Si stava meglio quando si stava peggio? Beh, forse non è proprio così, però Giorgio Agamben ritiene che “se uno storico confrontasse i dispositivi di legge esistenti durante il Fascismo e quelli in vigore oggi, ho paura che dovrebbe concludere a sfavore del presente”.
Se non si tratta di una mera provocazione, Giorgio Agamben immagina che lo storico in questione – ma forse, in fondo, lui stesso – rimpiangerebbe di non essere vissuto sotto il Fascismo…
Ad ogni modo, ci sono due cose che non mi sono chiare nell’intervista. La prima riguarda la tesi secondo cui certe misure di sicurezza non servono per prevenire i delitti, casomai per impedire che vengano ripetuti. Servono, più precisamente, per acchiappare chi ha già commesso un delitto, grazie a tutto ciò di cui si è oggi capaci per identificare e tenere sotto controllo le persone. Posto che sia così, bisognerebbe forse adottare misure che prevengano la stessa possibilità di commettere un delitto? Ma io non mi sentirei molto rassicurato da un potere che, come i precog di Dick e Spielberg, fosse in grado di riportarmi all’ovile ancor prima che io commetta un delitto…
La seconda cosa riguarda la ‘quantità’ di libertà di cui disporremmo oggi. I nostri movimenti fisici e virtuali sono come mai prima d’ora rintracciabili: grazie a telecamere, connessioni, schede, carte di credito, cellulari, ecc. ecc. Questo controllo è però potenziale, nel senso che non c’è nessuno che sverni ad esempio 24 su 24 dietro l’occhio di una telecamera. Solo nel caso che accada un delitto nel luogo sorvegliato dalla telecamera, il filmato può essere messo a disposizione della magistratura (secondo procedure di legge – che non è un particolare irrilevante). Se io ho garanzie che in altri casi nessuna autorità giudiziaria può servirsi del filmato, debbo ritenere di essere sottoposto a un controllo asfissiante? Non mi pare. Con questo non voglio dire che le telecamere mi fanno piacere, ma che in simili faccende non conta solo il ‘significato’ di una certa misura, ma la sua portata effettiva. Agamben cita una legge non più applicata, in materia di ospitalità: l’obbligo di denunciare la presenza nella propria casa di un ospite. E gli pare più rilevante il fatto che quella legge sia sopravvissuta, che non il fatto che non sia più applicata. A me pare invece che sia decisamente più rilevante il contrario: che non venga applicata, benché sia sopravvissuta. (Dopodiché abrogratela, per favore).
(Io poi non sono un esperto di diritto comparato, ma credo che vi siano al mondo un buon numero di paesi, la cui patina di democrazia formale, che tanto pare insufficiente ad Agamben, è ancor più ridotta, ma che in compenso hanno anche un bel numero di leggi illiberali scrupolosamente applicate)
Considerato che nel da Agamben citato ventennio vigevano le leggi razziali – non proprio il massimo del libertarismo – e che il dissenso era curato a bastonate e confino – le une e gli altri legalissimi – credo che si possa condannare Agamben per miopia storica, pur riconoscendogli come attenuante la sfiga di avere avuto per intervistatore Cortellessa, che come giornalista mi sembra un po’ negato.
Eppure sono sicuro che tu comprenda bene la prospettiva da cui ragiona Agamben. Al centro del suo discorso non sta tanto la effettiva efficacia di questi dispositivi, bensì la centralità che, nel discorso politico e giuridico, viene ad assumere il dato biologico umano (in questo caso il codice genetico archiviato in database governativi) a discapito della componente ‘intenzionale’, se così vogliamo dire, dell’agire politico. Credo che Agamben ragioni a partire dal disegno di uno scenario futuro, dalla possibilità aperta da certe dinamiche politico-giuridiche rese disponibili dalla tecnica, dalle tecnologie.
Giovanni.
“securitario” sta ormai per sostituire nella fraseologia mariana del postpostoperaismo “biopolitica” (che in effetti era un po’ ostico).
il postpostoperaismo è quella corrente dell’induismo contemporaneo per cui basta scoprire una parola nuova, estratta dal suo naturale contesto, applicarla ad minchiam a tutto l’universo, convincersene e ripeterla come un mantra e mezza realtà è già cambiata.
bg