Archivi del mese: novembre 2008

Protagonisti

L’altro giorno, il 27, è stato san Massimo. Nessuno di voi che mi abbia fatto gli auguri. Né posso biasimarvi, dal momento che io stesso me ne sono dimenticato. Ma poiché mia suocera oggi s’è giustificata, dimostrandomi che il santo non c’è sul calendario, ho consultato il relativo motore di ricerca. Per scoprire che san Massimo di Riez Vescovo esiste eccome, e si festeggia appunto il ventisette novembre. Ma si festeggiano anche:

San Massimo di Torino Vescovo MR 25 giugno
San Massimo Vescovo MR 9 aprile
San Massimo Martire MR 14 maggio
San Massimo Martire MR 19 novembre
San Massimo d’Aveia Martire 10 giugno
San Massimo di Apamea Martire MR 30 ottobre
San Massimo di Chinon Abate MR 20 agosto
San Massimo di Gerusalemme Vescovo MR 5 maggio
San Massimo di Napoli Vescovo e martire MR 11 giugno
San Massimo di Nola Vescovo MR 7 febbraio
San Massimo di Padova Vescovo MR 2 agosto
San Massimo di Pavia Vescovo MR 8 gennaio
San Massimo di Verona Vescovo 29 maggio
San Massimo il Confessore Teologo bizantino MR 13 agosto
San Massimo Sandovych Sacerdote e martire Chiese Orientali
Santi Massimo, Dada e Quintiliano Martiri MR 28 aprile
 
Ora, non pretendo che l’anno prossimo, cominciando dall’8 gennaio, vi mettiate tutti in regola, però mi domando se il nuovo partito di Magdi Cristiamo Allam, Protagonisti Per l’Europa Cristiana, che per ora ha un programma solo transitorio, non posso ultimente suggerire di metter mano al calendario. Io non penso minimamente che la moltiplicazione dei San Massimi sia il segno di una certa deriva etica, relativistica e indifferentista, però indicazioni più chiare, scelte più nette gioverebbero sicuramente. Non sarà il processo di riforma etica delle istituzioni che costituisce la missione del nuovo partito, ma sarebbe comunque un passo avanti.
(La cosa che più mi ha colpito di tutto il sito: "Sono sempre più preoccupato per la grave deriva religiosa ed etica presente in seno al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso presieduto dal cardinale Jean-Louis Tauran, tendente a legittimare sempre più l’islam come religione e ad accreditare Maometto come profeta".

Buona domenica

"Decisivo oggi è un sì o un no sulla questione: l’appartenenza alla Chiesa cattolica è o no definita dall’accettare la soggezione della propria coscienza in materia morale all’autorità magisteriale, in tutti i casi in cui la propria coscienza (morale) si trovi in conflitto con quell’autorità sulla questione di quale sia effettivamente il bene e il dovere? A me pareva che quella grande innovazione del Concilio comportasse la risposta: no. Non più" (Roberta De Monticelli).
Non c’è domenica, non c’è giorno del Signore, in materia morale.

Per completare

Il Mattino ha un nuovo sito. Sul quotidiano di oggi, potete leggere l’articolo che metto qui, Chi grida al regime che non c’è. (Ma il titolo del post è perché non venga frainteso l’articolo, di cui il precedente post costituisce, ideologicamente parlando, un utile complemento):

C’è qualcosa di paradossale nel dibattito che periodicamente ricompare sui giornali, a proposito della natura antidemocratica, oppure autoritaria, con tratti sudamericani oppure putiniani, forse un po’ totalitaria e passabilmente fascista del regime che si sarebbe instaurato in Italia quest’anno, precisamente dal giorno dell’insediamento del governo Berlusconi, ed è il fatto stesso che se ne discuta. Se infatti anche una sola delle qualificazioni sopra menzionate fosse appropriata, il minimo che ci si dovrebbe aspettare è la pura e semplice cancellazione di un dibattito del genere: non vi sono infatti molti esempi storici di regimi non democratici di cui si possa discutere pubblicamente il carattere non democratico.
Poiché però paradossi e altri formalismi lasciano sempre l’impressione che il punto non sia davvero colto, proviamo a sostenere (per amore di discussione, per l’appunto) una delle due seguenti tesi: la prima, che il regime sarebbe in via di formazione, e che proprio perciò si può ancora ascoltare qualche voce critica, la quale deve tenere ben desta la coscienza democratica del paese, prima che si chiudano tutti gli spazi; la seconda, che i nuovi fascismi (autoritarismi, totalitarismi) possono ben convivere con espressioni pubbliche di dissenso, avendole però potute svuotare di effettiva incidenza e di reale capacità di controllo sull’esercizio effettivo del potere reale.
Ora, nessuna delle due tesi sembra fare al caso nostro (cioè dell’Italia). La prima contiene una drammatizzazione così intensa dell’attuale fase politica, da riuscire incompatibile con la quotidiana presenza nei talk show televisivi di coloro i quali convintamente la sostengono. In termini empirici, poi, bisognerebbe dimostrare che negli ultimi mesi sono stati chiusi giornali, tacitati oppositori scomodi, e promulgate leggi liberticide, o che s’è fatto comunque qualcosa di analogo. Il che, per fortuna, non è finora accaduto né pare che stia accadendo. Tutto ciò che di deprecabile può essere accaduto è stato deprecato da chi lo ha giudicato tale, né più né meno di quanto è accaduto in passato, a parti invertite (vale a dire: quando era Berlusconi a gridare ossessivamente al regime, ma appunto: anche lui a gridarlo per ogni dove).
La seconda tesi è intellettualmente più raffinata, ma probabilmente non meno problematica. Si dice: le società contemporanee diluiscono nel generale, indistinto ma enorme volume dell’informazione qualunque fermento critico, qualunque nota dissonante, qualunque voce contrastante, condannandola così di fatto all’irrilevanza. Non c’è bisogno di censurare: è sufficiente che il dissenso sia annacquato in un mare di consenso, perché non si riesca a disturbare il manovratore. E il governo ha oggi in mano tutti gli strumenti che gli occorrono per creare quel largo consenso passivo di cui ha bisogno, per consentire magari a profeti e grilli parlanti di levare inascoltati la loro voce, Ora però, a parte il fatto che di solito questa tesi è sposata proprio da chi si autoelegge, per l’occasione, profeta o grillo parlante, e a parte pure che se si nutre questa opinione del consenso bisognerà pure che si rinunci una buona volta alla democrazia, che a quel consenso deve, dopo tutto, la propria legittimità – a parte tutto ciò, questa tesi può cogliere un fenomeno reale solo a condizione di riferirsi a trasformazioni profonde della vita politica, che non si misurano in termini di mesi trascorsi dalle ultime elezioni, ma di anni o di decenni. Il che scagiona, se non altro, l’ultimo governo Berlusconi, il lodo Alfano e il Presidente Villari.
Di tutta questa faccenda non metterebbe peraltro conto di occuparsi, se essa dimostrasse solo un malanno passeggero dell’opposizione, in cerca di ragioni che ne rendano più credibile l’azione, e non invece una malattia più seria e più profonda. Malattia della quale la diagnosi in fondo è già stata formulata, trovandosi per esempio nella critica che il filosofo americano Richard Rorty, recentemente scomparso, rivolgeva a buona parte della sinistra europea. Ai suoi occhi, essa si era dimostrata sin troppo brava nella capacità di smascherare le ipoteche ideologiche che gravano sul vocabolario pubblico, fin troppo smaliziata nello sventare addirittura le trappole metafisiche in cui cade spesso il buon senso comune, fin troppo munita criticamente contro il ‘discorso del potere’, dal pensare solo al discorso, appunto, finendo così col trascurare le più prosaiche cause reali e materiali delle disuguaglianze economiche e sociali.
In maniera del tutto simile (e fatte le debite proporzioni), l’opposizione sembra oggi assai più determinata nel denunciare la fisionomia che starebbe assumendo la comunicazione pubblica, il mondo dei media e, alla fin fine, la Commissione di Vigilanza, che non a intercettare malcontenti e disagi veri, per rappresentare i quali rischia di presentarsi in ordine sparso molto più di quanto non accada sulle vicende della RAI.
Con l’aggravante che su queste ultime vicende è molto più difficile cogliere quel tratto epocale che riforniva di identità e di senso l’azione politica nei decenni scorsi, mentre tutto sembra lasciar intendere che è invece sul piano dei compiti che lo Stato deve nuovamente assumere nelle materie economiche, che si gioca oggi la credibilità della politica. E, per la sua parte, del nuovo, ancora nascente partito democratico.

La guerra dei trent'anni

La legge del 13 ottobre 1975, nel dare attuazione alla convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razionale, firmata nove anni prima a New York, punisce chiunque diffonda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, ma anche chiunque inciti in qualsiasi modo alla discriminazione. E naturalmente vieta associazioni o organizzazioni che abbiano il medesimo scopo.
Fin qui, non so se questo significhi che con tale legge si sia introdotto il "reato d’odio".

La legge Mancino del ’93 interviene in materia di  discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (anche nazionali, si noti) e condanna chiunque "in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli delle organizzazioni, associazioni o gruppi di cui all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975".
Qui posso andare più sicuro: se la legge Mancino (in mezzo all’inasprimento di altre misure) introduce il "reato d’odio", è a causa del riferimento alla legge del 1975, di cui si limita a specificare una precisa fattispecie (cioè l’ostentazione: la legge aveva di mira, se non ricordo male, gli ultrà del calcio).

Arriviamo così alla risposta che si legge oggi su Il Foglio. L’on Concia scrive, in replica ad un articolo di Agnoli, e spiega che in questione è l’estensione delle sanzioni della legge Mancino ai reati d’odio "per motivi di orientamento sessuale". Si può essere d’accordo o no, ma se si replica scrivendo che "il reato d’odio ha sapore orwelliano" bisogna perlomeno esibire, tra le proprie credenziali, una battaglia trentennale contro la legge del 13 ottobre 1975, la madre di tutti i reati d’odio di cui si parla qui.
E forse qualcosa del genere Il Foglio deve averla in animo per i prossimi trent’anni, visto che "combatte limpidamente contro le culture gay o di genere e altri secolarismi impazziti". Cosa ci sia di impazzito nella cultura gay,  peraltro, non mi è del tutto chiaro: spero che non si consideri l’estensione della legge Mancino un impazzimento della cultura gay, o peggio che il solo fatto che vi sia una cultura gay sia di per sé un impazzimento. Ma anche se così fosse, voglio perlomeno sperare che non sia la legge del ’75 (e la Convenzione del ’66) il primo dei secolaristici impazzimenti. Chi glielo dice, sennò, a Obama?

Cenerentole di tutto il mondo, unitevi!

(E soprattutto andate a casa, che a mezzanotte finisce l’incantesimo e compare la terza puntata di "Europa, Occidente", in replica su Red TV)

La proposizione perfetta/10

"Non tutto diventa politica, sebbene la politica sia tutto"

(Questa proposizione perfetta appartiene alla tradizione orale del pensiero. Le altre proposizioni perfette possono essere ritrovate a partire da qui)

Poèsia

Solo la cultura
ti eleva a dignità umana.
Solo la cultura
t’insegna a vivere tra uomini.
Solo la cultura
ti aiuta a combattere
questi nostri tempi inquinati
che ci negano la gioia
che pur potremmo godere
se ad ogni esistenza
fosse lasciato di progettare
il proprio futuro.
Solo la cultura:
è fune solida,
per arrampicarci al cielo
almeno quello della speranza
per costruire un uomo umano
(Non so se esista qualcuno che abbia mai scritto una roba simile, chiamandola poesia. Se anche esistesse, non mi augurerei mai che fosse un dirigente scolastico. E se anche fosse un dirigente scolastico, non vorrei mai che un tal uomo avesse del proprio talento poetico una considerazione tale, da dettare i suoi versi a una classe di alunni di quinta elementare. E ove mai lo facesse, l’ultima cosa che vorrei è che li abbinasse a una pagina di Platone. E se proprio dovesse concedersi l’ardito abbinamento dei propri versi con le parole di Platone, e per esempio con il libro VIII della Repubblica, e con quel passo in cui Platone ha di mira l’eccessiva libertà di quello Stato, in cui il padre teme i figli e l’insegnante gli allievi (però proponendolo senza tirare in ballo gli uomini e le donne comprati che non sono meno liberi dei loro compratori, per non dovere dare troppe spiegazioni), beh: spererei che almeno, in un soprassalto di dignità, non pretendesse di commentare e spiegare: i propri versi e la Repubblica di Platone, magari in mezzo a maestre troppo zelanti pronte a chiedere, salutato il Direttore, che il commento sia almeno di otto pagine.
Ma in realtà non posso escludere che un uomo umano del genere qualcuno l’abbia costruito davvero, gratificandolo del titolo di dirigente scolastico, per mandarlo veramente in giro per le classi, con i suoi versi immortali).

Segreti

Io: – Beh, com’è andata a scuola? -.
Enrico: – Non mi ricordo -:
Io: – Come non ti ricordi? Non ti ricordi niente? -.
Enrico: – No, niente –
Io: – Ho capito. Peccato. Io volevo dirti un segreto -.
Enrico: – Quale segreto? -.
Io: – Eh. Un segreto. Tu ce l’hai un segreto? -.
Enrico: – Sì -.
Io: – Ma quello che hai fatto a scuola è un segreto? –
Enrico: – Sì -.
Io: – Allora facciamo che tu racconti il tuo segreto a me e io il mio a te? -.
Enrico (dopo averci pensato un bel po’): – Va bene -.
Io: – Allora: cosa avete fatto a scuola? -.
Enrico: – Io, Umberto e Esther abbiamo fatto una guerra contro tutti gli altri -.
Io: – Ah! -.
Enrico: – E qual è il tuo segreto, papà? -.
Io: – Il mio segreto è che non ho segreti -.
Enrico: – No. Adesso me lo devi dire un segreto -.
Io: – Te l’ho detto. Il mio segreto è proprio questo, che non ho nessun segreto. Nessuno lo sa. Adesso lo sai solo tu -.
Enrico: – Ma allora ce l’hai un segreto! -.
Io: – Già -.
Enrico: – Però non vale, papà! Mi devi dire un segreto vero! -.
Io: – Ma è verissimo che non ho segreti. E solo tu lo sai! -:
Enrico: – Papà, ma mi fai arrabbiare sempre! Io te l’ho detto -.
Io: – Anch’io te l’ho detto, in segreto -.
Enrico: – Ma io non ho capito se ce l’hai o non ce l’hai, un segreto! -.
Io: – Non ce l’ho, ma nessuno lo sa. Te l’ho detto: lo sai solo tu! -:
Enrico: – Uffà, papà! –

 

Con questa mia a dirvi

Posso solo dirvi che la puntata di oggi di Europa, Occidente, con Remo Bodei, è bellissima. Alle 17.09 su redtv

Gruppi normali e gruppi non normali

Mi rendo conto che mentre il blog langue già la prima mossa potrà sembrarvi azzardata, ma insomma: da qualche giorno ho aperto il mio bravo account su facebook. Quello che ho fatto oggi, però, va al di là di ogni buona creanza: ho creato il gruppo di quelli che non aderiscono a nessun gruppo, mettendovi ipso facto nell’impossibilità di iscrivervi. Son cose.

All'erta! All'erta!

Alle 17.10, su Red Tv, va in onda la seconda puntata di "Europa, Occidente". L’ospite di questa puntata è mons. Piero Coda, presidente dell’Associazione Teologica Italiana.

(per l’etimologia, vedi qui)

Caso Eluana, l'incertezza del fine vita

A «4253 Km da Istambul», cioè nel piano della campagna romana attraversata da uno stradone deserto, Ninetto (l’innocente, il furbetto) domanda alla ricca maschera di cera di Totò: «A’ papà, io ce penso sempre, alla morte. Perché dico: come fa uno a morì? Piano piano, respira e fa: ‘Ah’. E poi com’è che nun jela fa più? Tutt’un botto, nun po’ fa’ più: ‘Ah’? Ma lui se n’accorge che nun po’ fa’ più: ‘ah’? Come fa a passà da quann’è vivo a quanno è morto?".

Così comincia l’articolo di oggi per Il Mattino. Online dopo le 14 (quando dubito di poterlo postare qui)

Sapere aude

Io non c’entro nulla, ma un minuto fa, su Red TV, qualcuno ha detto che "l’ontologia ricapitola la filologia".

(Chi ha osato dirlo, a Spazi bianchi è Gloria Origgi, La figlia della gallina nera, venerdì scorso ospite delle Invasioni barbariche).

(E’ da dire che però nel finale di trasmissione lei brucerebbe tutto Baudrillard, tutto Virilio e tutti quelli che pensano che la filosofia non sia ricerca della verità ma dire quello che si pensa. Il più trombone di tutti era Heidegger. Essere e Tempo, uno dei libri più brutti della storia della filosofia. Heidegger era nazista e ha rubato la cattedra di Husserl e l’ha sbattuto via, e ha piantato la Arendt che era ebrea ma come filosofa è molto meglio di lui)

Un labirinto senza pareti

"…Nella sua riflessione, dopo avere detto che non è facile stabilire quando la vita umana, in quanto umana, nasce e finisce, il cardinal Martini ragiona su ciò che significa vita sulla base degli usi della parola, sia genericamente linguistici che propriamente scritturistici".

Il titolo, su un motivo di Gino Paoli, è opera del Direttore (col che non sto prendendo le distanze: ho aderito anzi entusiasticamente). Il resto, più che opera mia, è opera di Giuliano Ferrara. Chi vuol dunque sapere cosa di Martini pensi Ferrara, e cosa io, trova tutto su Left Wing.

Come non detto

Aggiornamento. La prima puntata di Europa, Occidente, andrà in onda, solo per questa settimana, sia lunedì che martedì, sempre alle 17.09. Dalla prossima settimana, invece, andrà in onda stabilmente di martedì, sempre alle 17.09.