(Ecco, qui sotto, l’attesissima noterella all’articolo di Mancuso. Chiedo all’autore la cortesia di considerare che trattasi di nota di commento su un blog, e che dunque ha la scioltezza che simili testi richiedono, anche quando sono colpevolmente lunghi. Il curatore del sito mi ha poi chiesto nei commenti di discutere di là, dve il testo di Mancuso è stato pubblicato. Lo farò, ma vista la lunghezza della nota mi pare sensato metterla anche qui)
Un po’ di faticose premesse (del che farei volentieri a meno, ma non voglio urtare la suscettibilità di nessuno): Mancuso scrive “perché sono cristiano”. Non: “perché sono cattolico” (e neppure “perché sono cristiano nel senso in cui si è cristiani nel 2007”,o “nel senso in cui il cristianesimo è definito qui o là, da Tizio da Caio o dalla Tradizione tutta"), sicché non comincerei col dire se sia o non sia vero cristianesimo, e se il cristianesimo sia o non sia un’altra cosa – col che non voglio neppure dire che una tale questione non sia importante, non abbia senso, storico e teologico, e non possa essere magari un punto di conclusione: dico solo che non comincerei così. Poiché peraltro non parlo a partire da una comunione nella fede, e chiunque può insegnare a me quale sia il vero cristianesimo (il vero cattolicesimo, la vera religione) mi soffermo solo sul tenore degli argomenti. Prima di farlo, farei osservare a chi si ritrae considerando che il cristianesimo è un’altra cosa:
che se il cristianesimo si è dovuto definire anche ‘contro’ pelagianesimo, arianesimo e un mucchio di altre cose, deve voler dire che pelagianesimo, arianesimo e queste molte altre cose sorgono su un terreno comune, sul quale ci si definisce e distingue. Non vedo quale utilità vi sia a considerare certe partite chiuse per sempre, e a non riconoscere peraltro l’ovvio: che Mancuso sa bene – mi pare – che il suo cristianesimo non è quello di Paolo o di Agostino. Lo sa così bene che lo scrive, nel libro (così come scrive e rende espliciti nel libro i suoi dissensi su diversi punti, anche teologicamente molto rilevanti): obiettarlo non è perciò molto utile;
che ritraendosi in questo modo riesce difficile dialogare con chi non ha analoghe preoccupazioni di aderenza al vero cristianesimo, o con chi considera che questa ricerca sulla verità del cristianesimo possa e debba svolgersi anche al di fuori (non necessariamente contro) il dettato della Chiesa.
Ciascuno può dire sia che il suo cristianesimo è diverso da quello di Mancuso ed è più vero perché più fedele, sia che il cristianesimo della Chiesa cattolica è diverso da quello di Mancuso ed è più vero perché è quello della Chiesa cattolica. Nessuna delle due posizioni è disprezzabile, in sé e per sé: solo che non contiene, formalmente parlando, un argomento (il che non è necessariamente un male sotto ogni possibile punto di vista).
Ciò premesso, e chiarito dunque che io non discuto di tutto ciò (benché sia molto interessato a conoscere, in particolare, la replica di Mancuso alle osservazioni che gli ha rivolto sull’Ossevatore romano mons. Bruno Forte), vengo a questo testo.
Anzi: non ancora.
La ragione per cui mi ha colpito sta infatti già nel libro (di cui ho parlato su Left Wing). Mi pare che nel libro Mancuso conduca il tentativo di rendere plausibili (ragionevoli, comprensibili, e soprattutto compatibili con le scoperte della scienza moderna) una serie di asserti tradizionali, che appartengano o no al nucleo dogmatico della fede, ma dai quali tuttavia pare a lui che dipenda il significato autentico dell’esperienza cristiana. Se io ad esempio credo che risorgerò, cosa propriamente credo? Se Mancuso si propone di rispondere a questa domanda, obiettargli che la sua risposta non è in linea con la dogmatica, o con il nucleo vero della religione cristiana (cattolica), si può fare, naturalmente, e ha la sua importanza, ma non è una risposta alla domanda, a meno di non esplicitare quel nucleo (e l’intellegibilità in questione). Altra cosa è obiettare che non c’è risposta a questa domanda. Ma proprio qui sta la preoccupazione di Mancuso, il quale forse potrebbe rispondere (o almeno: io rispondo): d’accordo, ma allora quanto è estesa l’area di ciò che va creduto senza che sia perciò intellegibile? Non si starà cioè estendendo un po’ troppo, con l’avanzare della scienza? E, dopotutto, la fede non cerca l’intelletto? E cosa, oggi, trova? Altro esempio, su un punto sul quale Mancuso molto si esercita, nel libro: il peccato originale. A me ha sempre molto interessato (in negativo) la posizione di Pascal: è una roba incomprensibile; ma senza, l’uomo è ancora più incomprensibile. Qui non si dà ‘spiegazione’ del peccato originale, ma si accetta perché quella tal cosa consente di ‘spiegare’ quel’altra (l’uomo). A me interessa ora questo: non se sia cristiano chi nega il peccato originale (è abbastanza evidente che in Agostino ci sia eccome, e se Agostino è il cristianesimo, chi lo nega non è cristiano, ma così è troppo facile), ma se sia vero, e come mi possa essere reso comprensibile il dictum di Pascal, e se sia vera l’antropologia che essa fonda (o meglio, su cui è fondato). Mancuso dice che no – mi pare –, che per comprendere le più autentiche esperienze spirituali dell’uomo e avere un ‘corretto’ rapporto con Dio non c’è affatto bisogno (ed anzi è forse dannoso) pensare che l’uomo stia nell’eredita del peccato. Obiettare a Mancuso su questo punto non può consistere allora nel citare Agostino, ma nel sostenere con argomenti l’antropologia 8e l’etica, e l’ontologia) ‘concorrente’.
Io qui mi limito a una domanda (se Mancuso può rispondere, sono particolarmente lieto): perché nel libro lo sforzo di rendere plausibile l’esistenza dell’anima e il suo destino dopo la morte viene condotto solo (quasi solo) nei confronti della scienza. A mio giudizio, c’è lì molta poca filosofia della natura, e molta scienza della natura (forse troppa): con la conseguenza che certe proposizioni cardine (per Mancuso), che l’anima ad esempio è "una forma di energia", non potendo essere prese letteralmente (l’energia di cui parlano gli scienziati è misurabile, quella in cui consisterebbe l’anima no, almeno non ancora), si risolvono in mere metafore. E non vedo quale vantaggio vi sia nel sostituire una metafora ad un’altra. Sono metafore in cui è scoperta l’impossibilità di prenderle alla lettera, e dunque al più sono ausilii dell’immaginazione, non della ragione. Non sono metafore assolute e irriducibili: lo scienziato che legge quelle parole, domanda infatti cosa significhino, e non può trovare che ad esse sia stato dato un significato per lui valido, secondo i criteri del suo sapere. E allora, per rintuzzare queste obiezioni, ci vorrebbe casomai un po’ di filosofia – salvo il fatto che la filosofia ha a sua volta, e di molto, modificato (o anche solo messo in questione) il senso di parole come ‘anima’, (o ‘verità’, o qualunque altra cosa: è il lato che Ratzinger, quando critica la razionalità scientifica troppo ristretta, troppo angusta, dimentica sempre di considerare).
Ciò detto, vengo a questo testo (ci vengo davvero).
Mancuso nega che l’evento accaduto a Gesù abbia valore salvifico per noi. E’, da questo punto di vista, un segno dimostrativo – suppongo al modo dei miracoli, che Gesù compiva: nessuno pensa che la verità del cristianesimo dipenda dalla verità dei miracoli compiuti da Gesù. Sicché è legittima la domanda: ma cosa, nella vita o nella morte di Gesù, ha valore salvifico per noi? Mancuso dice che l’eventuale ritrovamento delle ossa di Gesù non modificherebbe la sua fede, Ma la sua fede sarebbe modificata se qualcuno dimostrasse irrefutabilmente la non esistenza storica di Gesù? Dopotutto, è una verità di fatto, che Gesù sia esistito: il che significa che è possibile che non sia vero che Gesù è esistito. Se si scoprisse che è stata tutta una gigantesca montatura, cosa nella verità del cristianesimo a cui Mancuso tiene sarebbe compromesso (a parte la mascalzonaggine dei testimoni che hanno così spudoratamente mentito, architettando la bufala, ma che non rientra – se non ho capito male – nei contenuti di fede da cui dipende la salvezza secondo Mancuso)?
Mancuso afferma di essere discepolo di Gesù per le sue parole, non perché è risorto. Quindi: se anche non fosse risorto. Se anche non fosse esistito. A meno che non ritiene che solo Gesù, in quanto Figlio unigenito del Padre, ha potuto dire quelle parole. Ma non credo che pensi questo, perché non v’è nulla – mi pare – nel suo libro, che fondi la necessità che a dire/rivelare quelle parole (la verità di quelle parole) fosse la seconda persona della Trinità, in quel tale anno, a quella tale ora.
Il significato delle parole di Gesù è eterno, universale. Che siano state pronunciate o meno. Dunque il fatto che siano state pronunciate è irrilevante. Io capisco che un cristiano si ritragga e dica: questo non è cristianesimo, qui non c’è incarnazione, non c’è Dio nella storia, ecc. ecc.; la mia domanda è però un’altra (ed è qui proposta in maniera necessariamente sintetica): ha qualche interesse per Mancuso lo sforzo critico, genealogico, decostruttivo, che la filosofia ha compiuto per revocare in questione quest’idea intemporale della verità (l’idea intemporale, e l’intemporalità dell’idea)?
(En passant, mi colpisce molto il fatto che Mancuso scriva polemicamente: non è così, Gesù non è un agnello “destinato” ad essere immolato ancor prima di essere nato. D’accordo, direi: ma vi sono teologie che hanno pensato l’economia di questo piano della salvezza con modalità diverse da quelle della fredda necessità: perché non le prende in alcuna considerazione?).
Altra domanda: se a Mancuso non importa, nel senso che non è nel centro della sua fede viva, la resurrezione dell’uomo Gesù, perché gli importa rendere comunque la cosa plausibile dal punto di vista della scienza? Perché gli importa la risposta alla domanda: “Che fine ha fatto il cadavere di Gesù?” Non sarebbe molto più ragionevole dire che non è risorto, visto che non c’è al momento nessun spiegazione scientificamente accettabile della scomparsa completa del cadavere? Quella resurrezione è un segno. Ma senza quel segno, nulla nell’essenziale cambia, per lui. Perché non dovrebbe allora giungere il tempo di rinunciare a quel segno? Perché i tempi non potrebbero essere maturi? Perché non potremmo avere raggiunto la piena maturità spirituale? Lui però scrive che per il cristiano non c’è altra via che immaginare che sia stato assorbito in una dimensione dell’essere “di cui non abbiamo idea”. Se non ne abbiamo idea, non abbiamo idea neppure di cosa significhi qui assorbimento. E dunque. L’altra via, invece, c’è (ci sarebbe): dirsi cristiano perché si crede nelle parole di Gesù, e lasciar perdere la resurrezione del corpo. Naturalmente, non sto minimamente dicendo che questo sia il vero cristianesimo: dico solo che non capisco perché Mancuso difenda quel ‘segno’, quando mostra che può benissimo farne a meno, ed anzi facendone a meno toglie al suo discorso un impaccio (nel libro, tale mi sembra appunto l’evento pasquale: un impaccio. È l’unico punto, mi pare dica Mancuso, su cui ci vuole un atto di fede ‘cieco’, o quasi. Il resto si può aggiornare e rendere plausibile, questo no).
Mancuso conclude infine con le parole: “Non è il cristianesimo a salvare gli uomini, come non li salva nessun altra religione. Non è la religione che salva gli uomini, gli uomini non si salvano perché sono religiosi”. Ai miei occhi, il valore spirituale di queste parole è immenso. Solo per queste parole, Mancuso avrà la mia simpatia sempre (qui non sto argomentando, mi rendo conto). Vorrei però che avesse anche quella dei cristiani! E cioè: perché non lasciare ai cristiani (mi si consenta la leggerezza di questo modo di esprimersi) la loro fede ‘storica’? E perché non cercare (essendo cristiani) di pensare magari non che Gesù è venuto ‘inutilmente’, ma che è venuto a mostrare utilmente l’inutilità di ogni venuta? Perché, più in generale, non pensare, da cristiani, a come la verità di quelle parole possa stare insieme con la verità teologica di Gesù, morto e risorto per noi, che invece Mancuso finisce col vanificare (mi pare)? Mancuso mi sembra escluda che quella verità e questa possano stare insieme; all’opposto, la Chiesa mi pare escluda (con qualche tenerezza per gli uomini qua e là), che questa verità e quella possano stare insieme. C’è qualcuno che si candida a provare invece che possono stare insieme?
(Dico fra i cristiani, per raccogliere l’esigenza posta con quelle parole da Mancuso ai cristiani, invece di obiettare che è pelagianesimo, che è arianesimo, che è un qualunque -esimo già condannato dalla Chiesa ufficiale? Per la mia piccola parte, ho detto invece quale problema ho: la filosofia)
noterella….
Sulla prima parte: hai tutte le ragioni, ma se tu ti scusi per il fatto che questa tua nota è il post di un blog, io mi scuso per il fatto che la mia accusa di “piccolo pelagiano” rivolta a Mancuso era un commento a un post di un blog.
Sul resto: mi pare che sia tu che Mancuso intendete la venuta di Cristo come qualcosa che subentra a un certo punto dell’insieme di eventi chiamato mondo, comunque lo si voglia poi concepire in termini di filosofia della natura, di filosofia della scienza, di scienza tout court, ecc.. Io – e con me il filone mainstream della teologia cattolica e più genericamente cristiana – lo concepisco come l’evento iniziale, il cardine attorno al quale ruota la storia. Credo che l’incomprensione abbia origine qui. Poi: che la religione non salvi è evidente e lo insegna Cristo stesso, tra l’altro. Infatti, per i cristiani ciò che salva è Cristo. Ciò che Mancuso pare negare. Io dico: il mondo è salvo dall’origine, poiché l’origine è Cristo. Mancuso dice (e tu con lui, anche se forse partendo da luoghi diversi): il mondo è salvo dall’origine, e quindi Cristo al più è un reminder di questo fatto.
Cosa vuol dire che Cristo è l’origine? Capisco bene che per te il mondo sia salvo dall’origine, e cioè in Cristo. Non sono però sicuro di capire cosa significhi che Cristo è l’origine senza un’ontologia, una teologia, una filosofia della natura, senza una bella spiegazione trinitaria, ecc.
Quanto poi al fatto che ciò che salva è Cristo, e non la religione: d’accordo. Ma il filone mainstream intende con ciò che l’individuo storico Gesù non va separato da una serie di cose (tipo: la Chiesa, i sacramenti, ecc.), o mi sbaglio? (La qual cosa, peraltro, non è che si possa dire senza una teologia, una ontologia, una filosofia della natura, ecc. E non è che in tutte questi ambiti non vi siano problemi, per sostenere ad esempio che Cristo ‘è’ la Chiesa, ecc.). Ma, a dirla, ti domando: cos’è che NON si salva? C’è qualcosa che non si salva, secondo il filone mainstream? E se non si salva, perché non si salva? Perché non ha fede in Cristo, devo supporre. E cosa SIGNIFICA, questo?
(Infine: “Io e Mancuso” è un curioso modo di mettere le cose).
Certamente dietro all’affermazione “Cristo è l’origine” ci sono un’ontologia (variamente interpretabile), una teologia (parecchio più cazzuta), una filosofia della natura (la più debole delle tre, a dire il vero) e – soprattutto e al massimo grado – l’economia trinitaria (in soldoni: Dio è uomo e l’uomo è Dio fin dall’origine, dolore e morte compresi, il che esattamente è ciò che salva).
Dio non va separato da nulla, la Chiesa è l’umanità redenta (e in quanto tale “è” Cristo). Ciò che non si salva è la libertà che non vuole essere salvata, e che essendo divina dall’origine ha un potere che è tanto grande quanto quello di Dio stesso. La fede in Cristo c’entra, ma anche no (come la metti tu è un po’ troppo protestante per i miei gusti, ma basta intendersi: io insisterei – come ho insistito qui sopra – sulla questione della libertà, quindi delle opere per dirla con termine classico). Che cosa significa? Che c’è un ordine del mondo, ma che tale ordine prevede in sé, come suo elemento fondamentale, la possibilità di sovvertire tale ordine e fare di sé, letteralmente, ciò che si vuole.
“Tu e Mancuso” è in parte artificio retorico, in parte convergenza accidentale. Però mi pare che, sulla questione del mondo non bisognoso di salvezza perché già salvo da sempre, un “tu e Mancuso” si dia eccome. Però magari ho capito male.
onestamente su due piedi non saprei cosa dire…
una cosa è certa: bisogna trovare qualcosa che ci salvi,seriamente ed alla svelta, magari anche dal global warming!
si, un Miceberg (called wilkins shelf) grande circa 400km2 si è staccato dall’antartide, ben 15 anni prima delle previsioni degli esperti più pessimisti…
insomma previsioni fatte da quei soliti allarmisti rompiballe, ridicolizzati da tanti benpensanti che non sanno un cavolo di chimica,fisica,modelli matematici, equilibrio dei sistemi ambientali,metereologia…
buona digestione,davide
nb non sarà Dio a mettere le pezze al buco dell’ozono!
cavolo, Massimo, ma allora discutete di nuovo di qua:-)
ciao
fabry
Premesso che non ho letto il libro di Mancuso ma ho letto solo il testo del blog, non ho ben capito se per Mancuso ci si salva seguendo le parole di Gesù, un po’ come diceva anche il giovane Hegel: Gesù è un semplice maestro di morale e l’uomo giusto le sue parole contano in quanto espressione di “imperativi categorici”, mentre la sua singolarità (vita-morte) contano zero…
Tutto quello che dici andrebbe benissimo se il Cristianesimo fosse una filosofia, cioè un’interpretazione della vita, più o meno ragionevole e a sua volta interpretabile, oppure una tradizione sapienziale nata intorno a un’eredità mitica, come le Uèpanisad per i Veda. La realtà è che il Cristianesimo, a differenza delle religioni antiche, si basa essenzialmente su un fatto storico: vita, morte e resurrezione di Cristo. A partire da questo c’è Cristianesimo (e le infinite dispute interne che ne hanno accompagnato la vicenda storica): a prescindere da questo c’è il ritorno al mito o alla speculazione filosofica, nobilissime forme della cultura ma, appunto, ALTRA COSA.
Il riassorbimento della storicità di Cristo in un’epifania del Logos è già presente nelle gnosi antiche e in quelle moderne (Hegel): l’esito di queste speculazioni è la pura e semplice negazione del Cristianesimo in quanto tale.
Valter Binaghi
(prendo ad esempio) Ffdes: “La libertà che non vuole essere salvata” è un’espressione enormemente problematica.
Valter Binaghi: “Il Cristianesimo si basa su un fatti storico”. Come si basi o possa basarsi è enormemente problematico. E siccome lo so pure io, mi pare non si possa sospettare che non lo sappia Mancuso, segno che ribadirlo non basta, o almeno non basta a Mancuso, e se se ne vuole discutere bisogna capire perché, e soprattutto rimettere a giorno le basi.
Ma rimettere a giorno le basi, è per esempio pensare insieme che Cristo è l’origine (Ffdes) ed è pure un individuo storico (Binaghi), e pensarlo di maniera che sia intellegibile anche a chi non comincia condividendo questi due punti (o uno dei due). Io so bene che questa mia ultima affermazione è contestabile (forse: DEVE essere contetsta), ma lo sforzo di Mancuso consiste nel dialogare con chi non comincia avendo di simili basi, sicché ogni genere di obiezione che mette avanti come se andassero da sé queste basi è perfettamente nel suo diritto, ma rischia l’idiosincrasia (per quanto magari ampia quanto l’intera comunità ecclesiale).
(Infine – e tanto più che -: nel libro Mancuso pone un problema di teologia ‘naturale’, circa il destino dell’anima: un problema che è, anche Binaghi dovrà convenirne, prima filosofico e poi teologico).