La buona logica di Panebianco

La forma di ragionamento che consiste nel dire: come gli uni, così gli altri, è molto comoda. Il solo fatto di praticarla sembra metterti dalla parte della ragione, o perlomeno della ragionevolezza – il che naturalmente non è detto che sia. Ad esempio (per riprendere un antico esempio): come ci sono gli uni per i quali deve essere assolutamente obbligatorio indossare e sfoggiare mutande a fiori rossi, così ci sono altri per i quali ognuno deve poter indossare a proprio piacere le mutande, non importa il colore dei fiori. Non direi che le due concezioni si pongono sullo stesso piano, fiorellini o non fiorellini.
Naturalmente, io stesso avrò praticata una tal forma di argomentazione chissà quante volte: è comoda, non c’è dubbio. Ma a condizione che si verifichi ogni volta se sia adatta al caso; o almeno che si rispettino standard minimi di correttezza argomentativa. Vediamo allora se gli standard siano rispettati dall’editorialista del Corriere, Angelo Panebianco. E dunque:
 
I fautori della «sacralità della vita», i neo guelfi, sbagliano di grosso a volere imporre per legge a tutti i loro valori (la sacralità della vita è un concetto privo di senso per chi non crede in Dio). Facendo ciò essi attentano a quel pluralismo degli orientamenti di cui solo può vivere una società liberale. Ma sbagliano anche i fautori della «libertà di scelta». Costoro la fanno troppo semplice, banalizzano in maniera inaccettabile il problema. Non è vero che essi si limitano a rivendicare un «diritto» che i credenti sono liberi di non praticare. Perché pretendendo una legge che riconosca quel diritto essi, per ciò stesso, intendono fare prevalere la loro concezione della vita e della morte, imporre il principio secondo cui la decisione sulla morte di un uomo è nell’esclusiva e libera disponibilità di quell’uomo. Un principio che non può non ripugnare ai fautori della diversa e opposta concezione.
 
Ora, non la voglio far lunga: non entro nemmeno nel merito; ma questo è un caso da manuale. Da manuale di logica, intendo. I fautori della sacralità della vita sbagliano, infatti: ma non perché lo dicano i neo ghibellini del partito opposto: sbagliano perché attentano ai principi di una società liberale. I fautori della libertà di scelta, invece, sbagliano perché quel che sostengono ripugna ai neo guelfi: non perché quel che sostengono attenta ai principi di una società liberale. (Si capisce che se fosse valido metterla in questi termini, sarebbe sufficiente che a me e a un gruppo di amici miei ripugni che Panebianco scriva queste cose, per mettere sullo stesso piano la nostra ripugnanza e il suo diritto). 
Ora, io sono disponibile a discutere all’infinito di questi temi, a mettere in discussione ogni genere di certezze, ma anche a tenere per valida qualche regola di buona logica.
 
P.S. Ciò detto, a me va di ragionare sui confini della politica. Ma per bene.

23 risposte a “La buona logica di Panebianco

  1. qualcuno gli legga le bozze[..] L’editoriale di Panebianco di oggi – argomento testamento biologico – era una roba piuttosto imbarazzante. Massimo spiega perché, ricorrendo alla logica elementare (il link a Panebianco lo trovate lì). [..]

  2. secondo me la tua replica non è più logica della frase di panebianco. se la questione è “la vita di ciascuno è sacra si o no” l’affermativa e la negativa sono altrettanto assolute. per te non lo è e quindi ciascuno fa come vuole, per me lo è (non lo è, ma fingiamo) e quindi nessuno può fare come vuole. la tua posizione non è più “liberale” della mia, lo sembra soltanto. alla fine c’è sempre un’imposizione: io ti impongo di vivere, tu mi imponi di subire la tua morte. di nuovo la libertà appare solo nella sua forma negativa (non essere toccato, non essere guardato).

  3. Io provo invece ad entrare nel merito:
    1. tutti o quasi tutti, dopo il caso Englaro hanno chiesto una legge sulla fine-vita;
    2. la proposta di legge della maggioranza viene criticata perché rischia di creare un’etica di stato, che sembra limitare di molto la libera facoltà del soggetto di decidere della propria vita;
    3. anche per me la scelta di legiferare è molto rischiosa, proprio in nome (per usare le parole di uno molto impegnato in merito) del “primato della carità sul diritto”; affermare questo primato per legge è già accettare il principio della “libertà per il nulla” (sempre quello lì);
    4. infatti, ogni relazione umana ha proprie leggi e una propria “giurisprudenza”, che non vanno confuse con le norme scritte; è come le due città di S. Agostino;
    5. l’ambito della relazione personale ha una politicità e una giuridicità PROPRIE, da non confondere con quelle dello stato: è un diritto “altro”, ma è un vero diritto, con la sua giurisprudenza, la sua premialità e le sue penalità;
    6. l’ambito bioetico in generale, ma questo in particolare, è l’ambito dove i rischi di confusione sono più gravi;
    7. infatti, se la legge dello Stato si sovrappone, confonde, spregia e sfregia questo diverso ordine politico-giuridico, crea un’etica di stato aberrante, fosse pure la più garantista e libertaria: perché nullifica un ambito che non le appartiene;
    8. ma quando una persona abdica alla propria competenza giuridica “altra”, facendosela espropriare dallo Stato, anzi “pretendendo” questo esproprio, si è già fatto il primo e definitivo passo verso l’etica di Stato, conservatrice o libertaria che sia; cmq una violenza di Stato;
    9. con il tentativo di far propria e far valere di fronte a tutti l’esautorazione della propria “competenza in pensare, sapere, udire e vedere”: “per legge”, diventa il motto di ogni rapporto umano;
    10. allora, direbbe Lacan, non c’è più rapporto.

    Ben venga dunque il bimbo Panebianco a dire che il re è nudo.

    lycopodium

  4. curiose inversioni dell’evidenza…
    che l’affermazione di una disciplina liberale implichi ovviamente la negazione dell’esclusività di una disciplina non liberale è una leggera tautologia, mi pare

  5. Dhalgren, senza spiegarsi su quali siano i principi di una civiltà liberale, ti domando: l’affermazione “la vita vita di Dhalgren appartiene a me”, e l’affermazione “la vita di Dhalgren appartiene a Dhalgren” stanno sullo stesso piano? La questione non è se le affermazioni siano o no entrambe assolute, ma se stiano sullo stesso piano rispetto ai principi di una civiltà liberale. Panebianco stesso, senza rendersene conto, mostra che no.

  6. Non ho capito bene il commento 4, in relazione a quel che scrivo. Io non parlo di come sia fatta una società liberale, perché non ne parla Panebianco, nel passo che discuto. Io parlo della logica con cui argomenta

  7. io non credo che c’entri niente la società liberale. prima ancora che le diverse opinioni vengano composte (con un qualsiasi sistema, la democrazia o anche la forza), esse esistono in forma assoluta, e questa è la loro unica vera forma. e nel caso di specie (sacralità della vita), per loro stessa natura sono due forme di violenza, perciò ripugnano ai rispettivi detrattori. tra le due fedi (la vita non appartiene a nessun uomo, la vita appartiene a ogni uomo) si è affermata la via di mezzo, per cui la vita di ciascuno appartiene a certi uomini (al governo, agli scienziati, ai parenti, bla bla bla). se domani venisse fuori un gruppo salutista che, senza alcun riferimento religioso, negasse l’utilizzo delle pennicilline, tu che faresti? se uno di questi soggetti rifiutasse la pillola che gli impedisce di morire, lo lasceresti fare? dopotutto la vita è sua, che male fa? in verità ti dico che quella pillola bisognerebbe infilargliela su per il culo, e poi quando sarà guarito decida pure di impiccarsi. perchè la sua libera scelta mi ripugna e ripugna alla ragione, è un’offesa alla ragione ed è una violenza che neppure una società “liberale” può tollerare.

  8. panebianco scrive i suoi editoriali mentre fa ricevimento, non stupisce che gli scappi qualche proposito.

    cmq. questo suo pezzo è un piccolo capolavoro di cerchiobottismo.

  9. il commento 4 era in relazione al pezzo di panebianco, non al commento del post. chiedo scusa per il fraintendimento.

  10. stasera c’è “europa occidente” o diplomazia vuole che la puntata salti?

  11. a dhalgren:
    1) il gruppo che rifiuta le cure (per motivi religiosi!!) è gia venuto fuori e sono i testimoni di geova a cui giurisprudenza costante riconosce il diritto di rifiutare la trasfusione di sangue (beninteso non sulla base della mera appartenenza religiosa ma sulla base di una chiara volontà in tal senso; quando i testimoni di geova applicano gli stessi principi ai loro figli vengono regolarmente portati a giudizio…
    2) usando violenza, forse, vorrei convincerti che la libertà è quando una persona decide da sè mentre la violenza è quando si è costretti coattivamente a subire le scelte di altri;
    3) le situazioni limite esistono in tutti i campi: se si dovessero considerare tutte le conseguenze ipotetiche che possono derivare dal riconoscimento di un diritto di libertà si negherebbe anche la libertà personale.
    valerio

  12. c’è, ma va una replica (e non so dirti quale)

  13. e infatti quello dei testimoni è proprio il tipico caso di una “libertà” che nasce dal fanatismo e che non merita tutela ma solo indifferenza (la giurisprudenza da un lato gli riconosce il diritto di non farsi curare, dall’altro però pretende un rifiuto specifico e “attuale”, il che vuol dire che 99 su 100 se il paziente ha perso conoscenza sarà curato lo stesso: quanta fatica per salvare questa gente…).
    parli di libertà, e non ti accorgi che se io devo subire la tua idiozia (perchè la tua morte per non voler prendere l’aspirina mi offende come creatura razionale e mi diminuisce), allora io non sono libero. per te la libertà è non avere qualcuno che ti costringe a mangiare, mentre cos’è non avere nulla da mangiare? chi non può mangiare perchè non ha nulla è libero? la libertà è anche pretendere il minimo che si può pretendere e io _pretendo_ che tu non sia un idiota e che tu non mi infligga lo spettacolo della tua morte idiota per non volere la supposta. come pretendo risposta a una domanda perchè tu non sei libero di tacere, una volta che sei entrato nel gioco è tuo dovere rispondere, come è tuo dovere non essere un idiota, e non puoi impormi il tuo silenzio o la tua assenza, tu devi rispondere e ci devi essere perchè entrando nella società hai perso una parte di quella che chiami libertà, ti sei legato. è come nel poker, non si esce prima del giro pattuito: e non si esce nemmeno se tu questa regola non la sapevi, perchè la dovevi sapere.

    altrimenti vai a vivere in un fosso, a morirci, muori di nascosto! non farti vedere da me, non crepare in un ospedale, in un luogo pubblico, è vietato fumare nei luoghi pubblici e non è vietato essere dei maniaci? e morire senza motivo? ma questo è ridicolo.
    e poi perchè parli di casi estremi? ci sono migliaia di testimoni nel mondo e altre migliaia di pazzi cui non affiderei la vita di una zecca, figurati di un uomo.

  14. Scusa dhalgren, tu poni una questione rilevantissima, però non sono io ma panebianco a dare per assodato cosa sia una società liberale e quali siano i suoi principi. E la mia obiezione non riguarda il significato di questo liberalismo, ma la disinvoltura con la quale Panebianco costruisce il suo schemino a partire da esso. Se la mia è un’obiezione allo stile della sua argomentazione, non ha molto senso tutto questo tuo argomentare su cosa significhi o cosa implichi essere liberi. Sicché (torno al tuo primo commento) non mi riesce davvero di vedere in ciò che scrivi come dimostri che la mia replica non è più logica, ecc.

  15. In realtà Panebianco non pecca di disinvoltura, ma di genericità: il suo punto d’arrivo è il massimo che, data la sua provenienza, ci si può aspettare.
    In questo senso: per quanto ammetta che esista un ambito (personale e relazionale) da preservare dalla contaminazione del diritto positivo, non giunge a riconoscere una giuridicità “forte”, indipendente dal diritto statale, a tale ambito.
    Così critica la politicizzazione delle questioni bioetiche, senza rendersi conto che è un risultato obbligato della logica della “una sola città”, logica che di per sè coarta la libertà.

    lycopodium

  16. tu dici il testimone di geova merita solo indifferenza, sarà … ma quella che gli applica la giurisprudenza (che interpellata doverosamente risponde) non è indifferenza ma legge.
    tu parli di dovere di non essere idiota, etc… ma dov’è qui la zona grigia? c’è solo autoritarismo etico.
    la zona grigia non esiste, infatti, c’è il privilegio solamente, quando si è sopra le leggi.
    valerio

  17. il discorso finisce per forza sulla libertà. la tua obiezione, se ben capisco, era di tipo formale: non si possono mettere sullo stesso piano (la pretesa di imporre) un comando e una facoltà. io invece ritengo che si tratti di due comandi, anche se non appare a prima vista. quindi secondo me panebianco ha ragione quando evidenzia che i fautori della “libera scelta” semplificano troppo e non si accorgono che anche la loro tesi contiene un elemento di violenza (violenza morale). per spiegarmi allora devo per forza dire cosa intendo per libertà. perchè è evidente che se per “diritto” intendiamo solo una serie di divieti e di obblighi, e per libertà intendiamo solo non esservi sottoposti, allora non c’è proprio da ragionare, viva sempre la libera scelta.

    è molto difficile per uno studioso di diritto andare oltre la constatazione che esiste una sfera personale in cui il diritto non può entrare. diciamo che in un certo senso rinuncia ad entrare, perchè sarebbe troppo difficile, troppo costoso. ma trovare una fonte e una ragione per questa sfera porta inevitabilmente a delle contraddizioni. quale fonte? un altro diritto? ma quale. il diritto “naturale” ? razionale? è pericoloso, può giustificare qualunque cosa. forse è meglio una spiegazione terra terra.

    chiunque sa che è molto più semplice impedirti di agire che farti agire. per farti tacere mi basta incarcerarti, spararti, per farti parlare invece serve la tortura, e non è detto che funzioni. se io impongo le trasfusioni, i maniaci non andranno più all’ospedale e invece di perderne alcuni li perderò tutti: se io sanziono il tentativo di suicidio, probabilmente come risultato avrò solo dei suicidi meglio congegnati. allora pragmaticamente ci rinuncio. io stato mi rassegno di fronte a un comportamento (o un’inerzia) che potrei vincere solo con una violenza spropositata: di fatto mi rassegno di fronte alla TUA violenza. questa per me è la fonte della tua “sfera intangibile”: il fatto che per farti essere sano io stato dovrei diventare più maniaco di te, più mostro irragionevole di te, più pazzo di te. e allora meglio tante piccole violenze, tanta irragionevolezza diffusa, che uno stato così pericoloso.

  18. @ Dhalgren
    Cito dall’ultimo commento:
    “è molto difficile per uno studioso di diritto andare oltre la constatazione che esiste una sfera personale in cui il diritto non può entrare. diciamo che in un certo senso rinuncia ad entrare, perchè sarebbe troppo difficile, troppo costoso. ma trovare una fonte e una ragione per questa sfera porta inevitabilmente a delle contraddizioni. quale fonte? un altro diritto? ma quale. il diritto “naturale” ? razionale? è pericoloso, può giustificare qualunque cosa. forse è meglio una spiegazione terra terra”

    Il “diritto naturale” viene sostanzialmente frainteso quando considerato un iperururanico ideale tutto cuore e nulla ragione e nulla spt “diritto”.
    Invece occorrerebbe trovare un altro nome a questa cosa.
    “Diritto della relazione umana”, diritto positivo anch’esso, con le sue leggi e con la sua giurisprudenza premiale e penale: una vera e propria “città” (ciò, come si vede, non ha nulla di immediatamente fideistico).
    In cui l’altra “città”, lo Stato, il Diritto positivo librescamente inteso, interviene solo quando “non c’è più relazione” o c’è una relazione malata.
    La scelta di ignorare e censurare la prima città, in nome della seconda, è – da questo punto di vista – una vera e propria “autoespropriazione”.

    lycopodium
    aldilà di quello

  19. scusate il refiso finale
    lyc.

  20. madonna mia, se è positivo non è naturale: se sta in una legge non è intangibile, perchè la legge umana può cambiare. se sta in una legge ma non è effettivo, perchè nessuno lo può applicare (con la forza, se necessario), allora non è diritto ma semplice declamazione.

    non c’è bisogno di una cultura raffinata e liberale per predicare il “diritto” alla morte e all’autodeterminazione: il più cencioso dei negri dimenticati nelle foreste preferirebbe tagliarsi le vene che farsi iniettare un antibiotico: si racconta che certi popoli, ridotti in catene, preferivano lasciarsi morire. non c’è neanche bisogno di credere in dio per abbandonarsi al destino, ossia alla cieca causalità.

    questa libertà mi sembra solo l’istinto delle bestie impaurite, la paura del dolore e del dovere. darsi la morte in piena salute, in piena coscienza, è già infinitamente più nobile che rifiutare le cure, e tuttavia per me non è un diritto: è soltanto un vuoto, un punto in cui nessuno ti può raggiungere e dove non c’è più nulla, nè diritto, nè relazione ma solo l’uomo libero, sciolto da ogni legame, terribilmente.
    dh

  21. @ Dhalgren
    Capisco, o almeno credo di capire
    (se la tua risposta era anche rivolta a me e non solo ad AP …).
    Il vuoto, il nulla in cui identifichi la radice nascosta dell’autodeterminazione (“solo l’uomo libero, sciolto da ogni legame, terribilmente”
    e la violenza -anche di Stato- che gli è correlata (“il fatto che per farti essere sano io stato dovrei diventare più maniaco di te, più mostro irragionevole di te, più pazzo di te”): io dico che è proprio così.
    Ma allora facciamo un passo avanti.
    Ci può essere un ambito che lo Stato non deve toccare, che riguarda “me, il mio prossimo (potenzialmente tutto l’uni-verso) e il mio Dio (a questo livello basta anche il “Dio” anche laicamente inteso, non necessariamente il Dio cattolico)”?
    Sì c’è e la prova la dai tu stesso, quando parli di “maniaci”, “mostri irragionevoli”.
    [Io prendo questi tuoi termini come termini tecnici, non morali, nè coinvolgenti una qualunque psicopatologia clinicamente evidente (non voglio dare nè che si dia per forza uno stigma all’altro)].
    Il punto è:
    1. che tutte queste posizioni che tu condanni “sono di per sè OBIEZIONI AL RAPPORTO CON L’ALTRO, visto come fonte di maleficio e non di beneficio”;
    2. che la forma che assume politicamente questa “obiezione al rapporto” è quella della cancellazione dell’ambito personale e delle relazioni (io, il mio prossimo, il mio Dio) a favore del puro diritto di Stato;
    3. l’ambito personale e delle relazioni ha anch’esso un suo Diritto; faccio un esempio terra terra: se uno da un appuntamento ad una ragazza e poi non ci va, cosa fa lei? se è sana, lo manda al diavolo, se è un mostro irragionevole (spt verso se stessa!) va dai carabinieri e sporge querela.
    Grazie.

    lycopodium

  22. in breve tu dici che siccome la gente non sa più campare pretende leggi. e così in pratica finisce per togliersi una libertà, che era quella di sguazzare nel mondo elastico delle “relazioni”.

  23. Elastico? Non proprio. Il mondo delle relazioni è assai normativo: obbligazione/sanzione (premio o punizione che sia). Questo è campare e non è campato in aria.
    lycopodium

    p.s. Ho tentato l’accesso al tuo blog, ma mi fermo alla prima pagina; un problema tecnico?

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