il fatto che si scelgano simili vicende per trarre pronostici sull’avvenire. Ogni società ha infatti avuto bisogno di decifrare il proprio futuro. Gli antichi cercavano nelle viscere degli uccelli; noi sembra che dobbiamo guardare nelle nostre stesse viscere. Quel che è più preoccupante, non è dunque la funesta previsione che vogliamo trarne, quanto piuttosto da dove ci sforziamo quotidianamente, di trarla, cercando nelle pieghe della cronaca nera nuovi Dmitrij e pescando sempre turpi e deboli Smerdjakov.