Archivi del giorno: febbraio 21, 2008

Il testo

“Quarant’anni da parlamentare più cinque in Europa mi sembrano sufficienti”, ha detto ieri Veltroni, ed è difficile non convenire. La lunga e importante storia politica di De Mita non deve terminare con la mancata ricandidatura al Parlamento italiano, ma, come tutte le storie, deve terminare. E l’uomo, che ha sempre difeso un’idea nobile e alta della politica, fa torto alla sua stessa idea quando, reagendo rabbiosamente alle decisioni prese dal partito, dichiara: “io, l’ultimo comizio lo farò quando muoio”, poiché anche questo è un modo di mescolare l’anagrafe con la politica. Sarebbe stato più convincente e più utile impegnarsi in una riflessione sul progressivo mutamento del panorama politico italiano negli ultimi anni, che De Mita ha vissuto quasi sempre sotto il segno delle “accelerazioni negative”, dei mancati “ragionamenti” che avrebbero dovuto volta a volta consigliare un altro passo: più prudente, più misurato, più meditato. Non che non avesse, spesso, ragione, poiché l’ansia del nuovo per il nuovo non è sempre foriera di buoni risultati, ma di certo il passo che il Partito Democratico ha impresso oggi alla politica sta nettamente sotto il segno di un’accelerazione positiva, di cui beneficia l’intero arco delle forze politiche e la democrazia nel suo insieme. La sfida che il PD ha lanciato prende però il significato e riceve credibilità dal cambiamento che sarà in grado di realizzare: nei metodi, nei programmi, negli uomini. Quel che si vede già è una nuova, profonda riorganizzazione dello spazio politico: la ricomposizione di aree politiche frammentate secondo linee di divisione non più giustificate da ragioni politiche o programmatiche, e, finalmente, l’erosione di piccole rendite di posizione con forte potere di interdizione, sia a livello locale che a livello nazionale. L’immobilismo politico ne era la più naturale e più deleteria delle conseguenze. Quel che si deve vedere ora, già in sede di composizione delle liste, è un forte tasso di cambiamento, specialmente in quelle regioni dove il ceto politico non ha dato miglior prova di sé. Non si tratta di opporre ai vizi inveterati della politica le virtù rivoluzionarie e immacolate della società civile, ma di una sorta di ordinaria manutenzione della cosa pubblica, delle misure di profilassi delle quali un sistema politico funzionante deve sapersi dotare, anzitutto grazie all’esercizio democratico del voto: si tratta cioè del naturale rapporto politico che occorre si stabilisca o ristabilisca fra l’azione, più spesso l’inazione, i suoi risultati e le relative responsabilità. Dalla necessità di robuste misure di profilassi non è peraltro immune nessuna delle forze politiche in campo. Non perché vi siano, in tutti i partiti, parlamentari in carica da parecchie legislature, ma perché in tutti i partiti sono inceppati i meccanismi di formazione della classe dirigente e, naturalmente, anche quelli della sua sostituzione. Il fatto che il partito democratico abbia imboccato con decisione la strada del cambiamento deve dunque fare da detonatore perché la stessa esigenza si propaghi per tutto il campo politico.
Quel che, infine, si dovrà vedere dopo le elezioni, è una migliore qualità dell’azione politica e amministrativa. Un buon criterio per individuarla si trova nell’allocuzione di quel celebre capo di governo, che ebbe a dire ai suoi sudditi, lasciando anche lui la sua carica:
“Addio dunque, signori miei […] nudo mi trovo e nudo son nato; non ho perduto né guadagnato.. Voglio dire che son venuto al governo senza un soldo e senza un soldo me ne vo: tutto il contrario di come sono soliti andarsene i governatori”. Chissà: forse non è bello pensare soltanto che chi lascia il governo lo lascia senza un soldo, ma anche che ha potuto andarvi non avendone nemmeno uno. Nell’ondata antipolitica che (a volte giustamente) si solleva, si sente solo reclamare la seconda cosa, e non anche la prima. Costruire una politica nuova, che è ancora una politica, significa invece costruire anzitutto la prima cosa, che è la più difficile. Lo diceva Sancio Panza, in quell’immortale capolavoro che è il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes.

Ma perché dovrei occuparmi di filosofia?

Problema tra i massimi di cui si debba preoccupare chiunque sia impegnato con il Ministero nel definire gli sbocchi occupazionali e i profili professionali e le abilità e le capacità e le competenze e questo e quello. Leiter Reports segnala come metta la cosa il Dipartimento della Victoria University di Wellington, che per attirare un po’ di studenti ricorda un certo numero di laureati famosi in filosofia, da Bill Clinton e Papa Giovanni Paolo II (ne vene che in materia di etica sessuale lo studio della filosofia non ti influenza univocamente) Woody Allen e Bruce Lee (ne viene che anche il vostro destino cinematografico può prendere le vie più diverse). Poi ci sono le definizioni di cosa sia la filosofia (un movimiento lento), e infine le abilità:

» look at issues from multiple points of view
» solve problems
» think logically and critically
» think independently and creatively
» synthesise information and identify main points
» consider pros and cons of an idea
» identify mistakes in reasoning

Insomma, un buon blog.

L'anagrafe e la politica

Su Il Mattino. Dopo le 14 lo metto qui.