Archivi del mese: giugno 2008

Il sottoscritto

Oggi il sottoscritto ha scoperto di essere tra le firme del Sottoscritto. Non avendo mai sottoscritto nulla in tal senso, pur apprezzando il Sottoscritto e tutti i sottoscritti, ho mandato questa mail a ilsottoscritto@ilsottoscritto.it:

"Io sottoscritto Massimo Adinolfi non sono in Sottoscritto: non essendomi mai iscritto, perché l’avete scritto? Quel che scrivo vi è proscritto né io voglio esservi ascritto. Di togliere il sottoscritto, comunque descritto, dal Sottoscritto, vi è quindi prescritto. Spero per voi che il mio sia un caso circoscritto e che non vi siano altri a forza coscritti. In ogni caso, questo che metto per iscritto l’ho già trascritto altrove, e non sarà sovrascritto, così che il mondo sappia. Lo scrivente, ecc."

Curiositas et acedia

Bisognava titolarlo come sopra. In mancanza, Voyeurismo e rispetto:

Io qualche idea ce l’avrei. Intercettare per esempio quel che possono dirsi al telefono due giovanotti dopo una serata di calcetto: battute salaci, commenti grevi, giudizi gratuiti su Tizio o Caio. Poi passerei a intercettare i condomini al termine di una riunione condominiale: reati di ingiuria e calunnia a go go. Gli amici dopo la palestra, le signore dopo la messa in piega dal parrucchiere (o viceversa: gli amici dal parrucchiere e le signore in palestra, fa lo stesso), le coppie dopo una serata al circolo sociale, i suoceri dopo un pranzo domenicale: tutto dovrebbe essere intercettato, per squarciare la tela ipocrita dell’educazione e delle buone maniere, e mostrare il fondo sordido della natura umana. Il contrario di Dorian Gray: nessuna identità nascosta in soffitta, e tutte le turpitudini in piazza. Quindi, per il principio per cui tutto ciò che riguarda un uomo pubblico deve essere universalmente noto, terrei sotto costante intercettazione, vita natural durante, tutti gli uomini politici presenti in Parlamento, in modo che un flusso costante di pettegolezzi, malevolenze, dicerie, millanterie, alimenti ininterrottamente l’opinione pubblica, affinché la democrazia, che ha in odio il segreto, elevi finalmente invidia e risentimento a fondamentali virtù civiche.
È la curiositas, diceva Tommaso d’Aquino, che la considerava una malattia grave. La malattia dell’evagatio mentis: quando la testa è vuota e svagata, e non sapendo riempirsi da sé va in cerca di qualunque cosa possa riempirla, senza troppa spremitura di meningi. Se la testa si riempie di parole che stuzzicano l’orecchio, si chiama verbositas; se si riempie di immagini che stuzzicano la prurigine dell’occhio, si chiama appunto curiositas. L’una e l’altra forma sono figlie dell’acedia, cioè dell’accidia, uno dei più imperdonabili peccati spirituali, secondo gli antichi Padri della Chiesa. In età moderna, nella forma nobile della sete di sapere, la curiositas è stata ampiamente riabilitata, anche se una sempre più flebile traccia dell’educazione secondo i costumi dei Padri rimane tuttora, ogni volta che un genitore dice seccato al proprio figliolo qualcosa tipo: “cosa vuoi sapere tu, che sei ancora piccolo?”. Siccome però in democrazia nessun cittadino (per fortuna) vuole essere trattato come un minore, ma vuole sapere “di tutto e di più” (non è forse questo l’imperativo del nostro tempo, oltre che la pubblicità dell’abbonamento Rai?), allora è tutto uno svelare gli amori delle star, le ignominie dei ricchi, e i segreti inconfessabili dei potenti.
E sta bene. Anzi sta male. Molto male. E non perché l’umana gente, cioè l’opinione pubblica, debba starsene contenta al quia, come dice l’immortale verso del Poeta, quasi che le faccende private dei politici debbano ricevere la stessa protezione dei più alti misteri teologici. Ma perché non è conoscendo le predilezioni per giovani e speranzose attrici del Presidente del Consiglio che il paese migliorerà; non è neppure scoprendo l’acqua calda, che cioè i dirigenti Rai ricevono ogni genere di segnalazioni (addirittura!), o calpestando reputazioni e generalizzando il sospetto su ogni pubblico personaggio, e concorso, e istituzione (come se poi il privato fosse immune dalle umane miserie), che la qualità della vita democratica avrà beneficio. Perderà anzi una serie di garanzie fondamentali a tutela dei diritti dei cittadini e a protezione delle loro stesse vite, come comprende chiunque abbia qualche familiarità con quella cosa che tutti invocano e che si chiama liberalismo: che resta infatti della reputazione di una persona, quando finisce sui giornali per essere stata bollata, nella comunicazione sbrigativa di una telefonata, come pazza o esaurita?
Ma c’è ancora qualcos’altro, che anche i più fervidi sostenitori delle virtù democratiche dello sbugiardamento pubblico dovrebbero considerare. Quello che, per l’appunto, insegnava Tommaso, con la storia della curiosità figlia della triste accidia. Basta osservare l’intero ritratto di famiglia, e ricordare i nomi delle altre figliole sue sorelle: la malizia, il rancore, la pusillanimità, la disperazione, il torpore spirituale. Tutto quello che insomma senza troppo cultura teologica chiameremmo pigrizia, e in cui, con un minimo di consapevolezza critica in più, riconosciamo la più umiliante frustrazione del desiderio politico. Il quale deve contentarsi di origliare le parole degli altri e di spiarli, fregandosi le mani, dal buco della serratura, non avendo più la forza di un’autentica passione civile.
 

Operazione verità

Come si evince senza troppi sforzi dalla testata, questo blog è di MASSIMO Adinolfi, non di MARIO Adinolfi, con il quale il sottoscritto non ha, a mia conoscenza almeno, rapporti di parentela.

Per evitare confusione, e soprattutto per non usurpare fama e onori altrui, questo post verrà riproposto una volta a settimana, fino a quando non si verificheranno più equivoci di sorta (nel mondo reale e nel mondo virtuale). Si ringraziano tutti coloro che vorranno contribuire nel mondo alla necessaria operazione verità

L'impotenza sessuale maschile ha sempre cause psicologiche?

Risposta: "Nonostante che, con l’affinarsi delle tecniche diagnostiche, stia aumentando il riconoscimento di alterazioni organiche alla base delle disfunzioni erettili, vi è sempre in tutti questi casi una componente psicologica.
"E’ quindi sempre opportuno effettuare una psicoterapia sessuologica per supportare eventuali terapie farmacologuche o chirurgiche".

No, questo blog non ha cambiato ragione sociale. Ma in vista della IX International Conference on Philosophical Practice, in programma dal prossimo 16 luglio a Carloforte, in Sardegna, ho deciso di introdurvi all’opera del Prof. Dr. Ludovico Edoardo Berra, "medico specialista in psichiatria, psicoterapeuta e counselor ad orientamento filosofico esistenziale", già autore di Oltre il senso della vita. La disinteressata risposta alla domanda frequente sopra riportata è la sua.

(Non ho i titoli del Prof. Dr., però se volete un filosofo per consulente, sono a disposizione. Tanto più che sono in grado di farvi, come Foucault, un’archeologia della pratica filosofico-terapeurtica. Risalendo addirittura all’episodio sul Telefono consolatore della impeccabile signorina Beata, inserito ne Gli amanti latini, in cui la signorina Beata, che deve risolvere i problemi coniugali di Aldo Giuffré, è affiancata dallo psicologo. Che pronuncia le parole decisive (più o meno): "Sta scritto: Bussate, e vi sarà aperto. Ma io vi dico: telefonate, e vi sentirete meglio". Nella foto, al centro, l’ispirato consulente)

Alle porte

Ora che l’Italia ha perso, I difensori delle radici, dell’identità, dei valori, prendano posizione circa la possibilità di una vittoria della Turchia agli Europei di calcio. Se poi uno pensa che la vittoria potrebbe materializzarsi a Vienna, dove meno di 350 anni fa…

Esame di maturità

Ancora polemiche sull’esame di maturità. E voglio vedere, direte voi: le tracce sono piene zeppe di errori.
Ma io mi riferisco alla prova di filosofia. Quale prova di filosofia?, direte voi. Quella che si tiene in Francia.
Ecco le due domande tra le quali scegliere:

Si può educare la percezione?; E’ possibile una conoscenza del vivente?

Niente male, non è vero? In alternativa c’era un testo di Sartre, di non facile domesticazione. E su Libération si incavolano un po’: qui la vogliono rendere così difficile per dire che, insomma, non è il caso di continuare con questa sorta di formazione dello spirito critico (tale sarebbe prevalentemente l’insegnamento attuale della filosofia in Francia), e meglio sarebbe passare alla più robusta storia delle idee. Senza di che, l’esame non si passa.
Che dire? Rispetto alle polemiche che investono le prove italiane, è tutto grasso che cola.

Opposizione ondulante

Sotto un titolo gentile, l’articolo di oggi, su Il Mattino:

Venerdì si apre l’Assemblea Costituente del Pd. Se la grammatica ha un senso, “costituente” vuol dire: che si costituisce. Se poi lo ha anche la logica, questo significa che non si è ancora “costituito”. Il problema dell’opposizione è tutto qui. Forse è troppo semplice, addirittura semplicistico, ma è precisamente in questi termini che la vede l’uomo della strada. Più precisamente: l’uomo dell’autobus, che ieri mattina leggeva il giornale sulla linea 10 che lo portava dalla provincia in città. E che chiedeva al signore seduto al suo fianco, non retoricamente ma con sincero smarrimento, se fosse lui a non aver capito: ma il partito democratico c’è o non c’è?
C’è, ma non si vede. C’è, ma agisce nell’ombra, anzi all’ombra del governo. C’è, ed ha persino una vocazione maggioritaria, così maggioritaria da non aver avuto bisogno di stringere intese politiche, programmatiche o elettorali con altri partiti – salvo scoprire, il 14 aprile scorso (e ancora domenica, alle amministrative siciliane) la piccola differenza consonantica che separa la vocazione dalla votazione.
In realtà, il partito democratico un’alleanza l’ha stretta: con l’Italia dei valori. Perché meravigliarsi, dunque, se il segretario del partito costituente e da costituire ha visto strapparsi “la tela del dialogo possibile” proprio sui temi sui quali più nettamente si disegna il profilo del partito che già c’è, quello di Antonio Di Pietro: la giustizia, le intercettazioni, le leggi ad personam, l’antiberlusconismo?
Il fatto è che in realtà non di una tela si trattava, ma di una robusta ragnatela. La quale celava (e cela ancora) il rischio che chiunque non sia al centro a tessere i fili si trovi invischiato nel poco gradevole ruolo di mosca cocchiera – quello appunto che Berlusconi ha finora immaginato di riservare a Veltroni, mostrandosi non a caso preoccupato non tanto per gli effetti nel paese dei suoi ultimi atti di governo, ma per le conseguenze che potrebbero prodursi nel Pd, a danno del periclitante segretario.
Se perciò l’opposizione sembra ora trovarsi tra la Scilla di una subalternità politica nei confronti del centrodestra e la Cariddi di una subalternità girotondina nei confronti di Di Pietro, è perché, preoccupato di quale aggettivo scegliere per connotare il proprio ruolo di opposizione, dura o dialogante, costruttiva o intransigente, il partito democratico si è semplicemente dimenticato di giocarlo, quel ruolo. Che significa: trovare interlocutori politici, collegare forze e interessi sociali ed economici, costruire un’idea di riforma del sistema politico che non sia semplicemente funzionale al Cavaliere, e un’agenda politica che non sia scandita dalle emergenze di volta in volta individuate dal centrodestra.
Sottrarsi a quella scomoda alternativa non è però semplice, perché, a bene vedere, essa è iscritta nella sua più antica fibra. Che fu intrecciata durante il lungo autunno della prima repubblica, quando dall’impotenza politica dell’opposizione nacque l’idea un po’ balzana del partito che non c’è: “un partito con un programma di riforme istituzionali ed economiche, con una moralità nuova, con gente credibile e non compromessa”, scrisse Eugenio Scalfari su Repubblica, nel lontano dicembre 1991, con parole che Veltroni (allora tra i più convinti sostenitori del rassemblement proposto da Scalfari), potrebbe ancora oggi fare proprie. Scalfari mise su il suo pantheon formato da uomini il cui denominatore comune era costituito da “onestà, impegno civile, competenza e decenza nazionale”, delineando così un partito che in effetti non era un partito, dal momento che nessuno dei requisiti indicati allora poteva offrire altro che una bandiera morale. Un partito che non c’era e che, non essendo un partito, continuò pacatamente, serenamente, a non esserci.
Oggi, preoccupati di non riproporre entro il Pd lo schema delle vecchie appartenenze partitiche, i dirigenti del Pd stanno pericolosamente prendendo un’analoga china, giustificando così tutti i dubbi raccolti ieri mattina sull’autolinea numero 10.
E alla vigilia dell’assemblea costituente, timorosi dell’attivismo delle Fondazioni, sembrano voler dimostrare che più ancora che dal formarsi di correnti, sono terrorizzati all’idea di doverlo fare per davvero un partito che, finalmente, ci sia.

Domande

"L’etica pubblica si fonda sulla contrattazione fra poteri forti o ha un fondamento prepolitico?", si domanda il filosofo della politica Vittorio Possenti.
O almeno se lo domanda il titolista de Il Foglio, perché io non ho letto e non so se avrò il tempo di leggere l’articolo. Sto perciò a titolo e sottotitolo.

E rispondo: ma non è che per caso vi siano poteri forti anche dalle parti del prepolitico? E il politico deve per forza essere lo spazio dei poteri forti?
Secondo me, come sottotitoli, le mie domande vanno anche meglio di quelle di Possenti.

P.S. Quanto al titolo, quello era: Religiosamente laici. E lo capisco, visto che di essere laicamente e non clericalmente religiosi non se ne vuol parlare.

Alla scuola del realismo

Enrico: – Papà, perché non compriamo una macchina nuova ogni giorno? —
Renata: – Ma sei pazzo? Così diiventiamo subito poveri -.
Enrico: – Ma io voglio diventare povero! -.
Renata: – E vuoi morire di fame, di sete, senza più giocattoli? –
Enrico: – Ah già. Non ci avevo pensato -.

La nuova stagione

Effettivamente, fa un po’ impressione

Necessità e urgenza di polemiche razionali

“La necessità non è una situazione oggettiva, implica soltanto un giudizio o una valutazione personale. In fondo, sono straordinarie e urgenti solo le situazioni definite tali”. Misuriamoci con questa molto filosofica considerazione, senza rivelare, per ora, se sia tratta dalla dialettica trascendentale di Kant o dal saggio sul concetto del politico di Carl Schmitt. E domandiamo: davvero, “in fondo”, le cose stanno così? Bisogna essere abbastanza postmoderni, o comunque assai lucidamente disincantati, per pensarlo. Per pensare, poniamo, che se si verifica un terremoto di proporzioni catastrofiche la situazione non è affatto straordinaria e urgente, o almeno non finché qualcuno, ad esempio il governo, non la definisca tale.
(continua)

Cinque piccoli particolari

Uno trascorre un tranquillo pomeriggio a pranzo fuori, la prima comunione del primo nipote, con i bimbi che giocano tutto il tempo nel parco giochi, un bel sole, un bel venticello, e non vuoi che a cinque minuti dalla fine, quando tutto sembra essere andato per il verso giusto, qualcuno si accorga dei cinque piccoli particolari: una è più alta, l’altra più bassa; una è più scura, l’altra più chiara; una è più nuova, l’altra più vecchia; una a pianta larga, l’altra più stretta; una a punta quadrata, l’altra più appuntita?
(Però vi assicuro, le mie scarpe erano entrambe marroni)

-Ibile, -eide

"Che il PD non abbia la vocazione al dibattito interno e alla valorizzazione della diversità di opinioni lo si vede benissimo aprendo il sito ufficiale del partito. E’ pura veltroneide" (Mario Barbi, su il Riformista).

Basta la parola. Lascio perdere il giudizio sul PD, l’analisi del voto, l’azione politico-programmatica, la democrazia e il dibattito interno, e sposo la parola. Concedo tutto, purché mi si conceda la parola. Veltroni è, più precisamente, una Veltroneide. Non come l’Eneide, però, ma come le storie di Topolino.

(Per nobilitare il post, la butto in filosofia. Paolo Virno, Parole con parole. Poteri e limiti del linguaggio: "Certo, non si può pronunciare senza imbarazzo qualcosa come ‘Paolibile’, ‘Giovannibile’, ‘Elenibile’: ma la trasformazione dei nomi propri in altrettante disposizioni sarebbe, forse, una mossa grammaticale in grado di simboleggiare il paradosso della contingenza".
Il guaio è che, invece che in -ibile, i nomi si trasformano in -eide.  E l’individuale non si fa potenziale, ma caricaturale).

 

Non ce l'ho fatta

Non ce l’ho fatta a ignorare, come si dovrebbe, Luca Volonté. Sicché vi linko il suo impeccabile articolo su L’incredibile cinismo dei genitori di quei genitori di Foggia, ma poi anche l’incredbile cinismo dell’onorevole Volonté, post di Antonio Vigilante, che conosce la vicenda.
(grazie a bioetiche).

[Mi dispiace di avere appreso solo adesso la vicenda. La petizione non ha più senso firmarla, ma dargli visibilità credo sì. Perciò la ricopio qua sotto (questo il link)]:

Davide è nato il 28 aprile agli Ospedali Riuniti di Foggia. Subito dopo la nascita è stato trasportato in terapia intensiva neonatale per uno pneumotorace. Nelle ore, nei giorni successivi le notizie si sono susseguite, in un crescendo che ha via via eroso la speranza: Davide forse non ha i reni, Davide certamente non ha i reni, Davide ha la sindrome di Potter. Nome simpatico per una malattia terribile. I bambini affetti da sindrome (o sequenza) di Potter non hanno i reni, hanno i piedi torti, non hanno o hanno poco sviluppati gli ureteri e la vescica, hanno malformazioni al viso (facies di Potter) e, nel 60% dei casi, malformazioni intestinali ed anorettali. Nel caso di Davide, a ciò si aggiunge l’altissima probabilità di danni cerebrali per mancanza di ossigeno durante il parto. La prognosi per la sindrome di Potter è “costantemente infausta” (R. Domini-R. De Castro, Chirurgia delle malformazioni urinarie e genitali, Piccin, Padova 1998, p. 96). Quasi tutti i bambini affetti da questa malattia muoiono subito dopo il parto. Nel caso di Davide, le cose vanno diversamente. Il bambino sopravvive alle prime ore. Nei giorni successivi le sue condizioni polmonari migliorano, fino a non rendere più necessaria la respirazione artificiale.
Nel raccontare i nudi fatti abbiamo tralasciato di riferire lo stato d’animo dei genitori. Non occorre spendere molte parole: ognuno può figurarselo. I genitori di Davide passano dalla felicità per la nascita al dolore, alla speranza che cerca di alimentarsi frugando nelle pieghe dei resoconti dei medici. I quali, però, di speranze non ne lasciano. L’indicazione che ricevono dai sanitari è chiara: un bambino con quella malattia non può sopravvivere, insistere sarebbe egoismo. Si rassegnano, comprendono. E’ doloroso, ma bisogna fare i conti con la realtà. Quando Davide comincia a respirare da solo, la situazione cambia di colpo. Ai genitori, che con non poca sofferenza hanno accettato una situazione così disperante, si chiede ora di fare una scelta: evitare ogni ulteriore trattamento, oppure autorizzare la dialisi. Non è una scelta facile. Nessun genitore vorrebbe arrendersi alla morte del figlio. Ma la dialisi è forse, in questo caso, una forma di accanimento terapeutico. Una terapia dolorosa ed invasiva che con ogni probabilità non eviterà a Davide la morte. I genitori sono confusi. Non è facile passare dalla gioia al dolore alla speranza alla rassegnazione. Né è facile capire cosa è bene e cosa è male per Davide. Chiedono tempo. Vorrebbero discuterne con il comitato etico dell’ospedale. Nella rivista eMedicine si legge che nel caso di sindrome di Potter con pneumotorace “può non essere indicato un ulteriore trattamento”, e che “la decisione dev’essere presa dopo una discussione con i genitori”. Così vanno probabilmente le cose all’estero; non in Italia. Nessuna discussione, nessuna riunione del comitato etico. Con un atto di forza incomprensibile ed umanamente deprecabile, il primario del reparto di terapia intensiva degli Ospedali Riuniti si rivolge al Tribunale per i Minori di Bari per chiedere la sospensione dei genitori di Davide dalla potestà genitoriale, ottenere di esserne nominato tutore e autorizzare, in quanto tutore, il suo trasferimento presso un ospedale attrezzato per la dialisi. Viene accontentato. Con provvedimento del 10 maggio il Tribunale per i Minori di Bari sospende la potestà genitoriale dei genitori di Davide. La decisione è presa “inaudita altera parte e senza ulteriori approfondimenti del caso”, dice il provvedimento. Che vuol dire: senza ascoltare i genitori di Davide e senza nemmeno chiedersi cos’è una sindrome di Potter.
Ora Davide si trova presso l’ospedale Giovanni XXIII di Bari. Vi è stato trasportato senza che i genitori venissero informati; hanno saputo dove si trovava il figlio solo a trasferimento avvenuto. Ai medici dell’ospedale di Bari, persone umane e premurose, non sono stati forniti i numeri di telefono dei genitori di Davide.
Le condizioni di Davide sono attualmente disperate.
Non è facile, in situazioni così gravi e difficili, fare la cosa giusta. Sbagliare è comprensibile, sempre; in questi casi lo è di più. Ma è difficile non scorgere in alcuni passaggi della storia che è stata raccontata una incomprensibile insensibilità nei confronti di persone che si sono trovate ad affrontare un grande dramma umano. Il provvedimento di sospensione della potestà genitoriale è offensivo e umiliante, ed ha arrecato una grande sofferenza psicologica a persone già duramente provate.
Per questo chiediamo che il provvedimento venga sospeso e che venga riconosciuto ai genitori di Davide Marasco il diritto di dire la loro sul futuro di loro figlio e sui trattamenti medici cui sottoporlo.

Il cantiere aperto della laicità

Si parla, a ragione, di crisi della cultura laica. Ma nessuno, credente o non credente che sia, può trarne motivo di soddisfazione, almeno finché tiene alla laicità dello Stato. E se ad essa credenti e non credenti tengono, è perché è un valore; e così i laici in crisi, in attesa di tempi migliori, possono dire di averne, per loro fortuna, almeno uno (e fondamentale, perché posto a fondamento dello Stato). Ma in cosa consiste propriamente la crisi? Due sembrano le diagnosi prevalenti. La prima: la laicizzazione ha progressivamente eroso l’identità cristiana dell’Occidente. La crisi è una crisi di identità. La seconda: la ragione laica ha progressivamente perso fiducia nella capacità di orientare l’uomo. È così sfociata nel relativismo, nell’indifferentismo, nel nichilismo (queste parole non significano la stessa cosa, ma sempre più spesso si lascia credere che così sia). Le diagnosi prevalenti sono anche convergenti. Se infatti uno smarrisce la propria identità, smarrisce facilmente anche la fiducia nella possibilità di conoscere e perseguire il proprio bene. E viceversa: se uno non sa più quale sia il suo vero bene, è molto difficile che mantenga un forte senso di identità. In un modo o nell’altro, la cultura laica sembra incapace di dare risposte a domande ineludibili relative al senso dell’esistenza, tanto individuale quanto collettiva.
Che le domande di senso – le domande circa la natura e il destino dell’uomo, o sul valore della vita e il suo vero bene – riescano a un tempo irrisolte e però ineludibili, può essere considerato anche questa una manifestazione della crisi: a lungo la modernità ha creduto infatti o di poter dare a tali domande una risposta del tutto laica e immanente, oppure di poterle relegare in uno spazio strettamente individuale, in modo da eluderne l’impatto nella sfera pubblica. Ma le risposte non sono venute, né si possono più eludere le domande. Da questa crisi, dalla deludente assenza di risposte e dalla insistente persistenza delle domande, dovrebbe muovere il dialogo fra credenti e non credenti. Il quale avrebbe perciò quest’unica condizione, che «gli uni e gli altri credano che esista un bene umano e che questo bene umano possa essere conosciuto e perseguito» (F. D’Agostino, Avvenire, 5-6-2006). Non è una condizione di poco conto: se non altro, è molto più che non il mero rispetto del fondamentale diritto di libertà di ciascuno di dire la propria su qualunque argomento, diritto che dovrebbe essere sufficiente a garantire la laicità dello spazio pubblico e la sua agibilità per tutti, credenti e non. Tuttavia D’Agostino ha ragione ad alzare la posta in gioco. Non sono sicuro, ma suppongo che quando si parla di nuova laicità, di laicità sana o di laicità positiva si intenda fare rifermento proprio a questa condizione non meramente formale o procedurale, per la quale la costruzione di una «società bene ordinata» costituisce l’obiettivo verso il quale indirizzare l’impegno comune di laici e religiosi. Ha ragione nel dire cioè che in ciò consiste la provocazione della Chiesa alla cultura laica, la quale non può fare finta di nulla, e ha ragione pure quando respinge la rozza semplificazione con la quale a volte, da parte laica, si indulge a rappresentare la fede in termini strettamente fideistici, ossia irrazionali. La prima regola di ogni dialogo autentico consiste infatti nell’accettare il modo in cui la parte con cui si dialoga comprende se stessa. E nella tradizione cristiana, come Benedetto XVI ricorda sempre, Dio è (anche o anzitutto: la teologia è una roba complicata) logos, cioè appunto ragione, sebbene questa ragione non sia la mera razionalità strumentale della scienza e della tecnica moderna. Non è però sui significati di ragione che intendo soffermarmi in ultimo, quanto proprio sulla provocazione. Per rispondere alla quale devo chiedere a mia volta che si accetti il modo in cui la cultura laica autocomprende se stessa. E non è in termini piattamente relativistici, indifferentistici o nichilistici che lo fa, al suo meglio. Al suo meglio, la cultura laica può ben dire in cosa consista il «bene umano oggettivo», per usare l’espressione che D’Agostino predilige. Può dire che tale bene consiste nelle differenze tra i diversi piani di vita che gli uomini perseguono, e che queste differenze sono le stesse che apprezziamo nei mille contesti in cui amiamo la molteplicità delle esperienze, la varietà dei colori e dei sapori della vita di cui riempiamo le nostre esistenze. Non c’è intelligenza che non si arricchisca o non diventi adulta cercando da sé il modo di ordinare queste esperienze, invece di essere ordinata dall’alto. Solo che, per questo, ci vuole un po’ meno paura di perdere la propria identità, e un po’ più di fiducia nella capacità dell’uomo di esperire senza smarrirsi la ricchezza della vita. Se questa fiducia viene accordata, anche il dialogo tra credenti e non credenti sarà meno animato da riflessi identitari e più aperto alla comprensione reciproca. Sarà quel che deve essere in una democrazia.