Pronuncia i loro nomi. Pronuncia i nomi dei boss, di Zagaria e Iovine, ad esempio, accendi i riflettori su queste terre, e fai anche i nomi delle persone a cui affidare la svolta politica di cui questa terra ha un disperato bisogno: così Roberto Saviano ieri, su questo giornale.
Ma Saviano ha anche scritto: ci vogliono parole “che diventino «ouvertures» ai fatti”. Non credo volesse dire solo che le parole devono costituire la premessa del cambiamento: devono essere già, esse stesse, i primi fatti di questa nuova politica.
Le parole possono avere infatti anche un uso performativo, e cioè: si possono “fare cose con le parole”, e non limitarsi a dirle. Il sindaco che emette ordinanze, il cittadino che denuncia, il giudice che sentenzia fanno cose con le parole: non si limitano a constatare, agiscono. Lo stesso fa Saviano, con il suo libro Gomorra, e ora con la lunga e accorata lettera a Veltroni: non si limita a riferire fatti, ma smuove coscienze, motiva persone, e chiede risposte. E lo stesso dovrebbe saper fare finalmente la classe politica campana: compiendo scelte nette, pronunciando parole scomode, e dando risposta alle domande finora inevase. Risposte che sono drammaticamente urgenti. Che non possono essere differite sine die. Che devono, soprattutto, avere la stessa, decisa perentorietà dei fatti.
Già, i fatti. Anche questa, però, è una parola. Si declina anzitutto al passato, ed invita a considerare in primo luogo quello che è stato e quello che non è stato fatto, specie in campagna elettorale, che è tempo di programmi ma anche di bilanci. Ora, il governo Prodi può e deve rivendicare con convinzione le azioni di contrasto alla criminalità organizzata che ha saputo condurre: le confische dei beni, gli arresti dei mafiosi, le condanne dei criminali. Sono peraltro fatti i numeri, la proporzione e l’entità dei crimini commessi, ed è giusto che i cittadini valutino su queste basi se sia o no accresciuto il grado di sicurezza e di legalità delle nostre città. Quel che però Saviano dice con forza, è che a fatti di natura criminale, che richiedono, per le dimensioni del fenomeno, un impegno assoluto sul piano delle politiche nazionali e un coordinamento efficace su quello internazionale, non si può rispondere, a livello locale, parlando di musei e di mostre. Se lo dice uno scrittore, non sospettabile di disinteresse verso la valorizzazione dei beni artistici e le risorse culturali, vuol dire davvero che in Campania c’è una necessità così impellente di migliorare il lato materiale dell’esistenza, le condizioni ordinarie del vivere civile, la pulizia delle strade, la sicurezza del lavoro, il rispetto della legalità, da non consentire più “imbellettamenti” di sorta. Finora Napoli è stata, agli occhi del mondo e pur di se stessa, un puro scialo: di bellezza, ma anche di turpitudini. È stata un enorme spreco: di autentica generosità ma anche di rovinose ricchezze. Non può più esserlo e non deve esserlo. E le parole che le occorrono per questo, non possono più essere, da parte di nessuno, fatue parole di declamazione o parole di imprecazione altrettanto vane.
Saviano ha dunque mille ragioni: voltare pagina è possibile ed è doveroso. Se si rivolge con la sua lettera a Veltroni, è perché forse la novità rappresentata dal partito democratico è tale da meritare ancora qualche apertura di credito. Ma nessun credito è illimitato. E soprattutto nessun credito sopravvive se non riesce a rimuovere con coraggio le ragioni del discredito. Le parole di cui c’è bisogno, in quest’ultimo scorcio di campagna elettorale, devono perciò cominciare già a produrre la discontinuità necessaria. E il fallimento decennale delle istituzioni pubbliche nella gestione dei rifiuti chiama tutti, ciascuno per la sua parte, a una piena assunzione di responsabilità. Veltroni lo ha compreso e ha il merito di averlo riconosciuto. Ma occorre che lo comprendano anche le forze regionali. Né la candidatura di D’Alema né il tour elettorale di Veltroni devono infatti avere un carattere surrogatorio, o fornire alibi: non possono sostituirsi all’opera di rinnovamento che il PD deve saper intraprendere a partire dalle sue classi dirigenti locali, dall’interno delle sue stesse file. Se il PD vuole essere davvero un partito nuovo, deve saper dimostrare, senza il ricorso a deleghe eccezionali, che è in grado di segnare con le sue proprie forze un nuovo inizio. Se poi sarà davvero una nuova stagione, si vedrà. Ma per specchiarsi in persone nuove in cui riconoscersi con orgoglio e fiducia, come vuole Saviano (ed è l’unico appunto che può muoversi alla sua lettera), la prima cosa che occorre è non limitarsi ad aspettare che le persone nuove siano nominate, ma chiedere con forza di ripristinare i circuiti democratici che, nei partiti e nel paese, consentono di tornare a scegliere.
(Il Mattino di ieri. Il titolo, com’è noto, è del giornale. Nell’articolo, ad essere inevase sono, più sensatamente, le domande. Ma io spesso ho chi veglia su di me, e rimedia alle sviste, il giornale evidentemente no)