Archivi del giorno: febbraio 4, 2009

Quella volontà da rispettare

La prima riflessione la merita Beppe Englaro. La merita il suo silenzio, in queste ore, e l’uso sempre pacato delle parole, in mezzo a tanta scompostezza. La merita la dignità e l’amore con cui ha difeso la volontà della figlia Eluana, e la tenacia con cui ha rivendicato il rispetto delle regole. A questo, non certo all’avventatezza di chi chiede che un giudice gli tolga in extremis la patria potestà (lo ha dichiarato con bella improntitudine il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia) dobbiamo il fatto che la pagina della storia civile e politica del nostro Paese che stiamo per voltare può essere scritta in termini che consentano all’Italia di avere, forse, una legge. E avercene, di padri e di italiani così.
Una pagina scritta in termini di diritto, sempre preferibili alle scorciatoie di fatto, alle soluzioni di comodo, che si seguono ipocritamente al riparo dall’opinione pubblica e soprattutto dalle misure di legge. Qui cade la mia seconda considerazione: sui giudici, sulle sentenze. Nulla è univoco al mondo, nulla è logicamente inoppugnabile, ma se dinanzi all’ultimo pronunciamento della Cassazione, che non è certo intervenuta frettolosamente, bensì dopo una vicenda giudiziaria durata anni, si invoca addirittura un decreto urgente del Consiglio dei Ministri per fermare la morte (l’assassinio, l’omicidio), si comprende quanto sottile sia lo strato di civiltà giuridica al cui riparo si difendono i diritti di libertà nel nostro Paese. Non c’è nulla di più urgente della vita umana, ha dichiarato l’on. Volonté (non solo lui, purtroppo), chiedendo a gran voce l’intervento del governo, e probabilmente sarebbe inutile provare a spiegargli quale disastro giuridico e politico sta nella sua richiesta che il potere esecutivo intervenga in via eccezionale, saltando la mediazione di una legge e respingendo il valore di una sentenza, per presentarsi in clinica e sequestrare il corpo di Eluana. Probabilmente, non basterebbe l’intera storia del ‘900 per mostrargli quale violenza si sia potuta sprigionare in base all’idea che il potere esecutivo possa fare a meno di parlamenti e tribunali, quando ritenga di condurre da sé, senza mediazione di legge, la difesa della vita. Fino ad impossessarsene contro la volontà stessa del vivente.
La terza considerazione riguarda finalmente il merito di una vicenda che avrebbe avuto altro corso, se in Italia fosse stata approvata una legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, il cosiddetto testamento biologico. La materia è attualmente all’esame del Parlamento. Il punto più delicato concerne l’idratazione e l’alimentazione artificiale: il sondino che ad Eluana sta per essere staccato, in base alla volontà da lei espressa prima dell’incidente del ’92, e accertata e riconosciuta come tale dai tribunali. Se ci fosse una legge che la raccogliesse nelle forme dovute, non sorgerebbero problemi di accertamento della reale volontà del dichiarante, e almeno una parte della battaglia giuridica condotta da Beppe Englaro non dovrebbe più essere combattuta. Se però passasse la linea che non riconosce ad alimentazione e idratazione il carattere di trattamenti sanitari, ma li derubrica a meri sostegni vitali, verrebbe sottratta alla persona che intendesse rifiutarle la possibilità di appellarsi alla libertà di cura e alla sospensione o al rifiuto delle terapie.
Ora, l’idea che i complessi mezzi tecnici necessari per alimentare artificialmente un paziente nelle cosiddette condizioni di fine vita, il taglio chirurgico e l’introduzione di tubi nel corpo umano in un ambiente ospedaliero non configurino un trattamento sanitario, nonostante richiedano la presenza e l’intervento sanitario di medici e infermieri, rappresenta una sfida al senso comune. Ma il senso comune è sfidato ancor più quando si nega che trattamenti del genere possano mai configurare il caso dell’accanimento. Tale negazione viene fatta discendere dalla negazione che si sia in presenza di terapie: e se non sono terapie, non c’è accanimento terapeutico. Spostata la discussione sulla questione se di terapie si tratti oppure no, passa in secondo piano il significato ordinario del sostantivo, in cui risiede invece la sostanza della questione. Nessuno infatti sosterrebbe che, terapeutico o no che sia l’atto, qualcuno possa accanirsi su di me, sulla mia vita, sul mio corpo. Ciò che non va nell’accanimento non è il fatto che sia terapeutico, ma anzitutto il fatto che sia accanimento. E per dimostrare che c’è accanimento su di me, sulla mia vita e sul mio corpo, la tesi che determinati trattamenti siano naturali o vitali (o naturali in quanto vitali, il che non è affatto ovvio) non può contare più del fatto che quei trattamenti, io, non li voglio. Posso pensare di dover essere ben informato su ciò che comporta il mio rifiuto, e di quale tragica responsabilità mi assumo verso me stesso e verso la società, ma non posso perdere del tutto il diritto di rifiutarmi.
Nessuno di noi è una monade, e vi è un modo di declinare l’idea di una relativa indisponibilità della propria vita in modi e forme laiche, che non dipendano cioè soltanto da un credo religioso. Ma non vi è modo di declinarla laicamente, secondo i principi di una civiltà liberale, se al fondo di qualunque dovere dello Stato, di qualunque percorso assistito, di qualunque
ascolto, aiuto, sostegno, la mia volontà, sul mio conto, non valga un po’ di più della volontà altrui.

Viatico (altrimenti detta: proposizione perfetta)

"Con evidenza salta agli occhi che le parole ‘divino’, ‘assoluto’, ‘eterno’ non esprimono affatto il contenuto determinato dell’Assoluto, del divino, dell’Eterno".