Il cinico è uno che la sa lunga, uno a cui non la dai a bere. Puoi raccontargli con trasporto della volta in cui ti innamorasti: non una briciola della tua passione lo contagerà. Puoi provare a trasmettergli il tuo entusiasmo per un libro o una canzone: non riuscirai a toccarlo. Lui non crede alla bontà del cuore umano o alla spontaneità dei sentimenti. Ostenta sfiducia, mostra diffidenza: nulla per lui vale veramente la pena. Il cinico è spesso un disilluso, ma non potendo ammetterlo dirà di essere uno che non si è mai illuso. Perciò può beffarsi delle opinioni altrui: sempre troppo ingenue, ai suoi occhi, troppo banali e scontate. Lui è intelligente abbastanza per avere un dubbio in più su ogni cosa, e privare di ogni valore la propria e l’altrui prospettiva.
Anche lui, naturalmente, ha i suoi problemi: non credendo più a nulla, ha perduto ogni motivazione all’azione. Gli rimane solo di mettere la sua spregiudicata abilità al servizio del potere, non essendovi più alcuna verità da servire.
Ora, se il cinico fosse soltanto un tipo psicologico, non ci sarebbe da preoccuparsi che per lui. Ma a quanto pare la ‘distanza cinica’ è invece una posizione diffusa nelle società moderne avanzate: gli si presta il nome di nichilismo e lo si promuove a tratto caratteristico dello spirito europeo da un buon secolo a questa parte. Qualcosa che gli europei si vedono rimproverati perlomeno ogni quattro anni, quando riparte la corsa alla Casa Bianca, e tra i candidati compare sempre un uomo che di cinico non ha proprio nulla: non un’alzata di spalle, non un sorriso maligno, non una smorfia beffarda. Quest’anno sia i democratici che i repubblicani possono tra l’altro vantare dosi supplementari del mix di ingenuità e idealismo che gli americani mostrano da sempre di preferire, e a cospetto della quale gli europei fanno sempre la figura di quelli troppo disincantati, troppo désabusés per credere veramente di poter disegnare il futuro e tracciare una politica. Barack Obama mette nei suoi discorsi un caldo spirito profetico, mentre Mc Cain si lascia volentieri cucire addosso gli abiti del "maverick" della politica americana, di quello fuori dal branco che va avanti di testa sua e non si arrende mai. Nel dibattito dell’altra sera, l’afflato religioso dell’uno e la proverbiale determinazione dell’altro si sono in verità stemperati nei toni trattenuti di un confronto un po’ triste, a dimostrazione del fatto che anche il candidato più fiducioso e visionario ha comunque bisogno che nel mondo reale le cose vadano nel verso giusto, per poterle prendere da quel verso, e raccontare la sua buona novella.
Di un racconto, però, si tratta. Occorre naturalmente del cinismo per dirlo, ma per aderire completamente ad essi ci vuole tutta l’ingenua predisposizione di un Forrest Gump, il personaggio di quel film di Zemeckis in cui uno straordinario Tom Hanks non manca di attraversare nella più totale inconsapevolezza tutti i momenti decisivi della storia del mondo. E che con altrettanta incoscienza riesce a divenire persino una guida spirituale, un guru o un santone, quando per un buon numero di anni, mesi e giorni attraversa di corsa lo sterminato paese americano, senza nessuna apparente ragione.
Beata ingenuità, si direbbe, che fa andare lontano. Posto però che sia davvero beata l’idiozia di Forrest Gump. E che sia una fortuna non possedere neanche un granello di furbizia, e un po’ di sana diffidenza. Forrest è davvero – come è stato scritto – il soggetto puro dell’ideologia, quello che la fa funzionare senza intralci. E lo è proprio in virtù dell’assoluta mancanza di motivazioni ideologiche: quel che ci vuole nell’epoca della presunta fine delle ideologie. L’assenza di motivazione funziona proprio come la motivazione cieca e fideistica che gli europei non hanno più. Che si vada avanti senza un motivo, come Forrest, o che si vada avanti perché dopo tutto ci sarà un motivo, come i militanti di una volta, è esattamente la stessa cosa, la stessa adesione acritica da cui il cinismo, per buona ventura, mette ormai al riparo gli europei.
Uno che corre, d’altro canto, c’è anche dalle nostre parti. Uno che non sta un attimo fermo, mette le cose in subbuglio e se la dà a gambe: è Pinocchio. Ecco: tra la politica americana e quella italiana passa tutta la differenza che c’è fra la corsa ingenua e ordinata di Forrest Gump e quella scaltra e disordinata di Pinocchio. Cinica, anche: nel senso che però questa parola ebbe per il primo cinico, quel Diogene di Sinope, cane senza padroni, che fu tanto libero nei confronti dei costumi del suo tempo quanto lo è Pinocchio nel libro di Collodi. Il quale peraltro aveva un serio motivo per non lasciargli troppo corda, e farlo scappare da tutte le parti, tra mille monellerie, senza mai condurlo verso una meta definitiva: la sete e la fame, il bisogno di qualche denaro, il desiderio di prendersi quelle piccole libertà che la miseria aveva negato a Geppetto. Dopo tutto, Collodi era socialista, e Zemeckis, a quel che pare, no.