Archivi del mese: febbraio 2009

E gli spruzzatori di brodino a distanza?

Le sottigliezze di cui si può dar prova nella discussione sull’alimentazione forzata sono veramente mirabili. Ecco l’ultimo esempio:

"Non è vero come dice Dario Franceschini che con questa legge sul fine vita si “impone l’alimentazione artificiale a una persona anche contro la sua volontà”. Si confonde il trattamento sanitario (che comprende anche l’introduzione di un tubo gastrico nello stomaco) con la somministrazione del sostentamento (che riguarda ciò che scorre nel tubo, una volta inserito). La legge infatti, senza modificare l’attuale prassi, prevede espressamente che “ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole” (art. 4). Perciò se l’alimentazione del paziente dovrà realizzarsi attraverso un presidio artificiale, il paziente potrà rifiutare quest’ultimo e il medico sarà nell’impossibilità pratica di intervenire finanche per attivare l’idratazione e l’alimentazione del paziente".
Alberto Gambino (Ordinario di Diritto privato e Diritto civile all’Università europea di Roma)

Ora, poniamo il caso del cucchiaio. Il paziente non vuole il brodino. Il brodino gli tocca, ma lui può rifiutare il cucchiaio. (Perché mai qualcuno dovrebbe potere infilarmi il cucchiaio in bocca?) Se però il personale paramedico è così bravo da riuscire ad approfittare di miei momenti di rilassatezza, e per esempio riuscisse, mentre parlo, a lanciarmi spruzzi di brodino in bocca, in tal caso non si sarà determinata alcuna imposizione del brodo contro la mia volontà.
(Anche se confesso che non mi è del tutto chiaro come andrebbe considerato il caso dell’uso di spruzzatori di brodino a distanza)

Wiederholung des Sinnes

Enrico: . E così l’accapacchiacani… -.
Io: – No, Enri: l’accalappiacani -.
Enrico: – E così l’appalacchiacani… -.
Io: No, Enri: l’accalappiacani -:
Enrico: – E così Il catturatore…-.

 

La buona logica di Panebianco

La forma di ragionamento che consiste nel dire: come gli uni, così gli altri, è molto comoda. Il solo fatto di praticarla sembra metterti dalla parte della ragione, o perlomeno della ragionevolezza – il che naturalmente non è detto che sia. Ad esempio (per riprendere un antico esempio): come ci sono gli uni per i quali deve essere assolutamente obbligatorio indossare e sfoggiare mutande a fiori rossi, così ci sono altri per i quali ognuno deve poter indossare a proprio piacere le mutande, non importa il colore dei fiori. Non direi che le due concezioni si pongono sullo stesso piano, fiorellini o non fiorellini.
Naturalmente, io stesso avrò praticata una tal forma di argomentazione chissà quante volte: è comoda, non c’è dubbio. Ma a condizione che si verifichi ogni volta se sia adatta al caso; o almeno che si rispettino standard minimi di correttezza argomentativa. Vediamo allora se gli standard siano rispettati dall’editorialista del Corriere, Angelo Panebianco. E dunque:
 
I fautori della «sacralità della vita», i neo guelfi, sbagliano di grosso a volere imporre per legge a tutti i loro valori (la sacralità della vita è un concetto privo di senso per chi non crede in Dio). Facendo ciò essi attentano a quel pluralismo degli orientamenti di cui solo può vivere una società liberale. Ma sbagliano anche i fautori della «libertà di scelta». Costoro la fanno troppo semplice, banalizzano in maniera inaccettabile il problema. Non è vero che essi si limitano a rivendicare un «diritto» che i credenti sono liberi di non praticare. Perché pretendendo una legge che riconosca quel diritto essi, per ciò stesso, intendono fare prevalere la loro concezione della vita e della morte, imporre il principio secondo cui la decisione sulla morte di un uomo è nell’esclusiva e libera disponibilità di quell’uomo. Un principio che non può non ripugnare ai fautori della diversa e opposta concezione.
 
Ora, non la voglio far lunga: non entro nemmeno nel merito; ma questo è un caso da manuale. Da manuale di logica, intendo. I fautori della sacralità della vita sbagliano, infatti: ma non perché lo dicano i neo ghibellini del partito opposto: sbagliano perché attentano ai principi di una società liberale. I fautori della libertà di scelta, invece, sbagliano perché quel che sostengono ripugna ai neo guelfi: non perché quel che sostengono attenta ai principi di una società liberale. (Si capisce che se fosse valido metterla in questi termini, sarebbe sufficiente che a me e a un gruppo di amici miei ripugni che Panebianco scriva queste cose, per mettere sullo stesso piano la nostra ripugnanza e il suo diritto). 
Ora, io sono disponibile a discutere all’infinito di questi temi, a mettere in discussione ogni genere di certezze, ma anche a tenere per valida qualche regola di buona logica.
 
P.S. Ciò detto, a me va di ragionare sui confini della politica. Ma per bene.

Chiarimento

Ho tempo di leggere solo il titolo del Corriere: "Casini rilancia al centro – Verso un partito della nazione -".
Ora rileggetevi il discorso di Veltroni a Spello, in apertura della campagna elettorale (cosa che m’è toccato di fare) e ditemi se quel discorso non era il discorso del segretario del partito della nazione.

Cercasi

C’è un allegato. Lo scarico. Poi lo salvo. Se non faccio attenzione, finisce in automatico in una cartella preselezionata dal computer. Come diavolo posso ritrovarla non so. Perdonate l’analfabetismo informatico, ma è un’ora che ci provo.
Scarico di nuovo dalla casella di posta lo stesso allegato. Poi faccio ‘salva con nome’. A questo punto faccio attenzione, e mi annoto tutto il percorso di cartelle che il computer preseleziona. E’ il seguente: Disco locale (C) – Documents and Settings – Work – Impostazioni locali – Temporary Internet Files – Content IE5 – JVDPWZ3O. Il file viene dunque salvato in automatico in quest’ultima cartella, che ora devo ritrovare.
Vado dunque in (C), poi in Documents and Settings, poi in Work, poi in Impostazioni locali, e qui avviene l’inspiegabile. Tra le cartelle che stanno sotto Impostazioni locali non c’è Temporary Internet Files. Non si capisce perché. Ho controllato: il computer visualizza anche i file e le cartelle nascoste, ma niente: c’è Apps, c’è Dati Applicazioni, c’è Temp, ma non c’è la cartella che cerco (né c’è, in nessuna delle tre cartelle, il file che cerco).
Ora avete la possibilità di rendere un uomo felice: cercasi cartella, cercasi file, cercasi spiegazione di questo per me impenetrabile mistero. (Cercasi tutto il lavoro di questa sera/notte, insomma)

Fate voi

Quello che leggete nel post sotto, è l’attacco del mio pezzo per il Mattino; quello che invece vi metto qui è l’attacco dell’editoriale di oggi di Galli della Loggia. Un meme deve essere partito da Napoli verso Milano:

"E’ la sala della Pallacorda, non uno squallido hangar della Fiera di Roma, il luogo vero — vero perché definito dalla misteriosa verità dei simboli — dove si riunisce oggi l’assemblea del Partito democratico"

(Siccome siete pigri, vi metto anche il finale dell’articolo, che somiglia un po’ di più:
"E dunque: l’Assemblea nazionale non sarà agitata da spiriti rivoluzionari. Il Padiglione della Fiera di Roma non avrà gli stucchi e gli arazzi di Versailles. Ma se non altro nel Pd il segretario è già caduto, mentre nel 1789 c’era ancora il re e non ne voleva sapere di farsi da parte. Per superare lo stallo e fare una scelta un po’ più netta e coraggiosa c’è bisogno perciò di molto meno di una rivoluzione: è sufficiente tornare a fare politica, discutere, decidere. E non solo ratificare. Se il partito democratico vuole davvero trovare la sua identità, i delegati dell’assemblea nazionale possono cominciare a cercarla da domani").

Leader vero e subito (ovvero: della Pallacorda del PD)

Il paradosso del partito democratico, il rebus della sua sempre più misteriosa identità, sta tutto qui: non si possono convocare le assise massime del congresso, perché lo statuto ha reso troppo macchinose le procedure necessarie, e perché le elezioni europee sono alle porte (e perché il tesseramento è a sua volta un rebus non ancora sciolto, aggiungerei), ma è possibile convocare in tre giorni un’assemblea nazionale che porti a Roma ben tremila persone, membro più membro meno, a cui affidare un compito poco più che notarile: quello di assegnare la reggenza del partito al vice-segretario Dario Franceschini, come soluzione ponte in vista del congresso d’autunno. In realtà, nessuno ha mai visto affidare a una riunione di tremila persone l’onere di una semplice ratifica. E nessuno sembra sospettare che cosa significhi, nel momento attuale, dare la parola a tremila persone perché affrontino una discussione che nei contenuti non può non essere impegnativa, ma di cui però si pretende di predeterminare l’esito. Se invece sabato i tremila convenuti trovassero una sala della Pallacorda in cui giurare di non separarsi più e di non sciogliersi finché il partito democratico non sarà stato stabilito e posto su salde fondamenta, come fecero nel 1789 i rappresentanti del Terzo Stato, dando il segnale della rivoluzione, forse il partito potrebbe trovare il modo di risollevarsi.

Astensione

(E mentre il PD sta lì che riflette e medita, la Commissione Sanità del Senato vota il DdL Calabrò come testo base. Ignazio Marino vota contro (insieme ad altri cinque), Dorina Bianchi, che ha sostituito Marino come capogruppo del PD, si astiene (insieme ad altri due). La "posizione prevalente" del PD in materia di testamento biologico sembra dunque essere, numeri o non numeri, quella di astenersi).

Neanche se dici burzocco

Quando ero piccolo, quella del titolo era forse tra le frasi che sentivo più spesso. Era il no più inamovibile che potesse venire da mio padre. Non che la parola ‘burzocco’ avesse qualche magico significato, ai miei occhi (e alle mie orecchie), ma dava bene l’idea che nessun argomento avrebbe potuto smuovere mio padre: non solo quelli sensati, ma neppure quelli insensati.
Ci si poteva convincere a poco prezzo di un’evidenza, che la vita pubblica conferma a ogni passo: che spesso hanno corso e sono più forti le insensatezze rispetto alle poche cose sensate che uno riesca a dire. (In realtà, poi, dedicandosi allo studio della filosofia, uno poteva anche farsi venire il sospetto che ‘burzocco’ funzionasse un po’ come l’id quo maius cogitar nequit della prova di Anselmo. L’intenzione con la quale si significava l’iperbole di ogni possibile richiesta di senso era più o meno la stessa).

Neanche se dici ‘burzocco’: io sono convinto che Walter Veltroni abbia guidato il partito democratico un po’ così. Tutti vedono il lato del ‘ma anche’, il lato per il quale, incapace di dare una rotta determinata al PD, Veltroni finiva col voler tenere tutto insieme (così ad esempio Stefano Menichini su Europa). Io invece trovo che lo stile della sua risposta fosse un po’ come quello di mio padre, sensate o insensate che fossero le richieste degli elettori, della base, dei dirigenti del partito: il punto vero (e con esso l’identità del PD) si collocava ben al di là del passato brutto e cattivo, oltre le tradizioni di provenienza, oltre gli schemi dei vecchi partiti, oltre le forme tradizionali di organizzazione, oltre lo schema destra/sinistra, oltre l’età anagrafica, oltre la militanza, oltre le appartenenze, persino oltre la possibilità di dire ‘burzocco’. Così oltre che nessuno ha mai saputo dove fosse, e come quindi andasse argomentato.

(A onor del vero, mio padre scherzava. E per lo più usava quelle parole – soprattutto negli ultimi anni – per respingere qualunque richiesta di spostarlo di qualche millimetro quadrato dalla sua sedia, dalla sua calcolatrice, dai suoi fogli. Un’irremovibilità che magari).

Quando vedo lui (Se penso)

"Quando vedo lui, Veltroni D’alema e Rutelli mi sembrano tre tinche sul palcoscenico della politica.
Quando sento parlare lui, mi sembra che le poche, quasi povere parole che spende siano una moneta garantita al cento per cento da una riserva aurea di realtà e di vita.
Quando penso che Gramsci è di Ales e Berlinguer di Sassari, la mia speranza che prenda in mano le sorti dell’opposizione mi sembra avvalorata da una predestinazione.
È di Renato Soru che parlo (Santuri, 1957): con lui rinascerebbe questo povero paese al tramonto e tramortito.
Volesse il cielo che le tre tinche lo capissero".
E avesse voluto il cielo che anche i sardi.
(Patrizia Valduga sul supplemento D di Repubblica, sabato. Letto con il dovuto ritardo).

Nonostante Sanremo

Mi spiace per Bonolis, che ha pure origini salernitane, ma nonostante Sanremo Red Tv mantiene la sua programmazione del martedì, e manda in onda Alberto Moreiras

Sul significato del significato della fame

Torno sull’articolo scritto per Left Wing, Il significato della fame, a motivo delle considerazioni di G. (via mail). Di seguito la mia risposta:

G.:
Sulla vitalità della povera Eluana [nelle condizioni che hanno preceduto il distaco del sondino naso-gastrio] non solo la Chiesa, ma nessuno sa dire nulla. In questo la sconfitta dei laici, così come della scienza, è radicale tanto quanto quella della Chiesa: della povera Eluana che fu, nessuno può dire se fosse ancora viva o già morta. E quindi il tuo ragionare di fame e di sete finisce per essere sofistico: Ruini non potrà dimostrare che Eluana fosse in grado di sentire fame o sete; ma tu non puoi dimostrare il contrario, e torniamo alla casella 1.

M. (cioè io):
Ci deve essere un equivoco di fondo […]. Io so dimostrare che cos’è fame e sete in tutti gli usi ordinari del linguaggio. La pretesa (non direi sofistica, ma diabolica: da genio maligno cartesiano), di avere un filo conduttore più robusto di quello che ti è offerto dalla vita che vivi ti getta nella situazione di dubbio très métaphysique in cui nessuno sa più dire nulla: né Ruini né io. Se la mia è fame (e questa mia in realtà non è una fame individuale e privata: sto usando Husserl e Wittgenstein, per capirci), quella di Eluana non lo era. Naturalmente, questo è solo uno schema, che quindi semplifica e banalizza, nulla di più. Ma il punto fondamentale (a cui dovremmo tenere un po’ di più, a parer mio) è: non c’è altro modo di dare senso alle parole, che non sia attingerlo là dove hanno senso. La colonizzazione dei mondi vitali da parte della scienza è tale, per cui neppure tu confidi su ciò che sai, per dire cosa sia fame (e uomo e vita). E’ fame, quella che senti? E’ vita, quella che vivi? O credi che sia solo un’apparenza di fame (e di vita), e aspetti di sapere dalle analisi cliniche se i livelli di glicemia siano tali che si possa parlare di fame (o dalla biologia di tuo figlio di sapere se devi amarlo)? Il genio continua la sua opera. E perché sia evidente il disastro, ti invito a considerare che se io ti obiettassi: ma come fai tu a sapere che io ho fame, quando ho fame (e persino: come faccio io stesso a non ingannarmi quanto al fatto che ho fame), la risposta migliore dovrebbe essere, in coerenza con quanto dici: me lo dice il livello di glicemia. Parla per me il livello di glicemia. A te va bene, che sia così? Eluana non poteva certo dire in prima persona di aver fame, ma poteva dirlo la comunità degli uomini che hanno fame. Si può credere quel che si vuole, ma un’istituzione come quella ecclesistica, con la teologia, la filosofia e l’antropologia che si ritrova alle spalle, dovrebbe pensarsi cento, mille volte prima di lasciare che sia la scienza a dare significato all’aver fame, in mancanza della voce di prima persona che lo dica. 
Naturalmente, nulla di male se lo scienziato pensa così. Fa il suo mestiere. Molto male è lasciare che quello della scienza sia l’unico discorso su ciò che è (fame). Questo è il punto. Io invece ho una fenomenologia della percezione, e la ritengo persino più fondamentale di qualunque sustruzione scientifica. (E posso persino provare a spiegare come ‘funga’ anche nei discorsi della scienza, che per spiegare cos’è fame devono perlomeno presupporre quella percezione di fame che debbono appunto spiegare).

Fama

Alle 15.45 prendo Enrico a scuola. Togli il grembiule metti il capotto la sciarpa il cappello. In auto. corro fino alla piscina universitaria. Lascio un documento e prendo la chiave dell’armadietto. Spogliatoio. Aiuto Enrico a svestirsi e a indossare costume occhiali cuffia. Ore 16.00 Poso la borsa nell’armadietto e saluto Enrico.
Torno di corsa in biblioteca. Cavolo, ho dimenticato il pass. Parcheggio lontano e corro a piedi. In biblioteca, fila per consegnare i libri in prestito. Poi scendo di corsa nel fondo librario. Prendo altri tre libri, compilo le schede e aspetto l’addetto per l’autorizzazione al prestito. Arriva. I libri mi vengono rilasciati. Corro all’auto, poi in auto corro verso la piscina universitaria. Parcheggio. Corro. Sono in tempo. Entro nello spogliatoio alle 16.58, due minuti prima che Enrico abbia finito il suo turno.
E qui mi accorgo di avere dimenticato la chiave dell’armadietto in auto.
Allora corro fuori, dalla ragazza a cui avevo lasciato un documento, chiedendo se abbia una seconda chiave. Non so, adesso vedo. Un minuto dopo, mi consegna un mazzo di chiavi. Provi con queste. Corro nello spogliatoio. Comincio a provare le chiavi. Non riesco a trovare quella giusta, cavolo! Non aprono! I bimbi escono dalla piscina. Enrico grida: Papà! Papà! Lascio le chiavi e corro da Enrico. Papà non ti vedevo. Sono qui, Enrico. Lo porto sotto la doccia. Comincio a lavarlo, e a spiegargli che la borsa è chiusa nell’armadietto, e che dovrò lasciarlo con il mio giubbotto addosso, mentre di corsa andrò a prendere la chiave in macchina. No, papà: non voglio!
Compare mia cognata. Maria, ho la borsa chiusa nell’armadietto, ho lasciato tutto lì. Ho capito, dice lei, e corre via. Un minuto dopo, mi porta shampoo e bagnoschiuma di suo figlio. Hai capito al volo, Maria! Mi serve tutto!!
Vengo via dalla doccia. Papà ho freddo. Aspetta. E mentre decido di che morte morire, un addetta alle pulizie mi si fa innanzi con la borsa di Enrico: cerca questa, signore?
 
La mia fama presso la piscina universitaria sta crescendo.
Aggiornamento: Pare che abbia dimenticato nello spogliatoio costume occhiali cuffia.

Quando si vuol fare una legge, in cui la volontà individuale figuri il meno possibile…

Alfa: Il divieto di accanimento terapeutico. “il medico deve astenersi da trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura e/o di sostegno vitale del medesimo.”

Beta: E se io lo desiderassi, questo accanimento terapeutico? Per quale motivo la legge deve impedirlo?

Alfa: …

Beta: …

(Chi poteva scrivere il bel dialoghetto da cui ho prelevato questo pezzetto, se non il caro estinto?)

Carnevale

Che cosa c’è di meglio di una domenica di Carnevale, con la propria figlia che dopo avere per settimane provato i passi dei balli da eseguire dietro il carro allestito dai compaesani della frazione di Aiello si impegna a sfilare per sei ore (vestitino euro 21), nonostante il freddo polare, prima a Baronissi poi al pomeriggio in un paese vicino, insieme agli altri carri e alle altre ballerine e ballerini? Cosa c’è di più bello, di più soddisfacente, di più delizioso dell’accompagnarla, e di mescolarsi tra la folla festosa e colorata di coriandoli e maschere, salutandola da lontano con la mano, sorridendo ai suoi sorrisi, chiamandola in risposta ai suoi richiami, mentre gli altri due figlioli si rincorrono, scappano di qua e di là, si perdono tra la folla costringendoti a cercarli, a inseguirli, a trovarli, e per farli star buoni a comprargli la bomboletta con la schiuma, la trombetta, le caramelle, il palloncino? (Ed è subito sera).
Ditemi: cosa c’è di meglio, se non un febbrone da cavallo che costringe Renata a letto tutto il giorno?