Bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, e al Papa quel che è del Papa. Il discorso che il Papa aveva in animo di pronunciare alla Sapienza è un gran bel discorso. Non ho tempo né modo di condurre un’analisi critica approfondita. Mi limito perciò a due notazioni, una particolare e l’altra più generale:
1. Per delineare i contorni generali della riflessione filosofica sopra le condizione della legittimità politica moderna generalmente accettate, il Papa si riferisce essenzialmente a Habermas e Rawls.Io sono stato oggi a un certo incontro per una certa cosa che prima o poi comparirà pure sul blog, e avevo sul quadernetto questa bella considerazione: "A Theory of Justice di John Rawls, apparsa nel 1971, deve essere retrospettivamente giudicata – per usare la nota metafora di un filosofo che Rawls non amava, cioè Hegel – come una sorta di ‘nottola di Minerva che vola sul far del crepuscolo’, cioè come l’idealizzata ricostruzione post factum di un tipo di patto sociale che stava già esaurendo le sue potenzialità di sviluppo". Credo proprio che l’autore non avrebbe soverchie difficoltà a riferire questo giudizio anche alla teoria politica di Habermas. Ed io con lui.
2. Il Papa esprime il modello tomista dei rapporti fra filosofia e teologica con la formula "trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro ‘senza confusione e senza separazione’". Il ‘senza separazione’ significa che "la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica". Il che è vero. Ma ciò non toglie che, in primo luogo, tale dialogo può essere anche critico; in secondo luogo, che la sapienza storica necessaria per non pensare il soggetto pensante come un punto zero non è necessario che sia sapienza teologica; in terzo luogo, che se la sapienza teologica è parte della sapienza storica conta filosoficamente per quanto è appunto una tal parte (e se conta anche per altro, la legittimità di questo altro non discende affatto dal suo essere parte della sapienza storica, sicché questo altro non è legittimato veritativamente dalla considerazione che è parte di una sapienza storica. Pare perciò perlomeno azzardato affermare la verità di quella fede, del suo nucleo essenziale, sulla base della storia dei santi o della storia dell’umanesimo cristiano, come fa il Papa, tanto più che il nucleo essenziale è forse, ma questo è solo un mio sospetto, un po’ meno ragionevole di quel che il Papa dà qui ad intendere); in quarto luogo, che se vi è un rapporto tra filosofia e teologia, è da chiedersi anche se la questione della possibilità o delle condizioni di un simile rapporto sia filosofica o teologica, con tutto quel che ne consegue. E a questo proposito: non c’è alcuna ragione di pensare che se la ragione si chiude al messaggo che le viene dalla fede cristiana, allora è una ragione chiusa nel cerchio delle proprie argomentazioni. Qui c’è un palese non sequitur, e pure qualche problema nello spiegare cosa siano le argomentazioni non proprie della filosofia che, pur rimanendo argomentazioni (il Papa a questo tiene molto), la filosofia dovrebbe apprendere da qualche altra parte
Ciò detto, ripeto che per me è un gran bel discorso. Il Papa è veramente preoccupato che l’uomo moderno possa arrendersi davanti alla questione della verità. Per quel che mi riguarda, io, da buon spinoziano, sento di poterlo tranquillizzare.
Bel discorso, certo. Peccato che non sia stato sinora pronunciato in alcuna delle occasioni in cui il papa era certo di parlare senza essere disturbato da una “minoranza” dissidente (ma se era davvero minoranza, perché disturbava?). E che sia stato inviato post factum. Eppure, per dissipare dubbi maliziosi quali il mio, sarebbe bastato che, sua sponte, il dottor Ratzinger avesse confermato la sua partecipazione all’inaugurazione dell’anno accademico, chiedendo però il contraddittorio con i docenti dissidenti, richiamandosi eventualmente alla tradizione delle università medievali. Tu credi che il magnifico rettore avrebbe opposto un rifiuto a questo strappo alla regola?
girolamo
Bella l’idea della confutatio, proposta da Girolamo. la confutatio -però- riguardava dibattiti su temi alti. Penso a quella tra i teologi ebrei, a quella tra cattolici e protestanti, al tomismo, alla discussione sull’umanesimo…
Condivido appieno la chiusa di speranza del post. Speriamo…
Io non sono un vaticanista, ma siccome riconosco grosso modo nel discorso molte delle convinzioni papali sul rapporto fede ragione, non vedo perché supporre che il discorso sia stato preparato in fretta e furia post factum (oppure, come ha scritto malvino, ipotizzare che prima di ogni incontro il Papa ne scriva o faccia scrivere tre o quattro). Il mio commento tocca punti che sono sicuro il Papa ha ripreso più volte, in discorsi o libri. Non credo proprio che questo sia il nodo della faccenda. E sono peraltro convinto che i problemi sorgono piuttosto quando si vedono i contenuti che ratzinger assegna a una ragione naturale (ma, domanda: uno scienziato che ragione iuxta propria principia, questi principia dove diavolo li ha presi? Son, per caso, naturali? Questa domanda mostra che c’è bisogno di filosofia, che è una cosa che scoccia qualmente gli scienziati, anche se è diverso essere seccati dai filosofi piuttosto che dal Papa della Chiesa cattolica).
E siccome di contenuti non si parlava, né occorreva che se ne parlasse, e siccome non c’è bisogno di supporre che Ratzinger avesse il bisogno di parlare di aborto in un’occasione simile, non vedo che bisogno ci sia di essere ambiziosi, sul punto.
Quanto poi all’idea che si stesse lì a discutere, è il mio sogno. L’ho scrito in un post precedente, credo: Ratzinger prende la parola per penultimo. Quando era cardinale, credo che qualche volta gli sarà pur capitato, ora non so… Ad ogni modo, nella circostanza, temo che proprio il cerimoniale dell’inaugurazione non potesse prevedere dibattito. E che da un Papa, in quanto Papa, ci si può ormai aspettare atti magisteriali, testimonianze, temo non dibattiti.
ciao! m
(Maliziosi, non ambiziosi)
Già: un discorso post factum, post festum. E la sussunzione del Vero sotto il Bene rimanda ancora un magistero infallibile di cui il papa si sente depositario. Nihil sub sole novi.
Il tuo sub-conscio ritiene dunque che l’ambizione si coltivi solo con la malizia?
Il venerabile
Non ho capito
vedi la tua precisazione numero 4
Il venerabile
(Ah, ecco!) Rispondo per la parte conscia: no. Però forse dipende dai tipi di ambizione
Anche a me sembra un bel discorso.
E comunque, che c’e’ uno che si affaccia in piazza San Pietro vestito con un singolare abito bianco con davanti un sacco di ciellini e gli parla di Rawls e Habermas mi da una qualche speranza. In qualsiasi modo ne parli.
E’ vero che è un bel discorso. Ed è anche vero che la sfida di Ratzinger a pensare la relazione tra spazio pubblico e verità mostra una consapevolezza della fine delle condizioni che rendevano possibile il modello del patto rawlsiano e la fine di quel tipo di distinzione tra “bene” e “giusto”. Ma il problema è che dal mondo laico, nessuno risponde a quell’altezza. Dopo aver impoverito la concezione dello spazio pubblico e averla ridotta a semplice ricerca di un precario equilibrio di forze (sino a discorsi indecenti del tipo: in Italia c’è il Papa e il vaticano, quindi essere laici da noi significa, “realisticamente”, essere eternamente compromissori, e dare di volta in volta un po’ di ragione pure alla Binetti…), il mondo laico finisce per plaudire ad un discorso come quello, confondendolo con una difesa dell’autonomia dell’università, e, persino, della laicità dei saperi. Poiché nessuno riesce ad articolare una risposta degna della sfida, allora plaudirei comunque alla fiera risposta “scientista” dei fisici, e, ancor più, alle “frocessioni” degli studenti. I quali ultimi, almeno, hanno intuito perfettamente che la risposta a Ratzinger parte dalla questione dei corpi.