Archivi del mese: febbraio 2008

Pietanze

L’articolo di cui sotto:

Come si preparano le pietanze politiche? Con la salsa pannelliana, a quanto pare, non vanno facilmente giù. Vengono fuori pasticci, e quelli che, nel mondo cattolico, fra i teodem e i popolari, non digeriscono l’accordo tra i radicali e il partito democratico si lamentano più di quanto probabilmente Veltroni si aspettasse. Eppure le ragioni sono dalla parte di quest’ultimo, poiché l’accordo raggiunto non modifica né stravolge la cornice che il pd si è dato per trovare un terreno di discussione e di confronto sui temi eticamente sensibili. Quella cornice, approvata all’unanimità, ha preso la forma di un manifesto dei valori, nel quale si ribadisce con inequivoca nettezza il principio costituzionale della laicità dello Stato. Il manifesto afferma che la laicità è una garanzia per l’esercizio dei diritti e dei doveri di tutti ed è la condizione, non neutralmente indifferente, perché “culture e concezioni ideali diverse non solo convivano ma si ascoltino”. Il manifesto riconosce la rilevanza “pubblica, e non solo privata” delle religioni, ma pari riconoscimento tributa a ogni convincimento filosofico ed etico, il che significa che non si richiederà ai teologi o ai filosofi di confinare le loro convinzioni ultime nel foro interno della coscienza individuale, ma neppure si pretenderà di sacrificare il pluralismo delle visioni etiche e religiose all’uniformità di un’unica dottrina.
Nessuna novità, dunque. Nessuna deriva laicista (qualunque cosa la deriva laicista sia). Veltroni lo ha ribadito ancora ieri. Si è stupito delle reazioni, e allo stupore ha aggiunto una maliziosa considerazione: come mai analoga levata di scudi non si ebbe nel 2001, quando con il polo delle libertà si schierò “Pannella (e non la Bonino, Pannella)”? Alla domanda di Veltroni risponderanno i posteri, forse, ma intanto la distinzione fra Emma Bonino e Marco Pannella colpisce ugualmente. La Bonino vanta infatti un indiscutibile capitale di credibilità, sia interno che internazionale. Ma in nessun modo questo capitale è stato accumulato distinguendosi dai furori laicisti di Pannella. D’altra parte, è difficile pensare di dividere i radicali fra governativi e movimentisti, collocando magari la Bonino sulla prima, più quieta sponda, e Pannella, invece, ad agitarsi sulla seconda. Candidare l’una dovrebbe valere dunque quanto candidare l’altro. L’iniezione di laicità dovrebbe essere la stessa. E invece no.
Il fatto è che l’imbarazzo nei confronti dei radicali è stato ed è, a torto o a ragione, un imbarazzo anche nei confronti del modo in cui hanno condotto in passato e ancora conducono le loro battaglie politiche. Nel panorama politico italiano, il partito radicale è stato infatti una presenza beneficamente eretica, a volte sino allo scandalo, ma anche carismatica e settaria. Distinguendo Bonino da Pannella, Veltroni tenta l’impresa (finora mai riuscita) di portare il fermento delle iniziative radicali dentro un contenitore più ampio, nel quale non possono più riproporsi nelle forme narcisistiche e spesso autoreferenziali in cui venivano finora condotte.
Può darsi che in questo modo la pietanza abbia ancora un gusto troppo speziato, ma questo vorrà allora dire, probabilmente, che sono gli ingredienti del partito democratico ad essere abbastanza scipiti. Non può essere infatti la difesa della legge 194, il testamento biologico, la legge 40 sulla fecondazione artificiale o le coppie di fatto il terreno sul quale non è possibile trovare un terreno d’intesa con i radicali, dentro la cornice laica e le dinamiche di partito del pd. Questi temi saranno pure eticamente sensibili, richiederanno pure le obiezioni di coscienza di taluno, ma sono anche, in buona parte, materia di riconoscimento di diritti fondamentali, sui quali il partito democratico farebbe bene a non arretrare troppo. A non arretrare, almeno, più indietro di quanto la società italiana non sia nel suo complesso avanzata negli ultimi anni: non solitariamente, ma insieme a tanta parte del mondo moderno.

Il Pd diviso sulla trincea della laicità

Sul Mattino, ore 14. (Che nelle mie intenzioni la divisione doveva passare anzitutto nella cosa radicale, e la laicità non doveva essere una trincea)

Daniel Mendelsohn

"Al Museo dell’Olocausto di Washington hanno allestito un carro bestiame, simile a quello su cui deportavano gli ebrei. La gente ci sale su, poi va a prendere un’insalata di pollo alla caffetteria attigua e sospira: "Ora ho capito cosa è successo agli ebrei". E’ disgustoso. D’altra parte, perché stupirsi? L’Olocausto non è un’esperienza americana. Tutto quello che noi sappiamo è di seconda mano". "Non sono tra coloro che pensano che la poesia sia finita dopo Auschwitz, credo semmai che l’arte sia il modo più discreto e incisivo per esplorare l’inesplorabile. Vuoi sapere cosa significa sopravvivere allo sterminio del tuo popolo? Leggi la storia di Noè. Vuoi comprendere cosa significa ammazzare un fratello? Per questo c’è Caino e Abele. Vuoi sapere perché la gente volla lo sguardo al passato? Rifletti sulla moglie di Lot".

"Io prendo dannatamente sul serio la civilizzazione. Per molti è insopportabie che molti la ritengano un gioco". "L’intricatezza della prosa è un riflesso dell’ossessione per l’oralità. Una cosa ereditata dai classici,da Omero a Erodoto. Loro ti insegnano che quando racconti una storia sei tenuto a fermarti, spiegare, fare un passo avanti e un paio indietro". "Sapevo che la differenza tra una storia interessante e una storia trascurabile equivale alla differenza che c’è tra letteratura e cronaca. Non è detto che un fatto vero esprima alcuna verità. E talvolta la verità ha bisogno dell’immaginazione per affermarsi".

Daniel Mendelsohn a colloquio con Alessandro Piperno, sul Corriere di oggi. Non online (credo). Sono così vicino a questo modo di intendere la letteratura, che mi son preso la briga di copiare. Direi solo che se per capire il significato profondo di questo o di quello c’è differenza fra il salire sul carro bestiame e il leggere di Caino e Abele e perché solo nel secondo caso si comprende almeno quanto non si comprenda, mentre nel primo si comprende tutto (quello che è comprensibile), e perciò non si comprende affatto.

(Il libro di Mendelsohn che dà occasione alla conversazione è Gli scomparsi).

L'importante è esagerare

In filosofia, s’intende, dove "every justified exaggeration is no longer an exaggeration". Il libro di Alexander Garcia Düttmann, Philosophy of Exaggeration, dedicato alla filosofia continentale sembra, a giudicare dalla recensione, assai interessante. E io l’avrei anche acquistato, se il prezzo non fosse stato, francamente, esagerato

(Qui, Jannacci)

Eugenetica

Non so come prendere la notizia. Per me, è eugenetica. Per me, bisogna porre un limite al progresso scientifico e tecnologico. Per me, l’ingiustizia nei confronti di chi non potrà beneficiare dei risultati della ricerca è intollerabile. Per me, la natura non può essere sfidata così impunemente. Per me, che ho preso pubblicamente decisioni irrevocabili, è un vero affronto. Finirà che mi sentirò discriminato. Per me, certe scoperte possono metterti veramente di cattivo umore per l’intera settimana.

L'antropologia: un vademecum

L’antropologia. L’antropologia di Veronesi. Francesco D’Agostino, su Avvenire, spiega che l’antropologia riduzionista di Veronesi non va. Non se sia o non sia cattolico, ma proprio l’antropologia. Voi capite che la richiesta è intellettualmente onesta ma molto, molto esigente. Purtroppo D’Agostino non chiarisce quale antropologia o quali antropologie invece gli vadano bene. A meno che non voglia dividere il campo in riduzionisti da una parte e non riduzionisti dal’altra (starebbe in compagnia con i neo-pagani, ad esempio), il problema è serio. D’Agostino deve aiutarci: quante antropologie distingue, e quali vanno bene? Escluso infatti che gli vada bene solo quella cattolica (alrimenti torniamo a candidati cattolici e non cattolici), diviene necessario procurarsi un manuale di antropologia e scienze umane a titolo di vademecum elettorale.

(Ignazio Marino non ha obiezioni antropologiche da muovere a Veronesi; Luigi Manconi ha un bel modo di difenderlo).

La proposizione perfetta/6

"Se di qualcosa non sapete dar ragione, allora dite che questo qualcosa è la ragione di tutto".

(Le altre proposizioni perfette: la quinta. Qui i link alle altre quattro)

Il testo

“Quarant’anni da parlamentare più cinque in Europa mi sembrano sufficienti”, ha detto ieri Veltroni, ed è difficile non convenire. La lunga e importante storia politica di De Mita non deve terminare con la mancata ricandidatura al Parlamento italiano, ma, come tutte le storie, deve terminare. E l’uomo, che ha sempre difeso un’idea nobile e alta della politica, fa torto alla sua stessa idea quando, reagendo rabbiosamente alle decisioni prese dal partito, dichiara: “io, l’ultimo comizio lo farò quando muoio”, poiché anche questo è un modo di mescolare l’anagrafe con la politica. Sarebbe stato più convincente e più utile impegnarsi in una riflessione sul progressivo mutamento del panorama politico italiano negli ultimi anni, che De Mita ha vissuto quasi sempre sotto il segno delle “accelerazioni negative”, dei mancati “ragionamenti” che avrebbero dovuto volta a volta consigliare un altro passo: più prudente, più misurato, più meditato. Non che non avesse, spesso, ragione, poiché l’ansia del nuovo per il nuovo non è sempre foriera di buoni risultati, ma di certo il passo che il Partito Democratico ha impresso oggi alla politica sta nettamente sotto il segno di un’accelerazione positiva, di cui beneficia l’intero arco delle forze politiche e la democrazia nel suo insieme. La sfida che il PD ha lanciato prende però il significato e riceve credibilità dal cambiamento che sarà in grado di realizzare: nei metodi, nei programmi, negli uomini. Quel che si vede già è una nuova, profonda riorganizzazione dello spazio politico: la ricomposizione di aree politiche frammentate secondo linee di divisione non più giustificate da ragioni politiche o programmatiche, e, finalmente, l’erosione di piccole rendite di posizione con forte potere di interdizione, sia a livello locale che a livello nazionale. L’immobilismo politico ne era la più naturale e più deleteria delle conseguenze. Quel che si deve vedere ora, già in sede di composizione delle liste, è un forte tasso di cambiamento, specialmente in quelle regioni dove il ceto politico non ha dato miglior prova di sé. Non si tratta di opporre ai vizi inveterati della politica le virtù rivoluzionarie e immacolate della società civile, ma di una sorta di ordinaria manutenzione della cosa pubblica, delle misure di profilassi delle quali un sistema politico funzionante deve sapersi dotare, anzitutto grazie all’esercizio democratico del voto: si tratta cioè del naturale rapporto politico che occorre si stabilisca o ristabilisca fra l’azione, più spesso l’inazione, i suoi risultati e le relative responsabilità. Dalla necessità di robuste misure di profilassi non è peraltro immune nessuna delle forze politiche in campo. Non perché vi siano, in tutti i partiti, parlamentari in carica da parecchie legislature, ma perché in tutti i partiti sono inceppati i meccanismi di formazione della classe dirigente e, naturalmente, anche quelli della sua sostituzione. Il fatto che il partito democratico abbia imboccato con decisione la strada del cambiamento deve dunque fare da detonatore perché la stessa esigenza si propaghi per tutto il campo politico.
Quel che, infine, si dovrà vedere dopo le elezioni, è una migliore qualità dell’azione politica e amministrativa. Un buon criterio per individuarla si trova nell’allocuzione di quel celebre capo di governo, che ebbe a dire ai suoi sudditi, lasciando anche lui la sua carica:
“Addio dunque, signori miei […] nudo mi trovo e nudo son nato; non ho perduto né guadagnato.. Voglio dire che son venuto al governo senza un soldo e senza un soldo me ne vo: tutto il contrario di come sono soliti andarsene i governatori”. Chissà: forse non è bello pensare soltanto che chi lascia il governo lo lascia senza un soldo, ma anche che ha potuto andarvi non avendone nemmeno uno. Nell’ondata antipolitica che (a volte giustamente) si solleva, si sente solo reclamare la seconda cosa, e non anche la prima. Costruire una politica nuova, che è ancora una politica, significa invece costruire anzitutto la prima cosa, che è la più difficile. Lo diceva Sancio Panza, in quell’immortale capolavoro che è il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes.

Ma perché dovrei occuparmi di filosofia?

Problema tra i massimi di cui si debba preoccupare chiunque sia impegnato con il Ministero nel definire gli sbocchi occupazionali e i profili professionali e le abilità e le capacità e le competenze e questo e quello. Leiter Reports segnala come metta la cosa il Dipartimento della Victoria University di Wellington, che per attirare un po’ di studenti ricorda un certo numero di laureati famosi in filosofia, da Bill Clinton e Papa Giovanni Paolo II (ne vene che in materia di etica sessuale lo studio della filosofia non ti influenza univocamente) Woody Allen e Bruce Lee (ne viene che anche il vostro destino cinematografico può prendere le vie più diverse). Poi ci sono le definizioni di cosa sia la filosofia (un movimiento lento), e infine le abilità:

» look at issues from multiple points of view
» solve problems
» think logically and critically
» think independently and creatively
» synthesise information and identify main points
» consider pros and cons of an idea
» identify mistakes in reasoning

Insomma, un buon blog.

L'anagrafe e la politica

Su Il Mattino. Dopo le 14 lo metto qui.

Da un secolo all'altro

Vi sono molti modi per uscire di scena. Uno dei più belli si trova citato tra le pagine del libro che De Mita firma insieme a Biagio De Giovanni e Roberto Racinaro, in un libro di pochi anni fa:
“Addio dunque, signori miei […] nudo mi trovo e nudo son nato; non ho perduto né guadagnato.. Voglio dire che son venuto al governo senza un soldo e senza un soldo me ne vo: tutto il contrario di come sono soliti andarsene i governatori”. (Sancio Panza, nel Don Chisciotte).

L'anima e la sua plausibilità

L’ultimo libro di Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, ha venduto decine di migliaia di copie o forse più. In questa pagina, trovate le più significative e per dir così ufficiali stroncature teologiche, quelle della Civiltà Cattolica e dell’Osservatore Romano, nonché la bella replica dell’autore alla prima delle due (la seconda replica è attesa). Ora non ho il tempo di linkare altre cose interessanti sul’argomento, ma vi linko, almeno, l’articolo che ho dedicato al libro su Left Wing, che comincia con domande come queste:

“Com’è possibile che tutta l’immensa vicenda umana dipenda da un singolo evento? Ma Dio, il Padre di tutti gli uomini, non avrebbe potuto trovare qualcosa di più chiaro e di più sicuro per aiutare i suoi figli […]? E soprattutto, non avrebbe potuto trovarlo prima, visto che la resurrezione è avvenuta solo duemila anni fa?”.

Domande non mie, di Mancuso.

Endorsement

Mi fa piacere sapere, grazie a Malvino, che Clinton legge Azioneparallela, o almeno i suoi ultimi post.

Quando la mia esistenza è priva di passione ammutolisco, e la fonte non zampilla

Gli zampillii di Heidegger, di cui s’era tentato di dare notizia qui, sono tradotti in italiano, nel carteggio voluto dalla nipote di Elfride Heidegger. Li presenta Franco Volpi sul numero di Panorma in edicola (online solo per utenti registrati). (Altra segnalazione, qui). (A suo tempo)

Novecento senza aborto

L’articolo sul Mattino richiede qualche supplemento, per la discussione avviata con Ffdes e con SchwarzWelf (nei commenti).
A Ffdes.
Sì, io considero normale (e civile) dare fiducia alle persone, e supporre in generale che comprendano quel che comprendo io. Almeno fino a prova contraria. Dunque supporrò che se io ritengo un certo caso omicidio (che a quel che so è un reato molto grave, il più grave, un reato sul quale non si può sorvolare: in generale, non mi risulta che dinanzi a morti violente la prima mossa dell’autorità sia quella di condurre accertamenti sullo spirito del tempo: può essere l’ultima, non la prima), se io ritengo un certo caso omicidio, ci sarà un omicida. Prima di rinunciare a trovare un omicida, di solito, ce ne corre. (SchwarzWelf, peraltro, magistero alla mano, mi pare concordi). (Corollario polemico: la polizia farebbe di conseguenza bene a entrare di più negli ospedali).
Ffdes non mi dice nulla circa la stima che io gli chiedo: quante donne sanno che abortendo mettono termine a una vita umana? Io sarei portato a ritenere tutte, quasi tutte, la maggioranza, Ffdes no, forse pensa un piccolo, piccolissimo numero: non so. Se un piccolo numero, vorrei che scrivesse magari sul suo blog: c’è un piccolo numero di donne assassine, là fuori. Vorrei che anche Ferrara facesse la sua stima, e scrivesse sul giornale: la maggioranza delle donne non sa di commettere un omicidio (che già questo è abbastanza offensivo); ma sicuramente (è un fatto statistico) ce ne sono alcune che lo sanno: quelle sono assassine (e questo è coerente). Converrebbe individuarle, per non gettare un sospetto morale su tutte le altre… Vorrei perciò che si auspicasse fortemente la condanna penale per le (poche) assassine: continuo a non capire perché, fosse anche una su mille a abortire sapendo che è una vita umana, ecc., quest’assassina non debba essere assicurata alla giustizia. Perché si consideri un dramma e uno scandalo senza pari l’aborto, e non anche che delle assassine vadano sistematicamente impunite.
Poiché il termine omicidio che viene qui usato è lo stesso che viene usato in altri casi di morte violente che non riguardano feti – e la ragione, a quel che il mondo ignaro apprende, è precisamente che si tratta della stessa cosa – vorrei che si dicesse chiaramente, quando si fa la somma degli aborti degli ultimi trent’anni, che va ridimensionato, al confronto, il nazismo. Idealmente: se qualcuno mi facesse scegliere: avresti voluto un Novecento senza aborti o senza nazismo, io, stupidamente, direi senza nazismo. Se guardo al numero dei morti dovrei dire invece: senza aborto.
(Se si trova urtante o provocatorio il confronto, mi scuso: ma è che io trovo urtante tutta questa faccenda).
(Faccio notare che Ffdes parla di vita umana. Almeno finora. Non so se con vita umana intenda persona umana. Che la vita umana sia sempre, in ogni stadio biologico della sua esistenza, vita umana personale, attende dimostrazione; poiché l’argomento della Thomson portato nell’articolo vale anche per individui umani adulti che tutti considerano persone, non ho discusso questo punto, né intendo discuterlo qui. La correzione della metafisica delle partorienti, perché adeguino il loro registro di comprensione del feto che hanno in grembo alle esigenze del personalismo, non è affar mio. Certo, chi difende la vita appellandosi all’evidenza non ha, credo, evidenze empiriche a conforto della personalità dell’embrione; tuttavia, nella misura in cui ritenesse di averle –  ad esempio: per un feto di otto mesi – non potrebbe non trovare evidente anche per altri quel che è a lui evidente, sennò che razza di evidenza sarebbe?, e perciò non potrebbe non trovare assassina chi ciononostante abortisce. Se c’è lì un’evidenza, è facile, non dico necessario ma almeno facile, che molti comprendano la cosa esattamente negli stessi termini in cui la comprendo io).
Ffdes conclude con efficace retorica: chi comprende che è vita umana quella che interrompe, è in guai seri con sé. D’accordo, però devi auspicare – auspicare perlomeno – che sia in guai seri con la giustizia penale. Se poi scendi in politica e vuoi essere coerente, devi formulare pubblicamente l’auspicio. E proporti di stendere le relative distinzioni giuridiche. Quando Ferrara lo farà, ne guadagnerà in coerenza e credibilità.
A Schwarzwelf
Io non discuto nell’articolo, come ho detto sopra, la questione della dignità personale dell’embrione o del feto. Credo di avere spiegato perché: trovo che l’argomento della Thomson valga anche là dove nessuno dubita che di persone si tratti. Il caso del violinista famoso immaginato dalla Thomson, che un bel mattino io trovo attaccato non si sa perché ai miei reni, è appunto immaginato per saltare a pié pari la discussione sulla personalità dell’embrione (il che ovviamente non significa che sia pacifico che l’embrione sia persona né che non lo sia – però ti chiedo: qual genere di certezza attribuisci all’affermazione che l’embrione è persona? È una certezza che ritieni fondata sul dato biologico? Ritieni quindi che la biologia sia decisiva per stabilire le condizioni necessarie e sufficienti per decidere se un individuo sia persona oppure no? E se ora ti proponessi il caso immaginario di mia figlia, che ad un esame clinico è risultato possedere una dote biologica aliena? Mi autorizzeresti a sopprimerla?).
Ciò detto, confesso che mi infastidirebbe un po’ che qualcuno ritenesse che io sia anestetizzato, dal momento che non riconosco la personalità dell’embrione. Dotato come sono di smisurata autostima, mi verrebbe peraltro naturale di pensare che sono abbastanza imbecilli le persone (no, non le persone: facciamo i Magisteri) che mi considerassero anestetizzato. Così, per par condicio.
Ma torno all’argomento della Thomson. Che non è affatto ingenuo, ma stilizza il caso della gravidanza indesiderata. Se non si ritiene che esistano gravidanze indesiderate, cioè non volute, l’argomento della Thomson non funziona, mi rendo conto, ma non capisco perché il fatto che io sappia di poter rimaner incinta nel corso di un rapporto sessuale debba significare che dunque la gravidanza me la sono voluta. (Poiché apprezzo molto il tono non polemico, e mi scuso per un paio di battute polemiche, offro in cambio la rinuncia a tirare in ballo la questione contraccettiva).
E poi, posto pure che l’argomento si attagli solo a rarissimi casi (ad esempio: lo stupro) voglio sapere dai difensori e paladini della vita se in tali casi considererebbero moralmente lecita la decisione della donna. Se la considerano lecita, vorrei capire su qual fondamento la considerano tale.
Non vorrei, infine, apparir troppo leggero. L’ho scritto nell’articolo: sapere qual genere di responsabilità si esercita, avendo il diritto di esercitarla, non diminuisce affatto la responsabilità; casomai, l’aumenta. Di personale aggiungo che ho tre figli, e per nessuno dei tre io e mia moglie (più lei che io, naturalmente) abbiamo fatto ricorso all’amniocentesi: non avremmo mai e poi mai fatto seguire l’aborto ad un eventuale esito infausto. (Così  stiamo tranquilli che troppo anestetizzato non sono).