Archivi del mese: gennaio 2009

Coming out

Sul Riformista di oggi, Gianni Cuperlo scrive una magnifica replica a Claudio Fava, e spiega le ragioni del suo voto in Parlamento sulla vicenda Cosentino. Ma la ragione per cui ve la linko sta nelle ultime, straordinarie righe della lettera, nella rivendicazione di quello che da quindici anni a questa parte, dalla discesa in campo di Berlusconi, era ed è diventato quasi un insulto. Insomma: una specie di coming out, di questi tempi. Bravo.

Hamas deve essere in qualche modo portata dentro il processo di pace

Ancora una volta D’Alema sembra insistere con questa idea che bisogna parlare con tutti, anche con Hamas. Non so se attribuire questa dichiarazione all’antisemitismo di parte della sinistra italiana, o a Tony Blair.

A Tony Blair

Segni dei tempi

"Probabilmente, è questo uno dei segni che fanno capire con quanta convinzione la Chiesa si schieri oggi sulla difensiva, quanto profondamente si interpreti come una fortezza assediata, un´identità coinvolta in un conflitto di civiltà,che si gioca tanto all´interno dell´Occidente quanto all´esterno. Certo, questo clima intellettuale e argomentativo, che porta la Chiesa a conciliarsi piuttosto con i tradizionalisti che col mondo di oggi, costringe a ritornare ai "fondamentali" della Modernità, alla sua lotta contro il principio di autorità: e a ricordare che le affermazioni dogmatiche, comunque orientate, portano con sé la potenziale negazione della libertà e della verità che gli uomini faticosamente costruiscono nella loro vicenda storica".
(Carlo Galli, Repubblica di oggi)

Comunicazione di servizio non istituzionale

Le lezioni di venerdì prossimo di Ermeneutica filosofica e Filosofia del Linguaggio non si terranno.

M'ingerisco

M’ingerisco solo un momento negli affari della Chiesa, a proposito della revoca della scomunica dei quattro vescovi lefebvriani. Tutti a prendersela col povero Williamson, che in materie che non impegnano la sua autorità di vescovo ha idee storicamente un po’ ardite e alquanto negazioniste, o col Papa, che giustamente non chiede conto di queste arditezze perché non c’entrano nulla con la comunione della Chiesa appena ritrovata.
Io no. Io ho letto la remissione della scomunica: è tutto in ordine. Fellay riconosce il primato di Pietro, e il successore di Pietro revoca conseguentemente la scomunica. Molto bene: è la storia della pecorella smarrita, suppongo.

Ora però mi piacerebbe solo sapere, a margine, che giudizio dia l’attuale Pontefice di uno dei momenti più significativi (più ‘spirituali’) del papato di Wojtyla. Ecco quello che ne pensava (e, forse, ne pensi ancora) mons. Fellay, il capo dei lefebvriani (o, più rispettosamente, il Superiore Generale della Fraternita’ Sacerdotale San Pio X):

"Il Papa Giovanni Paolo II convoca le grandi religioni del mondo, e in particolare i musulmani, ad una grande riunione di preghiera ad Assisi, nello spirito della prima riunione che si tenne nel 1986 per la pace. 
Questo avvenimento provoca la nostra profonda indignazione e la nostra riprovazione.
Perché offende Dio e il suo primo comandamento.
Perché nega l’unicità della Chiesa e della sua missione salvifica.
Perché conduce i fedeli direttamente all’errore dell’indifferentismo.
Perché inganna gli sventurati infedeli e i seguaci delle altre religioni".
 
Fellay non ha dubbi: "le religioni che rifiutano la Sua divinità esplicitamente, come il Giudaismo e l’Islam, sono destinate al fallimento nelle loro preghiere, a causa di un errore cosí fondamentale". Perciò conclude: " Una cosa è certa: non v’è niente di meglio per provocare la collera di Dio".
Non mi è chiaro ora se l’errore fondamentale di Wojtyla non c’è rischio che la Chiesa commetta ancora, con Benedetto XVI, o se invece Fellay non pensi più che di errore fondamentale si trattava. In ogni caso, ritrovata la comunione, Dio non è più in collera con nessuno dei due: né col Papa né con Fellay.
(Oppure lo è: con tutti e due?)

Il rinnovamento della politica

Manifesto_A4 4

Sinistra e destra: lezioni

Enrico: – Mamma, ma quando sarò grande potrò guidare la moto -.
Mamma: – Sì, amore. Però mamma e papà devono essere sicuri che tu sia attento e prudente -.
Enrico: – Mamma, ma che significa prudente? -.
Mamma: – Che fai attenzione a ogni cosa, che vai piano, che per esempio quando attraversi guardi prima a destra e a sinistra…-.
Enrico: – No! -.
Mamma: – ?? -.
Enrico: – Si guarda prima a sinistra e poi a destra. Ce lo hanno detto i vigili -.

Qudabliu

C’è una cosmicomica di Calvino che cito sempre, anche se ormai non me la ricordo più. Si chiama Un segno nello spazio, e c’è Qwfwq (Qudabliueffedabliuqu, più o meno) che ha il problema di lasciare, in un universo appena nato, un segno. Il primo.
L’ho citata anche ieri, durante la prima lezione di Filosofia del Linguaggio, introducendo qualche piccola variante. Il protagonista si chiamava cioè Qudabliubush, e siccome era texano, non capiva proprio come non si potesse affatto tracciare questo primo segno.

(Al pomeriggio, durante la prima lezione di Filosofia della Comunicazione, mi veniva voglia di citarla di nuovo. Ma ho fatto di meglio: ne ho inventata una di sana pianta. Però quest’altra non ve la racconto).

P.S. In rete trovo questo passo:
“ (…) io una volta passando feci un segno in un punto dello spazio, apposta per poterlo ritrovare duecento milioni d’anni dopo, quando saremmo ripassati di lì al prossimo giro. Un segno come? È difficile da dire perché se vi si dice segno voi pensate subito a un qualcosa che si distingue da un qualcosa, e lì non c’era niente che si distinguesse da niente; voi pensate subito a un segno marcato con qualche arnese oppure con le mani, che poi l’arnese o le mani si tolgono e il segno invece resta, ma a quel tempo arnesi non ce n’erano ancora, e nemmeno mani, o denti, o nasi, tutte cose che si ebbero poi in seguito, ma molto tempo dopo. La forma da dare al segno, voi dite non è un problema perché, qualsiasi forma abbia, un segno basta serva da segno, cioè sia diverso oppure uguale ad altri segni: anche qui voi fate presto a parlare, ma io a quell’epoca non avevo esempi a cui rifarmi per dire lo faccio uguale o lo faccio diverso, cose da copiare non ce n’erano, e neppure una linea, retta o curva che fosse, si sapeva cos’era, o un punto, o una sporgenza o rientranza. Avevo l’intenzione di fare un segno, questo sì, ossia avevo l’intenzione di considerare segno una qualsiasi cosa che mi venisse fatto di fare, quindi avendo io, in quel punto dello spazio e non in un altro, fatto qualcosa intendendo di fare un segno, risultò che ci avevo fatto un segno davvero”.

Marzullo, al confronto

Ma la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?, chiedeva quel tale. Se stasera seguite Liberi Nantes, su Red TV, scoprirete che nel corso del programma, intorno alla mezzanotte, come in un incubo sono stato sognato (e la domanda non è poi molto diversa).

Insediamento

E così, anche quest’anno, cominciano i corsi. Filosofia del linguaggio: la prima delle Ricerche logiche di Husserl e La voce e il fenomeno di J. Derrida. Ermeneutica filosofica: la Fenomenologia dello Spirito di Hegel (sezioni); Filosofia della comunicazione: Mente, segno e vita di F. Cimatti.

(Gli altri anni al vecchio blog è toccato qualcosa. Quest’anno ne dubito molto).

Tutti a guardare Obama, voialtri

E per colpa di Obama, la puntata di Europa, Occidente con Esposito non va in onda stasera, per non rischiare slittamenti di orario o addirittura tagli. Se ne parla martedì prossimo. Stasera va in replica la De Monticelli 

Puntatone

Stasera Roberto Esposito a Europa, Occidente. Alle 21.30, Red TV.

Santoro, Annunziata e non solo

La misura doveva essere davvero colma, se Lucia Annunziata ha preso cappello e se n’è andata. Di fronte al coro di reazioni e di critiche severe alla conduzione faziosamente anti-israeliana della trasmissione, Michele Santoro ha scelto la strada consueta: quella di ergersi a immacolato paladino della libertà di informazione e di gridare alla censura, senza mostrare la benché minima disponibilità a chiedersi cosa mai potesse avere spinto un ex presidente della RAI a lasciare polemicamente gli studi di Annozero, nella puntata dedicata alla guerra a Gaza.
E ha fatto molto male, perché qualche motivo di riflessione la protesta di Lucia Annunziata poteva offrirglielo. L’Annunziata non è infatti un colono israeliano ultraortodosso, ma è colei che nel 2006, dopo la vittoria elettorale di Hamas a Gaza, alla domanda di un lettore del suo giornale che le chiedeva se "c’è davvero da aver paura di Hamas" rispondeva monosillabicamente di no. Rispondeva che la politica è "l’arte di trattare con la realtà", che la realtà ha dimostrato che "ogni avventura militarista deve alla fine sfociare in una trattativa" e che "la guerra non è una soluzione". Non si nascondeva certo il carattere terroristico di Hamas, ma invitava i governi occidentali a trovare le giuste misure per non assecondare la radicalizzazione dell’islamismo, nell’area e in tutto il Medioriente, e favorire anzi il processo opposto. Come si vede, non sono le opinioni di un nemico giurato del popolo palestinese. Eppure giovedì si è alzata e se n’è andata.
L’anno dopo, nel 2007, al momento dell’apertura informale dei contatti fra gli Stati Uniti e i cosiddetti paesi canaglia, quei paesi cioè che Bush aveva collocato nel 2002 lungo il famoso asse del male, e cioè Siria e Iran (che ad Hamas fornisce le armi) Lucia Annunziata aveva criticato i complessi che affliggono il centrosinistra, preoccupato di mostrarsi più realista del re e di escludere quindi la sia pur minima iniziativa che potesse servire a frenare "l’ulteriore degenerazione" di Hamas. L’ulteriore degenerazione c’è poi stata, purtroppo: la tregua è stata rotta, e i missili lanciati. E Israele ha reagito usando la mano pesante. Ma come si può pensare che una persona che, come si vede, non ha risparmiato gli inviti al realismo durante questi anni, e che ha addirittura denunciato "la paralisi emotiva e intellettuale" la quale condanna a pagare, a sinistra, il prezzo dell’ostilità a Israele di settori dell’opinione pubblica più radicale con una lealtà passiva e acritica verso Israele ("anche quando non è necessaria") – come si può pensare che chi ha di queste idee, si alzi e se ne vada nel bel mezzo di una trasmissione se davvero la misura non è colma, e la rappresentazione delle ragioni del conflitto insopportabilmente sbilanciata?
Quella di Santoro non è l’unica faziosità in campo, perché è il campo stesso della politica italiana che appare fazioso. E forse, ancor più che fazioso, immiserito da polemiche a uso esclusivamente interno, buone per posizionarsi nel famigerato teatrino della politica ma non per misurarsi con le cause reali del conflitto. Accade così che le ragioni difese dall’Annunziata (e riprodotte sopra con le opportune virgolette) tornino per larghi tratti nelle parole usate nelle scorse settimane da Massimo D’Alema per divenire oggetto di una polemica di segno opposto, ma altrettanto faziosa e pretestuosa. Non diversamente dall’Annunziata, D’Alema si è chiesto cosa fare con Hamas, una volta che non è più un "piccolo gruppo cospiratorio" ma un’organizzazione politica di massa. Senza negare il carattere terroristico degli attacchi missilistici, D’Alema si è chiesto se la guerra sia la soluzione, e se non debba anche questa avventura militarista sfociare infine in una trattativa necessaria. Infine, come anche Lucia Annunziata ha scritto, D’Alema ha criticato la mano dura di Israele, lamentando (non solo per ragioni umanitarie) la sproporzione di un intervento che rischia di allontanare e non avvicinare la pace nella regione, radicalizzando l’opinione pubblica mediorientale e allungando la scia di odi e rancori. Sono valutazioni su cui naturalmente si può e si deve discutere, ma non le si può ricondurre strumentalmente a un fosco pregiudizio anti-israeliano, visto che costituiscono semplicemente prove di quell’esercizio di realismo di cui ha dato segno la stessa Lucia Annunziata che giovedì abbandonava gli studi di Santoro, indignata dai pregiudizi (quelli sì) dell’eroico tribuno dei popoli oppressi. Sono peraltro le posizioni su cui si sono attestate anche la Francia di Sarkozy, l’Egitto di Mubarak, l’ONU di Ban-Ki Moon: segno perlomeno che non sono campate in aria.
Ma prevale la paralisi: paralisi emotiva, paralisi intellettuale, e soprattutto paralisi politica. Di cui si stenta a ritrovare la strada preferendo, invece di "trattare con la realtà", rappresentarsela secondo i propri desiderata, in funzione di bersagli politici casalinghi, polemiche domestiche, e baruffe nostrane.
E a Gaza bisognerà infine che la si ritrovi, quella strada, contando fino a dieci prima di sparare ancora; da queste parti, più modestamente, contando fino a dieci prima di parlare.

Richiesta editoriale

Per piacere, fate uscire There is God di Antony Flew, "il più famoso ateo del mondo" (che io, per miei limiti, non conosco). Luca Volonté sospetta che dietro la mancata pubblicazione del lbro vi siano biechi motivi, e perciò si incarica di darcene notizia, a margine della vicenda degli autobus atei. Ma, in maniera veramente sublime, anziché fornirci le prove dell’esistenza di Dio che Flew adduce nel libro, Volonté si limita a scrivere che Flew, appunto, adduce siffatte "prove scientifiche".

E qui si dimostra quanto è robusta la fede di Luca Volonté, che deve fare evidentemente a meno delle prove, perché il non averle prodotte è segno evidente che Volonté non le ha così bene intese da poterle riprodurre.
Dio, dunque, renderà particolare merito  alla sua fede. Io però non tanto.

 

Facebook come disturbo delle personalità

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