Con titolo, L’aborto e la coerenza, del quale ringrazio il giornale (anzi, già che ci sono, ringrazio pure il Direttore:
Un diverso clima culturale. Giuliano Ferrara giura e spergiura che non vuole cambiare la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, ma soltanto favorire un nuovo clima contro “la cultura della morte”, contro la selezione eugenetica dei nascituri, contro la selezione in base al sesso e in base a qualunque altro motivo. La sua lista, che a quanto pare si apparenterà col PdL, si chiamerà dunque “Aborto? No, grazie”, ma non proporrà alcun intervento legislativo in materia. Verranno, tuttavia, varate linee guida assai proibitive, questo si è per ora appreso, che impediscano aborti come quello di Napoli. La legge verrà in questo modo svuotata, ma si potrà dire che è ancora lì.
Comunque vada questa singolare vicenda, un po’ di coerenza non guasterebbe. Per capire, se non altro, come si possano presentare i fatti di Napoli così come ha fatto il Foglio, titolando “Ucciso bimbo perché malato”, e poi difendere la legge a norma della quale si uccidono i bambini malati; come si possa dire che no, le donne non sono assassine, e tuttavia sostenere che “le interruzioni di gravidanza sono un omicidio perfetto”. Quella logica aperta e franca, secondo la quale si vuole condurre il dibattito, pregando tutti di chiamare le cose col loro nome, non consentirebbe infatti di cavarsela attribuendo genericamente la responsabilità dell’uccisione di un bimbo malato allo spirito del tempo, alla temperie culturale o all’atmosfera eugenetica che tutti respireremmo. Sarà così, ma è troppo facile: se c’è un omicidio, c’è un omicida; se c’è un assassinio, c’è un’assassina. E anche se nel mondo, è vero, di “omicidi perfetti” se ne commettono molti di più, e non per commendevoli motivi, non si capisce perché dovremmo chiudere un occhio sugli omicidi di casa nostra. E poiché infine nessuno vuol rivedere il biblico “non uccidere”, coerenza vorrebbe che prima o poi si chieda invece di rivedere la legge. Nel senso del divieto, e della condanna penale. Nel senso della colpevolizzazione delle donne. E dell’incriminazione – almeno finché l’omicida va considerato un criminale.
Vi sono naturalmente argomenti per respingere simili ragionamenti e le loro conseguenze. Ne proporrò uno, anzi due. Ma, intanto, sono i sostenitori dell’aborto uguale omicidio che devono, se credono, proporre un argomento razionale per non dare la patente di assassina alla donna che abortisce. Nell’appello per la moratoria se ne trova soltanto uno: il diritto di autodifesa. Ma è un argomento insoddisfacente, parecchio lacunoso, assai improprio. A meno che infatti non sia in pericolo la vita stessa della donna, non ad esempio soltanto compromessa la sua salute fisica o psichica, uccidere il bambino per difendersi non può essere né moralmente né giuridicamente lecito. Occorre trovar di meglio. Trovare qualcosa che non sia una semplice attenuante. Le attenuanti, del resto, non tolgono la patente di assassino a chi commetta un omicidio. Anche così, dunque, coerenza vorrebbe che la lista contro l’aborto e il suo futuro ministro della salute mettessero in programma l’abrogazione di una legge che riconosce il diritto di uccidere ad una donna spaventata dalle conseguenze di una gestazione indesiderata, lasciando ad altre anime belle, per esempio a Casavola, che ne ha scritto con grande misura sabato su questo giornale, la difesa di una disciplina legale nel suo complesso positiva, che regolamenta con saggezza i casi in cui è possibile far ricorso all’interruzione di gravidanza.
Ora però l’argomento. Il più franco che conosca. Lo prendo da un altro clima culturale, quello che c’era negli anni in cui in Italia e nel mondo si conquistava non il diritto di abortire, che fa inorridire taluni, ma il diritto all’autodeterminazione della donna, che gli inorriditi non sentono purtroppo di dover difendere. Lo formulò a suo tempo Judith J. Thomson, filosofa americana che secondo la terminologia ripristinata sabato da Sgarbi sul Giornale meriterebbe senz’altro l’epiteto di strega (a proposito del clima). E dice più o meno così, in breve: se un giorno io trovassi che dall’uso del mio corpo dipende la vita di un altro, non sarei per questo moralmente tenuta a prestarglielo, né alcuno mi potrebbe costringere a ciò. In questo modo la drammaticità della scelta non è affatto diminuita, poiché nessuno rifiuta a cuor leggero ad altri una possibilità di vita. Nessuno lo pensa, e nessuno lo rivendica. Ma si ritira alla donna la patente di assassina. E si può cominciare a ragionare, a considerare le differenze, le situazioni, i casi della vita. Le settimane di gravidanza.
Ma ecco il secondo argomento. Breve, senza trucchi e senza eufemismi: le donne, caro Ferrara, non commettono “omicidi perfetti”. Convinciamoci almeno di questo, se vogliamo migliorare il clima.