"Al Museo dell’Olocausto di Washington hanno allestito un carro bestiame, simile a quello su cui deportavano gli ebrei. La gente ci sale su, poi va a prendere un’insalata di pollo alla caffetteria attigua e sospira: "Ora ho capito cosa è successo agli ebrei". E’ disgustoso. D’altra parte, perché stupirsi? L’Olocausto non è un’esperienza americana. Tutto quello che noi sappiamo è di seconda mano". "Non sono tra coloro che pensano che la poesia sia finita dopo Auschwitz, credo semmai che l’arte sia il modo più discreto e incisivo per esplorare l’inesplorabile. Vuoi sapere cosa significa sopravvivere allo sterminio del tuo popolo? Leggi la storia di Noè. Vuoi comprendere cosa significa ammazzare un fratello? Per questo c’è Caino e Abele. Vuoi sapere perché la gente volla lo sguardo al passato? Rifletti sulla moglie di Lot".
"Io prendo dannatamente sul serio la civilizzazione. Per molti è insopportabie che molti la ritengano un gioco". "L’intricatezza della prosa è un riflesso dell’ossessione per l’oralità. Una cosa ereditata dai classici,da Omero a Erodoto. Loro ti insegnano che quando racconti una storia sei tenuto a fermarti, spiegare, fare un passo avanti e un paio indietro". "Sapevo che la differenza tra una storia interessante e una storia trascurabile equivale alla differenza che c’è tra letteratura e cronaca. Non è detto che un fatto vero esprima alcuna verità. E talvolta la verità ha bisogno dell’immaginazione per affermarsi".
Daniel Mendelsohn a colloquio con Alessandro Piperno, sul Corriere di oggi. Non online (credo). Sono così vicino a questo modo di intendere la letteratura, che mi son preso la briga di copiare. Direi solo che se per capire il significato profondo di questo o di quello c’è differenza fra il salire sul carro bestiame e il leggere di Caino e Abele e perché solo nel secondo caso si comprende almeno quanto non si comprenda, mentre nel primo si comprende tutto (quello che è comprensibile), e perciò non si comprende affatto.
(Il libro di Mendelsohn che dà occasione alla conversazione è Gli scomparsi).
Mi permetto di consigliarlo. Libro bellissimo.
Renzo
“credo semmai che l’arte sia il modo più discreto e incisivo per esplorare l’inesplorabile”: la proposizione perfetta. la scrittura richiede la prossimità, lo svuotamento, il corpo a corpo. avvicinarsi al dettaglio d’ogni singola parola, d’ogni tono e inflessione, d’ogni circostanza. quello che invece quasi sempre manca è la consapevolezza delle proprie radici nel paesaggio e nella memoria che ci ha riformato. il vero avversario è il monocratismo cui soggiace ogni sguardo, ogni valutazione, ogni risultanza. dietro di esso c’è un calcolo impuro come lo è la giovinezza che inevitabilmente infrange anche il più aereo destino. non è un caso che gli scrittori di origine ebraica siano in genere i più brillanti e geniali, lo sguardo dell’ebreo è profondo e senza malizia, commosso e interrogante. quando un ebreo scrive è sempre dell’altrove che scrive, e ci sarà sempre una midrash di questo altrove. per questo nessun popolo ama la parola e i libri come gli ebrei, perché in ogni parola ci può essere il segreto svelato del nome di dio.
L’articolo è qui.
L’espressione “esplorare l’inesplorabile” non mi sembra molto cristallina.
Io mi permetterei di suggerire: “esplorare l’ineffabile”
lo sto leggendo ed e’ bellissimo, consigliato per avere un idea su come era una parte dell’europa 60 anni fa un mondo che non c’e’ piu , persone che vivevano come noi insieme a noi spazzate vie senza un perche’ (luca)