Nel discorso che Giorgio Napolitano ha pronunciato ieri, in occasione del 65esimo anniversario della difesa di Roma e dell’armistizio, spiccava una formula, la stessa che il Presidente aveva impiegato già in gennaio, parlando dinanzi al Parlamento riunito in seduta comune per il sessantesimo della Costituzione italiana: quella di patriottismo costituzionale. «Non c’è terreno comune migliore – aveva detto allora – di quello di un autentico, profondo, operante patriottismo costituzionale. È, questa, la nuova, moderna forma di patriottismo nella quale far vivere il patto che ci lega: il nostro patto di unità nazionale nella libertà e nella democrazia». I toni e gli accenti di ieri sono dunque gli stessi che il Presidente impiega da tempo: dall’inizio del suo settennato. In perfetta continuità, peraltro, con quello del suo predecessore Ciampi, nei cui discorsi il tema della patria e della nazione si è saldato per la prima volta con grande vigore a quello della Costituzione e della Repubblica.
Non vi poteva dunque essere nel linguaggio presidenziale alcuno spirito polemico, nessuna replica diretta o risentita alle parole con cui il ministro La Russa aveva ricordato gli «altri», quelli che combatterono nelle fila della Repubblica di Salò, «credendo nella difesa della patria». Nessuna polemica, ma un diverso significato del concetto di patria: quello sì. Quello è bene non dimenticarlo. Basta, d’altronde, tornare ancora a quel terribile 1943, quando, in uno dei momenti più tristi della storia nazionale, il filosofo Benedetto Croce veniva spiegando a un’Italia in ginocchio la differenza fra il sano patriottismo e il torbido nazionalismo, e scriveva: è la stessa differenza che corre fra «la gentilezza dell’amore umano per un’umana creatura» e «la bestiale libidine o la morbosa lussuria o l’egoistico capriccio». Parole desuete, forse ingenue, ma chiare: non si tratta della stessa cosa. Proprio no. E non può bastare al ministro infilare nel proprio discorso un relativistico avverbio, «soggettivamente», per scusare gli «altri militari in divisa» e tributare stesso ed eguale rispetto ai due eserciti. Come si dice? Di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno, e se il giudizio storico e politico si dovesse regolare solo su di esse, allora il problema non sarebbe più quello, oggi tanto di moda, di riscrivere i manuali di storia, per la buona ragione che semplicemente non si potrebbe più scrivere una storia che è una (e in ogni caso: riscrivere la storia non è detto serva a ben governare). Forse è colpa dell’onnipresente linguaggio dei valori, per il quale pare debba passare oggi qualunque considerazione di ciò che è bene e di ciò che è giusto: poiché l’amor di patria è un valore, conta l’essere stati «soggettivamente» animati da quel valore, non che per esso si sia indossata la camicia nera di Salò o si sia stati al contrario deportati in Germania per avere rifiutato di indossarla, come ha ricordato Napolitano. Se l’esempio non basta si considerino queste parole: «Da lungo tempo ho adottato l’imperativo di Kant come norma. Ho vissuto la mia vita in conformità con questo imperativo». Sono belle parole, e l’imperativo di Kant è un bell’imperativo (un gran bel valore, direbbe qualcuno): è la versione laicizzata della massima evangelica che chiede di non fare ad altri quel che non si vuole che sia fatto a noi. Quelle parole sono però del criminale nazista Adolf Eichmann. Il quale poteva pensare «soggettivamente» quel che voleva, e ritenere di agire in conformità a qualunque valore gli paresse: non resta meno un criminale nazista. E dunque: il ministro pensi pure che «dal loro punto di vista» anche i repubblichini difesero l’onore nazionale; di fatto essi, senza essere affatto degli Eichmann, fraintesero tuttavia gravemente l’onore nazionale, e forse anche il loro stesso onore, a differenza di quelli che finirono in Germania. Non è un fatto trascurabile. Né lo è il fatto che il loro punto di vista non è il punto di vista da cui è nata la Repubblica italiana. Mettere in valore il punto di vista costituzionale e repubblicano nelle commemorazioni della storia patria significa appunto depurare il concetto di patria da quel che ha di torbido: di morboso o di egoistico, per dirla con Croce. Il patriottismo costituzionale, così come in Europa è stato pensato dopo Auschwitz, serve a questo. A filtrare l’amor di patria attraverso i principi della libertà e della democrazia affermati nella Costituzione. La critica che di solito viene mossa a questa concezione è che l’amore per principi astratti e universali fissati in un testo giuridico scalda i cuori molto meno dell’amore per il proprio Paese, le proprie tradizioni linguistiche e culturali, i propri tratti nazionali. È una critica sensata e fondata: lo dimostra la difficoltà che incontrano i tentativi di incoraggiare un patriottismo costituzionale di stampo europeo. Le parole del ministro La Russa, tuttavia, stanno lì a ricordarci, per un non troppo singolare contrappasso, che la Costituzione non è solo un astratto catalogo di valori o un vuoto pezzo di carta, ma un pezzo carico di storia. Storia patria.