Nec ridere nec lugere. Mai momento fu più appropriato. Così mi sono preso la briga di occuparmi non del caso Englaro o della legge sul cosiddetto testamento biologico (si sa peraltro come la penso, e ne ho scritto sul Mattino) ma del significato della parola ‘fame’ (Eluana è morta di fame, dice infatti Ruini, e dicono un bel po’ di persone), dal punto di vista di chi come me fa filosofia. Non per raffreddare gli animi, ma per accendere il mio: vedi quel che si legge nel post sullo schifo, qui sotto. E dunque:
"Intervistato dal Corriere, Camillo Ruini ha affermato che quel che sarebbe accaduto a Eluana, con l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione, va descritto, se si vogliono “chiamare le cose col loro nome”, in questi termini: “Farla morire di fame e di sete”. Ora Eluana è morta. Il cardinale Barragan chiede perdono al Signore per coloro che l’hanno uccisa. Il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, dice che pesano le firme non messe sotto il decreto legge del governo. Maurizio Sacconi chiede di proseguire nella discussione sul cosiddetto testamento biologico. Fioccano le dichiarazioni: è il caso di provare a tessere il filo di un ragionamento, che non debba nulla all’emozione del momento e aiuti, se possibile, a fare una legge migliore" (continua su Left Wing).