Io so che se mi intercettano, e in specie: se mi hanno intercettato in questi ultimi giorni, la quantità di spiegazioni che dovrei a Tizio e a Caio (spero non a magistrati) sarebbe enorme. Ciò detto, replico brevemente a Malvino, che a proposito dell’articolo qui sotto postato mi obietta sostanzialmente di avere fatto una distinzione tra curiositas e curiositas: edificante l’una, indecente l’altra.
L’obiezione, fin qui, non è degna di particolare nota, perché suppongo – anzi: so per certo che Malvino, come me e come tutti, è curioso di questo e non di quello, e distingue benissimo quel che vale la pena sapere da quel che non vale la pena sapere, sicché si autoconfuta da solo.
Ma poi Malvino aggiunge: "Si pone la necessità di un’autorità (se non morale, culturale; se non culturale, politica) che scoraggi i sudditi dalla curiositas spiritualmente deleteria". E qui non mi è chiaro a quale punto del mio articolo si riferisca, visto che l’articolo non suggerisce l’urgenza di una svolta autoritaria nel paese. Capisco bene, però, perché usi la parola autorità, e perché poi la parola sudditi (che peraltro va esattamente nel verso opposto a quanto scrivo, nell’ultima parte dell’articolo), ma non capisco a quale punto del mio articolo si riferisca per giustificarne passabilmente l’uso.
A mio avviso, c’è sotto (ma non troppo sotto) una bella, e sofistica, quaternio terminorum, perché il termine viene preso nell’accezione larga – per cui è un’autorità (in senso morale, e spirituale) anche l’amico di cui si seguono i consigli, o il docente che invita a vedere un film piuttosto che un altro, o lo stesso Malvino che di libri me ne ha consigliati e regalati in passato (e spero in futuro) -, ma è un’autorità anche il pubblico ufficiale che impone il rispetto di un divieto di legge. E scambiando o sovrapponendo i due termini, l’obiezione di Malvino fila che è una bellezza.
Che Malvino non si preoccupi di sottilizzare troppo, nonostante le note, a me pare peraltro evidente da ciò: che avanza dubbi su quel che è opinione mia e su quel che è opinione di Tommaso, e non posso credere che non abbia saputo distinguere. Sarebbe bastato fare attenzione al ‘per fortuna’, posto fra parentesi (e anche senza quello, si capiva benissimo);
che trascura di considerare l’unico passaggio che dedico all’aspetto non dico legale, ma di legittimità costituzionale della faccenda (del quale naturalmente si può discutere, ma non è una discussione di quest’aspetto il post di Malvino, ed è comunque sorprendente che un liberale come lui sorvoli così velocemente sul tema delle garanzie);
che, soprattutto, trascura di considerare tutta la coda dell’articolo, che è poi la sua vera ratio (anche se Malvino sospetta, bontà sua, che sia altra). E cioè, se dovessi dirla persino nel più diretto dei modi: che non c’è motivo di supporre che la classe politica democristiana che governava il paese trenta, quaranta, o cinquant’anni fa fosse moralmente migliore di quella attuale, e tuttavia il motivo principale per cui veniva combattuta non era di ordine morale, ma politico (non importa ora quanto fondato, il motivo). Il che peraltro, aggiungo en passant, non obbligava a condividerne o ad apprezzarne la moralità.
Infine, sul tema delle garanzie. Al gentile commentatore malviniano che si chiede se io ponga sullo stesso piano le telefonate tra amici che si fanno i fatti loro, e le telefonate tra Berlusconi e Saccà, pur dovendo fare qualche precisazione, vado al sodo e scelgo il lato a lui più indigesto della faccenda e rispondo (da liberale, credevo) di sì. C’è un piano sul quale stanno sia le une che le altre, ed è per esempio il rispetto delle persone che funzionari pubblici non sono, e che sono sputtanate comunque dalle telefonate. Lui pensa evidentemente che il diritto dell’opinione pubblica di sapere cosa dice in privato il Presidente del Consiglio giustifichi lo sputtanamento di chiunque, io no. Per fare un esempio: nell’esercizio delle mie funzioni di docente, sono, a quanto pare, un pubblico funzionario. Bene, trovo che sarebbe veramente preoccupante se per questo gli studenti, venuti in possesso del contenuto di mie telefonate private in cui sparo giudizi su questo e su quello (e magari rivelo pure questioni di corna tra colleghi, che stuzzicano sempre la curiositas), trovo veramente preoccupante, dicevo, se le potessero mettere liberamente sul giornalino dell’università, o sul Corriere della sera.
E a tal proposito, preferisco infine che lui pensi che l’opinione che io ho di lui sia quella che emerge da queste righe, e non quella che mi potrebbe scappare al telefono con Malvino. (Si scherza, eh).
p.s. Lo rassicuro, infine, su un punto secondario: il mio gioudizio politico su Mastella è lo stesso, e non ha avuto bisogno delle ultime vicende per formarsi, né quelle vicende lo hanno mutato.
Una sola domanda: era oziosa la pubblicazione delle intercettazioni delle telefonate tra D’Alema e Consorte?
Lo era sicuramente molto meno delle telefonate Berlusconi-Saccà, se devo prendere alla lettera l’aggettivo oziosa, e cioè se non ne facciamo qui questione di diritto, sulla quali, nella fattispecie di specie e specifica, non sono minimamente preparato (non sono mica Travaglio). Ma, se segui il filo dell’argomento che mi hai opposto, vedi bene che sei tu, non io, sei tu che non puoi distinguere tra un caso e l’altro; tu devi pensare che l’una cosa non è oziosa esattamente alla stessa maniera, e che l’una e l’altra vicenda interessano allo stesso modo lo ‘spirito pubblico’, il che mi pare francamente ridicolo.
Detto che non era dunque oziosa, e messa ancora una volta da parte la questione del diritto e delle garanzie (poi mi spieghi da liberale come la risolvi), viene il fatto che io riesco ben a vedere cosa sia conseguito politicamente da quella pubblicazione, e cosa periodicamente gli si vuole fare ancora conseguire, mentre ignoro cosa ne sia conseguito giudiziariamente. Il che non dovrebbe lasciare tranquilli i patiti dello sbugiardamento democratico.
Vedo che le continua a sfuggire un fatto: quelle intercettazioni nascono per verificare ipotesi di reato (abuso d’ufficio, corruzione) nei confronti di un incaricato di un pubblico servizio (Saccà), ma forse anche di pubblici ufficiali (Berlusconi, Letta, Urbani, ecc.).
L'”oggetto” di queste ipotetiche condotte illecite è l’abusiva collocazione d’individui nell’ambito RAI, dunque con soldi pubblici.
Tali individui, in base a quanto emerge dalle intercettazioni (che, in quanto depositate in cancelleria e rese così disponibili ai soggetti del relativo procedimento penale, non sono più segrete), hanno consapevolmente chiesto ai loro protettori – anzi no, non è liberale ed è terribilmente volgare, va bene mecenati? – di fare qualcosa. Mi pare quindi il minimo che, emerso il tutto, vengano resi pubblici i loro nomi.
Così come, quando vennero pubblicate le telefonate di Mastella e consorte (nel senso di “coniuge”, non del trafficante dell’Unipol) per la collocazione di loro scherani nelle ASL, era assolutamente doveroso pubblicare anche i nomi di tali scherani, che hanno beneficiato (o avrebbero potuto beneficiare) dell’intervento dei due politici sanniti.
Quindi, il paragone con sue ipotetiche telefonate in cui lei sparlerebbe di questo e di quello, non sta in piedi, proprio perché un siffatto sparlare non costituirebbe un’illecita strumentalizzazione dei suoi poteri di pubblico funzionario. E del resto, per la diffamazione (che è l’unico reato che si potrebbe ravvisare) le intercettazioni non sono ammesse.
Morale della favola (e glielo dico chiaramente, perché ho questo brutto vizio): a mio avviso lei rientra a tutti gli effetti nella schiera dei fautori di ciò che si è soliti definire garantismo peloso, o tartufesco. Ossia, invocazione dell’applicazione delle garanzie di riservatezza per la generalità degli individui, a situazioni che comuni e generali non sono, perché convolgenti individui (e loro cortigiani, scherani, famigli) titolari di potere politico, istituzionale, economico, affaristico.
Ed in questo, mi permetta d’insistere sul punto, la cornice de “Il Mattino” mi pare davvero la più consona.
Insomma, discoli (innocui) nella blogosfera, paludati e conformisti nella scena mediatica “ufficiale”.
Saluti.
Emilio
Caro Emilio, comincio dalla fine. Non mi chieda ora di impegnarmi in una difesa de “Il Mattino”: la sua tendenza a tracimare, nel lessico e nella cornice, è già sufficientemente indicativa perché io lasci perdere. Quando sarò Direttore, quando avrò ripassato le annate precedenti il 2007, quando sarò storico del giornalismo, quando farò anche solo la mia prima riunione di redazione, ne riparleremo, magari.
Per quel che però riguarda me (visto che lei non può fare a meno, a quel che capisco, di dare giudizi personali), non mi pare di essere discolo nella blogosfera, né mi pare di essere conformista su Il Mattino: sono peraltro sicuro che la sua opinione è di gran lunga più conforme alle opinioni delle redazione dei giornali di quanto non lo sia la mia. Ma questo poco importa, o importa solo al suo bisogno, appunto, di dare giudizi.
Vengo al mio esempio. Io liberamente supponevo, per il fatto appunto di essere (solo nell’esempio, spero) intercettato, che qualche magistrato stesse sulle tracce di reati, per esempio relativi a procedure concorsuali (quindi, coi “titolari di potere” e tutte le altre cose al loro posto). Supponevo poi che nelle mie telefonate intercettate, si trovassero affermazioni su colleghi giudicati stupidi, o fedifraghi, o zuzzurelloni, o non so cosa. Supponevo di essere nella fase delle “ipotetiche condotte”, e che, depositate le intercettazioni, queste venissero poi liberamente pubblicate, con effetto sputtanante ben oltre le “ipotesi di reato da verificare” (ma verificate, a quando?), e con effetti su terzi sputtanati aggratis: tutto bene? Per me no, per lei sì. Ognuno ha i suoi standard, e poco mi cale che il mio sia da lei bollato come garantismo peloso: me ne farò una ragione. Non capisco però perché peloso: di solito si usa questa etichetta per chi è garantista a tratti alterni. In quale tratto le sono sembrato alterno? (Io poi, per me, non mi definirei affatto garantista, ma questa è un’altra faccenda).
Mi resta, infine, una domanda: perché, secondo lei, ci dovrebbero essere casi in cui le telefonate dei “titolari di potere” non dovrebbero essere rese pubbliche (tolti i casi temporanei in cui la pubblicazione danneggerebbe, per esempio, un’indagine in corso)? Trovo più coerente che, una volta che si sia intercettato (e a questo punto, estenderei la discrezione del magistrato nel valutare chi intercettare, in modo da ampliare il controllo ‘democratico’ sull’esercizio del potere), una volta che dunque ci sia taluno che sia a conoscenza di fatti che riguardano “titolari di potere”, è giusto, è sano, è democratico, e risponde al principio di eguaglianza, che a conoscenza si sia messi tutti, il più possibile. O no?
Concludo. In tutto ciò, come avrà notato, discutiamo di aspetti che io non tocco se non incidentalmente nell’articolo, perché la faccenda pelosa del garantismo, nell’articolo tartufesco, io la do quasi per scontata, e mi preoccupo di tutt’altro. Che invece, volendo qui rispondere (ma poi smetto, tartufescamente), debba affrontare la discussione su siffatte questioni è un segno di intelligenza, nella lettura dell’articolo, su cui darò solo telefonicamente – non oso dire privatamente: non si sa mai – un franco giudizio).
Nell’esempio portato nel suo post (lei che telefona, ecc.), mancavano tutte quelle altre circostanze (“Io liberamente supponevo, per il fatto appunto di essere … intercettato, che qualche magistrato stesse sulle tracce di reati, per esempio relativi a procedure concorsuali …”) che lei aggiunge, infatti, solo nel commento n. 4. Nel quale, quindi, sposta i termini della questione. Una cosa, difatti, è la pubblicazione di accadimenti (intesi nel senso lato anche di conversazioni) che riguardano direttamente le ipotesi di reato per le quali si intercetta, altra (su cui però tornerò fra breve) è la pubblicazione di fatti appresi solo in occasione di intercettazioni, ma che non sono ricollegati all’oggetto dell’indagine nell’ambito della quale quest’ultime sono disposte.
Nel caso Berlusconi-Saccà (ed altri), ripeto ancora una volta (ma si sa ancora leggere o no?), si tratta di intercettazioni riguardanti direttamente i fatti per i quali si indaga: e sono fatti privati nella misura in cui quando – qui s’ipotizza, sia chiaro – si cerca di corrompere un incaricato di pubblico servizio, e/o quando quest’ultimo abusa del proprio potere, lo si fa privatamente. È la fatica dell’ovvio dire questo, ma evidentemente è necessario. E, in questo caso, “i terzi sputtanati aggratis” (attrici, per lo più), ben sapevano che il rivolgersi a “potenti” per ottenere favori indebiti comporta il rischio di essere scoperti. Se Brunetta pubblica on line gli stipendi dei dirigenti pubblici, le assenze, ecc., io contribuente ben potrò sapere che quella tal produzione RAI è stata merce di scambio utilizzata abusivamente per motivi politico-affaristici. Insomma, ti rivolgi al Berlusconi di turno per avere indebitamente posti pubblici? Bene, sopporta le conseguenze di ciò. Cuius commoda, eius et incommoda (ecco, va’, una spruzzata di latinorum, che ci sta sempre bene).
Quanto alla domanda che lei pone, direi questo: se si pubblicano conversazioni non pertinenti all’indagine, l’intercettazione può essere illecita. Ma la pubblicazione può non esserlo, se non è diffamatoria.. E quand’è che non lo è? Quando è dettata dal pubblico interesse alla conoscenza dei fatti. Anche qui, vale il citato brocardo latino.
Ma a proposito di garantismo peloso, questo non è solo quello alterno, ma anche quello sventolato da chi si gonfia il petto di principi generali, per coprire (non dichiarandolo) interessi di bottega. Ma anche nell’accezione da lei proposta, non mi consta lei abbia effettuato interventi pubblici (blog, riviste, quotidiani) a favore di Mastella (e consorte) quando furono pubblicate le conversazioni. Ed il caso, ripeto, è analogo a quello attuale.
Chissà, forse per lei il carattere (presunto) “particolare” dei favori differenzia la vicenda Berlusconi-Saccà da quella di Mastella. Ed alcuni passaggi del suo articolo su “Il Mattino” sembrano suggerire ciò: “…non è conoscendo le predilezioni per giovani e speranzose attrici del Presidente del Consiglio che il paese migliorerà”; che brutta cosa la politica che “deve contentarsi di origliare le parole degli altri e di spiarli, fregandosi le mani, dal buco della serratura”. Dunque: che politica meschina quella che si è ridotta a spiare le copule dei politici! E poi, le raccomandazioni in RAI sono sempre esistite …. Questo è (a mio avviso) il discorso che fanno tutti; e perciò ho scritto che la sua è una posizione conformista. Anzi, è un discorso affine a quello che fa “Libero” quando, titolando “il guaio è la gnocca”, ammicca al lettore, dicendo, ma insomma, dai, la carne è debole, in fondo che c’è di male, non ti interessare di queste cose, pensa ad altro. Solo che, nel suo articolo, questo discorso è un po’ più perbene e non truculento, anzi, impregnato di tono dolente per come si è ridotta la virtù civica.
Ribadisco: qui il contenuto dei favori non rileva, siano essi di carattere sessuale, politico, partitico. Quello che conta è l’utilizzo per interessi privati di poteri e soldi pubblici.
Auguri per il suo futuro incarico di Direttore del prestigioso quotidiano napoletano.
Saluti.
Emilio
C’è un momento in cui la polemica tracima e diventa questione personale. In tal caso, sarebbe meglio che continui privatamente.
Un lettore del blog
Mancavano le circostanze che ritenevo ovvie. Evidentemente non lo erano. L’intervento sul Mattino non è a favore di Berlusconi, se è questo che intende col paragone con Mastella. L’obiezione: scrivi di questo, perché allora non anche di quello, essendo sempre elevabile, mi pare abbastanza puerile. Anzi: senza abbastanza. (non ho scritto nemmeno di D’Alema-Consorte, mi pare, o forse sì? Boh). Non so come lei faccia a sapere che le attrici si siano rivolte, e in che termini: evidentemente, lei è in possesso di altre intercettazioni. In ogni caso, interviene sul fatto e non sul principio. Che le telefonate siano un tentativo di corruzione è dato da lei abbondantemente per dimostrato, il che mi preoccupa.
Vedo bene che per lei più si divulgano le intercettazioni, e meglio è, per l’interesse pubblico. “Quello che conta” a lei non importa se e come sia dimostrato, e se prima di ogni dimostrazione e di ogni giudizio penale si elevi il giudizio morale sulla base di conversazioni private. Lei è un sincero democratico, mentre io difendo gli arcana imperii, evidentemente. Libero, naturalmente, di pensarlo.
Infine, ringrazio per gli auguri. Questione di un giorno o due, credo.
Rimane il fatto che in Italia si intercetta pochissimo, che i processi in cui sono coinvolte intercettazioni sono pochi (non per questo non importanti) e che a volte gli intercettati vengono avvertiti di essere sotto controllo. E se gli intercettatori non sanno che gli intercettati sanno di essere controllati, il valore della intercettazione in questione diventa un enigma…
No, gentile Massimo Adinolfi, le circostanze aggiunte non erano assolutamente ovvie: basta confrontare i passi in questione dei rispettivi suoi commenti. Devo riproporre, poi, l’obiezione: ed infatti, la sua – chiamiamola – soglia di sensibilità civica di fronte a vicende in cui sono pure sono messi in causa gli stessi principi, in un caso (Mastella) non è stata superata, tant’è che lei non se n’è interessato, nell’altro (Saccà-Berlusconi) sì. Comunque, se concorda sull’analogia dei due casi, allora le attrici segnalate dal premier si trovano nell’identica posizione dei sodali di Mastella, “terminali” presso le ASL. Naturalmente, si può sempre insorgere retroattivamente contro la pubblicazione dei nomi di questi “terzi” sodali, sui quali venne “get-ta-to fan-go” (così, mi pare, compitano ogni volta i “liberalgarantisti”). Che ci fossero richieste d’interessamenti per la carriera delle attrici, si desume proprio dal contenuto dalle conversazioni: una semplice lettura delle stesse lo attesterebbe. Oppure, in nome di un’ipocrisia che non ha nemmeno più l’eleganza di ricordarsi di essere tale, vogliamo mettere il capo sotto la sabbia? Io, con riferimento al tentativo di corruzione (così come all’abuso d’ufficio), ho sempre parlato di ipotesi: i miei commenti sono lì, basta leggerli. Più in generale, al di là delle facili parodie, preciso che non la ritengo affatto la vestale del ceto politico (accidenti, non si riterrà mica così decisivo nella società italiana!); così come il punto non è se lei voglia o meno proteggere il premier. L’antiberlusconismo, e la connessa divisione del campo in base a questo, le trovo pratiche esauste; mi paiono specchietti per le allodole installati e manovrati dagli opportunisti della sinistra per abbagliare ancora una volta i loro elettori (in maggioranza, credo, generosi e in buona fede, ma oramai completamente rimbambiti). Molto più semplicemente, ho trovato il suo articolo interessante perché vi ho ritrovato davvero tutti i tic e gli stilemi culturali così come le concrezioni di quell’ideologia riformistico-liberale oggi tanto in voga, che fa della salvaguardia dell’attuale ceto politico il cemento dell’alleanza – di là delle schermaglie della cronaca – fra ampi settori dell’”arco partitico costituzionale”, e segnatamente di quelle componenti del PDL sopratutto ex socialiste ed ex DC, passando naturalmente per la sinistra, per giungere, infine, alla sinistra radicale.
Emilio
Sui punti da lei posti in discussione non leggo cose su cui debba ribattere, avendo già detto la mia. Leggo però valutazioni, che lei esprime essendo così bravo da trovare tra le righe del mio articolo tic e stilemi, mentre non riusciva a vedervi le “circostanze aggiunte” (che essendo state aggiunte per esplicitare l’ovvio – mancavano, ho scritto -, è ben evidente che non risultano al raffronto dei passi: urka!). Però le valutazioni sono interessanti anche più del mio articolo. Ed è vero, come dicono i filosofi, che si può e si deve comprendere un autore meglio di se stesso: io faccio lo stesso con lei, sa? (Però sempre al telefono)
Urrà! Nuove intercettazioni sul Corriere! Nuove puntate! Se le centellinano così, l’estate non sarà noiosa.
Il confronto tra i due passi serve per constatare non le aggiunte ma il fatto che le aggiunte non fossero contenute implicitamente nel primo passo e che quindi non fossero affatte ovvie: riesce ad intendere la differenza? Non credo occorra essere dei filologi, per capirla.
Saluti
Emilio
Incredibile perspicacia. L’avesse usata per trovarvi l’ovvio, avremmo fatto prima
Queslla stessa perspicacia che a lei, ahinoi (per la fruttuosità della discussione: è meglio precisare), prima è mancata. Comunque, bravo, sta recuperando.
Emilio
prestigioso quotidiano napoletano?
Grazie, Emilio. Troppo buono. (Adlimina, prestigioso era ironico: nessuno ne ha dubitato)