Perché le scienze cognitive applicate alla morale costituirebbero un settore chiave? Chiave per aprire che cosa? Leggo (grazie al blog) che fra qualche anno potremmo avere qualche elemento in più per sapere se abbia ragione Dennett, per il quale la religione passerà di moda, oppure Gray, per il quale è come il sesso: un bisogno fondamentale che di moda non passerà. Spero proprio che sia qualche anno, e non qualche decennio o secolo, perché mi farebbe piacere conoscere la risposta, anche se dubito molto che le scienze cognitive applicate alla morale potranno darmela.
O forse potranno. Chissà. Però mi domando: si considera che sia un problema empirico o concettuale la questione di sapere che cosa significa che queste e queste altre sono le basi fisiologiche del bisogno di religiosità? Si considera che v’è chi neghi (e che perciò vada dimostrato) che quando il credente si trova nella disposizione della credenza (qualunque cosa ciò significhi) nel suo cervello accade qualcosa? E posto che si dimostri che quel che accade nel cervello non è gran che e può non accadere per questi e questi altri motivi (biologici, chimici, farmacologici o chissà cos’altro), si sarà davvero con ciò dimostrato che la religione è solo una moda, un fenomeno culturale passeggero? Ma posto che si nutrano simili considerazioni, sono esse scientifiche? Lo sono secondo quale idea di scientificità? D’accordo: meno ideologia e più scientificità. Ma è ideologico o scientifca la determinazione del senso dei risultati scientifici? Posto infine che si dimostri che alla base della credenza religiosa c’è un sacco di dopamina, e che invece chi di dopamina non ne ha neanche una goccia è ‘naturale’ che non creda, si sarà compreso cosa, precisamente? (E chi impedirà o consentirà al futuro Ratzinger – Ratzinger no, facciamo Luca Volonté – di chiedere la prescrizione della dopamina per legge?).
Mah.