Archivi del giorno: aprile 25, 2008

Nel mare aperto si può affondare

“Sono convinto che soprattutto oggi la politica debba essere veloce e aperta com’è la società, e debba coltivare l’ambizione di conquistare non le "casematte" degli interessi particolari […], ma il "mare aperto" di un’opinione pubblica nella quale convivono condizioni sociali diverse nel corso di una stessa vita, nella quale abitano più dubbi che certezze, più disponibilità che identità blindate”: sono parole di Walter Veltroni, e si leggono nella Prefazione al libro di Barack Obama, L’audacia della speranza, pubblicato lo scorso anno, quando ancora il 14 aprile non era, almeno nelle sue proporzioni, immaginabile. La convinzione che l’allora Sindaco di Roma manifestava a proposito di ciò che la politica deve essere ha avuto poi modo di tradursi in una dolorosa sfida politica ed elettorale. A causa di una congiuntura particolare, il partito democratico ha dovuto mettere necessariamente in campo la velocità e l’apertura auspicate da Veltroni, e presentarsi alle elezioni ancor prima che del partito si costruisse l’intera architettura. A causa poi di un risultato non brillante, ha dovuto all’indomani del voto chiedere per sé anche un altro aggettivo: non solo veloce nelle decisioni e aperto nelle candidature, ma anche paziente e lungimirante nel disegnare una prospettiva politica che superasse il 2008, per fissare l’appuntamento con la vittoria un po’ più in là negli anni – anche se intanto il ballottaggio alle Comunali di Roma incombe, e nessuno può dire più, come il poeta, “io sol combatterò, procomberò sol io”. Comunque vadano le cose nella capitale, il partito democratico ha effettivamente accarezzato, con la sua guida nuova di zecca, l’idea secondo la quale la politica, per esser “bella” (un altro aggettivo che Veltroni ha dispensato negli anni a piene mani), deve alleggerirsi del peso degli interessi particolari e, così liberata, rendersi piacevole anzitutto agli occhi dell’opinione pubblica che si esprime sui grandi giornali.
Solo che gli interessi particolari capita che coincidano a volte con gli interessi reali, fin quasi ad essere la stessa cosa, come il successo della Lega sembra avere dimostrato in maniera lampante. Tutto si può pensare della Lega, meno infatti che sia un partito veloce e aperto. Tutto si può dire di essa meno che goda di particolare favore presso l’opinione pubblica. Tutto, infine, le si può attribuire, meno la propensione a lasciarsi abitare dai dubbi: se non è blindata la sua identità, non si può dire quale lo sarebbe. La Lega ha la stessa classe dirigente da qualche legislatura a questa parte, e lungi dall’inseguire novità ripropone la stessa ricetta, convincente o no che sia, praticamente da quando è nata. Naturalmente, col senno di poi riesce facile dire che il successo elettorale della Lega fa giustizia di molte chiacchiere sulla crisi dei partiti, sui nuovi modelli di organizzazione degli interessi, leggeri e privi o quasi di una solida struttura territoriale, sulla predominanza della rappresentazione mediatica rispetto alla rappresentanza reale degli interessi.
In realtà, come erano sbagliate prima le infatuazioni per la modernità liquida e le identità plurali, così è sbagliato rimpiangere adesso i solidi partiti della prima Repubblica e prendere la loro tetragona identità a modello. Che però si possano lasciar perdere le robuste casematte per approfittare dell’aleatorio favore di vento di cui si gode in mare aperto si è rivelato, alla prova dei fatti, un errore. E lo è ancor più se si considera che non vi è motivo alcuno per rimanere intrappolati in una simile contrapposizione: come se gli interessi particolari si dovessero vergognare di sé e non lasciarsi rappresentare alla luce del sole, e d’altra parte l’opinione pubblica non fosse innervata da interessi molto particolari che spiegano a volte più di ogni altra cosa la direzione e i salti di vento.
Chissà, comunque, cosa avrà pensato Obama, della prefazione. Dopo la vittoria di Hillary Clinton alle primarie in Pennsylvania, però, si ripresenta anche al di là dell’oceano la preoccupazione che il candidato affascinante, che ha tutte le ragioni per piacere, che gode di buona stampa, che ha le simpatie di Hollywood, che parla in nome del nuovo, della velocità e della leggerezza, e che infine ha maggiore capacità di parlare al futuro e alle nuove generazioni, possa essere, al presente, elettoralmente debole. La Clinton, di cui si riconoscono competenza e serietà per considerarle però prerogative da establishment – roba vecchia, quindi – ha in realtà preso più voti di Obama in quegli Stati che potrebbero fare la differenza contro McCain. È da vedere se il partito democratico originale, quello americano, sia più o meno paziente e lungimirante di quello nostrano, e se sia disposto a mettere da parte la preoccupazione di vincere le prossime elezioni presidenziali, per rimontare però fiduciosamente più in là.