collaboratori del sindaco, all’interno dei locali della sala stampa del Comune, hanno distrutto il nastro della cassetta ed eliminato i file audio". Tornano alla mente le amare parole di Raffaele La Capria, a proposito di uno dei momenti cruciali della storia di Napoli: dopo la sconfitta della rivoluzione napoletana, per incapacità «di affrontare il grande mare della modernità», la città cominciò lentamente a scivolare fuori della storia, ha scritto La Capria, e i napoletani presero a «fare i napoletani», inscenando la grande «recita collettiva» della napoletanità. Della quale purtroppo sembra che non sappiano fare a meno, se anche in quest’ultimo, drammatico passaggio politico, si assegnano le parti di una poco brillante rappresentazione, inventandosi il ricorso ad una registrazione, per metà autorizzata per metà nascosta, il cui unico effetto è stato di trasformare un incontro politico in un’avvilente commedia degli equivoci. Anche questa volta, insomma, nel rispetto della nota legge per la quale la storia si ripete, sì, ma in forma farsesca, all’occasione mancata segue, invece dell’analisi e della critica, la messa in scena, con in più il tentativo finale di chiudere la vicenda con un conciliante «scurdammece ‘o passato» che non si sa bene quanto dovrebbe durare, e soprattutto perché.
Il Sindaco ha in verità provato a spiegarlo, nella lettera aperta che oggi indirizza alla città. In essa, la Iervolino rivendica la piena legittimità democratica dell’attuale Consiglio, il consenso ricevuto solo due anni e mezzo fa dalla larga maggioranza dei napoletani, e la sua onestà e rettitudine personale, insieme alle migliori intenzioni per il lavoro che attende la nuova giunta.
Il guaio è che però nessuno di questi punti è oggi in discussione. Nessuno contesta il diritto della Iervolino di restare al suo posto: se ne discute, invece, e seriamente, l’opportunità. E non in nome di chissà quali principi, ma, molto più modestamente, in considerazione della cattiva qualità dei risultati dell’azione amministrativa, e dell’esaurimento della sua capacità progettuale. Politicamente (e ragionevolmente) parlando, l’unica cosa che il Sindaco avrebbe forse dovuto richiamare sono appunto i risultati, non essendo altra la responsabilità che un Sindaco tiene nei confronti della città. E invece il Sindaco evita di richiamarli. Al netto degli auspici per il futuro, la lettera si risolve infatti in un’orgogliosa rivendicazione di competenze, funzioni e prerogative, ma non accampa nessun dato concreto in nome del quale difendere la prosecuzione dell’attuale consiliatura e rinsaldare un patto di fiducia con i cittadini. Con un passaggio in verità tristemente rivelativo: si parla infatti, nella lettera, di errori, fa capolino dunque la parola, ma gli errori si imputano non al Sindaco né alla sua Giunta, bensì, più genericamente, all’intera città. Sono della città i "problemi", le "insufficiente", le "debolezze": di tutti, insomma, ma non della Giunta.
Dopo di che si tratta di aprire una "nuova fase": non "abbandonare la nave", dice il Sindaco, ma trovare una nuova rotta. Ora, che genere di nave sia quella che il Sindaco non vuole abbandonare lo si può capire bene ricordando un vecchio dilemma, quello dell’eroe ateniese Teseo, costretto in mare aperto a cambiare poco a poco tutti i pezzi della sua nave: le vele, la chiglia, il timone, le tavole e le travi. Al porto la nave tornava senza più alcun pezzo componente lo scafo originario, sicché la domanda era: la nave che così raggiunge il porto, è ancora la stessa di quando è partita, oppure è un’altra? Forse, per marcare una qualche discontinuità, al Sindaco piacerebbe dire che non è più la stessa, e che al termine del suo mandato avrà condotto in porto una squadra nuova di zecca. Ma il fatto è che la nave di Teseo, come la giunta della Iervolino, è un oggetto sociale: deve cioè la sua identità non semplicemente ai pezzi "materiali" che la compongono, ma alla funzione che assolve, alla capacità di interpretare i bisogni della città e alla possibilità di costruire per essa un futuro migliore del presente. Sotto questo profilo, spiace dirlo, ma siamo alle solite. Né basterà inchiodare o schiodare assessori come le assi della nave di Teseo perché il risultato non resti nel suo complesso deludente.
C’è poi un ultimo particolare, non insignificante: non si vede proprio in quale porto il Sindaco immagini ora di condurre la nave che non vuole abbandonare. E il porto, cioè la mèta, dovrebbe essere indicata insieme ai partiti della sua maggioranza, se ancora si vuole riconoscere ad essi una qualche ragione di esistere. I quali partiti, per parte loro, non sembrano più disposti a seguirla. L’autonomia rivendicata da ultimo dagli amministratori locali (e questo, va detto, non solo a Napoli) sembra così andare molto oltre le normali previsioni di legge: somiglia invece sempre più al rifiuto di attraccare da qualunque parte: di rispondere cioè del proprio operato ad altri che non siano i gruppi imbarcati sulla nave, finché le risorse pubbliche non si esauriranno, e l’imbarcazione non colerà lentamente a picco. Col comandante che, più ostinato che eroico, potrà rivendicare, sempre più mestamente, di non averla abbandonata.