Archivi del giorno: Maggio 29, 2008

Quel che la fede

"Quel che la fede può fare non è dirti cosa è giusto, ma darti la forza di fare ciò che è giusto"

Chi l’ha detto?

a. Hermann Melville b. Friedrich Nietzsche c. George W. Bush d. Tony Blair e. Padre Pio f. Martin Lutero g. Papa Giovanni Paolo II h. Daniel Dennett i Madonna l io.

(Che poi mi piacerebbe sapere da voi se queste parole contengano un biasimo o un elogio. So quel che ne penserebbero Socrate o Spinoza, mi domando cosa ne pensiate voialtri)

Prolusione

“Esprimere liberamente la propria fede, partecipare in nome del Vangelo al dibattito pubblico, portare serenamente il proprio contributo nella formazione degli orientamenti politico-legislativi, accettando sempre le decisioni prese dalla maggioranza: ecco ciò che non può mai essere scambiato per una minaccia alla laicità dello Stato”.
Sono d’accordo. D’Alema è d’accordo: siamo a posto. Poi mons. Bagnasco aggiunge:
“La Chiesa non vuole imporre a nessuno una morale “religiosa”: infatti essa enuncia da sempre – insieme a principi tipicamente religiosi – i valori fondamentali che definiscono la persona, cuore della società. Proprio perché fondativi, essi sono di ordine naturale, radicati cioè nell’essere stesso dell’uomo, anche se il Vangelo li assume e rilancia illuminandoli di luce ulteriore e piena”.
Il giudizio su ciò che la Chiesa ha fatto e fa, se cioè essa si sia limitata in passato e si limiti oggi a enunciare, e a enunciare soltanto, è di pertinenza dello storico, e a lui lo lascio. Che valori fondamentali che definiscono la persona siano di ordine naturale è invece proposizione filosofica, e filosoficamente assai contestabile. (E ampiamente contestata.) Direi anzi che la contestazione è l’opinione più diffusa e meglio sostenuta. Per la contestazione ascoltata più di recente dalle mie orecchie, dovrei rimandare all’intervento di Esposito alla Summer School di ItalianiEuropei. In ogni caso, dal momento che secondo Bagnasco si tratta di ordine naturale (e cioè razionale), lo pregherei di mettere a disposizione la relativa dimostrazione. Se invece non è a una dimostrazione che ci si appella, ma ad una qualche fondamentale intuizione morale, lo pregherei di mettere a disposizione la relativa teoria dell’intuizione. Io per esempio, l’intuizione in questione non ce l’ho, e vorrei capire perché.
Faccio notare poi che l’argomento abbozzato da mons. Bagnasco nel passo successivo (che fine fanno i diritti in mancanza di un radicamento assoluto nella giustizia?), è un argomento esigenziale: si vuole (anch’io voglio,in effetti) che non facciano una brutta fine. Mons. Bagnasco scrive infatti: “Quando ai diritti umani si nega la loro intrinseca verità, per la pretesa di adattarli continuamente a contesti culturali, etnici e religiosi differenti, o di ridurli al rango di procedimenti metodologici, si causa inevitabilmente la loro erosione interna”. E cioè: siccome non voglio (e, forse, per lui: nessuno vuole) che siano erosi, devo negare che siano da adattare a contesti differenti. Che siano cioè relativi (la facilità con cui si passa tuttavia da: relativi a contesti differenti, a: relativi tout court, nel senso corrente e corrivo del termine, non finisce mai di stupirmi)
Un argomento esigenziale non è, in generale, un buon argomento. In particolare, se c’è accordo sul fatto che i diritti umani non vanno erosi, a cosa serve l’ulteriore fondazione metafisica? È una corroborazione del tutto fittizia: visto che si fonda su quel volere, una tale fondazione non può possedere più forza di quanta ve ne sia in quel tal volere (posto che di forza ve ne sia).
Mons. Bagnasco continua:
“Ma perché un simile processo si inneschi, è necessario il riconoscimento del valore trascendente e, in ultima istanza, religioso proprio di ogni persona, «il punto più alto del disegno creatore per il mondo e la storia»”.
Sulla necessità di un simile riconoscimento in ultima istanza dobbiamo fidarci della parola di mons. Bagnasco, perché, almeno nella prolusione, non c’è altro.
 
C’è però un sacco di altre cose interessanti. Tra queste, metto la convinzione che il nostro tempo è il migliore perché è quello che ci è stato provvidenzialmente assegnato. Poiché è migliore non per il contenuto ma per la forma (per il fatto, cioè, che ci è stato assegnato, e solo per questo), il giudizio di Bagnasco sul nostro tempo è compatibile con qualunque condizione materiale di vita. E ogni tempo si rivela il tempo migliore per chi ha vissuto in quel tempo (dal punto di vista – almeno – della Provvidenza). “La lettura della storia suggerita della fede”, messa così, non serve a gran che. Tra le cose interessanti metto anche la denuncia della cultura nichilista, che consiste essenzialmente nella “convinzione che nulla di grande, bello, nobile ci sia da perseguire nella vita, ma che ci si debba accontentare di un «qui ed ora», di obiettivi di basso profilo, di una navigazione di piccolo cabotaggio, perché vano è puntare la prua verso il mare aperto”. Non discuto questa accezione di nichilismo (filosoficamente parlando: non è la più profonda); mi limito a ricordare quel che in ultimo hanno sentito le mie orecchie che Todorov, al seminario della Summer School: che una morale laica, immanente, persino umana troppo umana, è ben capace di additare cose grandi, belle e nobili, dall’amore per i propri figli a quello per il proprio paese. Cose, insomma, che non si fermano al «qui ed ora».
Infine, le linee guida della legge 40, il provvedimento in questione “comporta oggettivamente il rischio di promuovere una mentalità eugenetica, inaccettabile ieri al pari di oggi”. Qui trovo colpevole la genericità dell’espressione: «mentalità eugenetica». E in ogni caso mi preoccupa quell’avverbio: oggettivamente. Sembra che significhi: indipendentemente dalle intenzioni di chi opera la scelta di non impiantare l’embrione a seguito di un certo esito diagnostico, posto anche che la scelta nasca unicamente da preoccupazioni per la salute della donna, oggettivamente essa è portatrice di una mentalità eugenetica. Forse ‘mentalità’ sta per ‘effetti’: essendo complicato sindacare quel che la gente ha in mente, sarebbe più opportuno parlare degli effetti eugentici, sulla popolazione, di scelte simili. Ma è molto discutibile che il miglioramento della specie umana sia di per sé un fatto negativo e deprecabile, deprcabile anche quando non sia nelle intenzioni di chi compie la scelta che ha tra gli effetti un simile miglioramento. È certo peraltro che se la scelta in questione fosse dettata dalle migliori intenzioni, ma comportasse la soppressione di una persona, sarebbe moralmente da condannare: non però perché eugenetica, ma perché omicida. Il che equivale a dire che mons. Bagnasco sta perlomeno presupponendo che l’embrione sia persona: solo a queste condizioni, ha ragione di preoccuparsi della diagnosi preimpianto, ma la preoccupazione per la mentalità eugenetica è in tal caso perfino superflua, visto che si tratta di sventare omicidi.
 
 
Ciò detto, non so se sia il centro della prolusione ma sicuramente è il centro delle preoccupazioni di Bagnasco: dico il problema educativo e la capacità di persuasione dei media, su cui Bagnasco si sofferma lungamente. Poi ci sono l’ONU, la crisi alimentare, il problema degli stipendi e delle pensioni, il problema dei rifiuti, quello delle morti sul lavoro, quello dell’immigrazione, quello della sicurezza: “l’ampia rassegna di temi”, insomma, non manca. Quel che manca, è l’impressione che la Chiesa voglia giocare su questi ultimi temi, su cui pure l’impegno è massimo, il senso della propria presenza nel Paese.
Ma non si può avere tutto, da una prolusione.