Premessa. La politica può insegnare tante cose, o non insegnare nulla. In ogni caso, non sempre insegna quel che immaginiamo debba insegnarci.
Svolgimento. Non credo di essere l’unico a verificare di tanto in tanto che cosa dice Google sul proprio conto. Stasera ho cercato sul motore di ricerca un po’ di persone che non conosco, e che mi ritroverò a fianco nel convegno che si apre domani a Roma 3, sul tema dell’utopia (la mia relazione ha per titolo: Neuma. L’utopia del canto fermo, e di tutto parla meno che di canto, fermo o mosso che sia). Mentre così cercavo, sono passato a vedere a mia volta chi io sia, per ritrovarmi con grande sorpresa (ma correttamente) inquadrato come “politico” in questo sito.
Eh già, mi son detto, sono consigliere comunale uscente. Anzi: quasi uscito, visto che il 13 e 14 aprile si vota anche per il rinnovo del consiglio comunale di Baronissi, e io non mi sono neppure ricandidato. Proprio oggi, però, rientrando in macchina a casa, davo un’occhiata ai manifesti elettorali dei candidati locali, quando mio figlio seduto sul sedile posteriore mi fa: “Papà, perché quei signori sono appesi al muro?”. “Sono manifesti”, dico io. “E a che servono?”. La spiegazione non è stata troppo difficile, perché nella principale saga di storie che gli racconto, lui e la sorella sono gli eroi della Città Arcobaleno, e il Sindaco della Città (di cui ho illustrato più volte le principali funzioni, insieme a una fondamentale inettitudine che probabilmente li sta già educando alla più demagogica delle forme di antipolitica contemporanea), il Sindaco c’è, e spesso in cerca di aiuto si rivolge a loro, e agli altri componenti della Squadra Arcobaleno (la cagnolina Beth con la sorella Bea, il gattino Bill, Chiara la cuoca, Alfredino mago dei palloncini, Gedeone gran dormiglione e l’ultimo arrivato Ferdinando, l’uomo del libro, più altre guest star fuori team come la Talpa Tegucitalpa, il mago tascabile Fantasia, la Regina del Sud, ecc. ecc.).
Ma cosa dicevo? Ah sì, che stavo spiegando la cosa con ampi riferimenti alle favole che mi invento per i miei piccoli e ancora ingenui bambini, facendo entrare poco a poco elementi di realtà in quelle fantastiche storie, quando mi viene di domandargli: “Beh, e a te chi piace di questi candidati?”. Ed Enrico, senza la minima incertezza, senza tentennamenti, senza bisogno di valutazioni supplementari, mi risponde indicando un manfesto colore arancio: “Quella”, dice. “E perché?”, chiedo io, incuriosito. “Perché somiglia alla mamma di Esther”, mi fa.
E io che non sono andato all’ultimo incontro scuola-famiglia (non ricordo se per un consiglio comunale o per altro).