Celebrare il 25 aprile a Onna, in un paese distrutto dal terremoto, è stato un gesto dal forte valore simbolico: una dimostrazione visibile della solidarietà dell’intero paese verso l’Abruzzo. Anche la decisione di tenere il G8 a L’Aquila non è solo la soluzione che consente di risparmiare milioni di euro; è anche un modo per far sentire tangibilmente vicinanza e solidarietà alle popolazioni colpite. Dalla notte del 6 aprile ad oggi c’è stato l’impegno di tutti e di ciascuno: dagli interventi della Protezione civile ai soccorsi dei volontari, dalla presenza delle istituzioni a quello dei singoli cittadini non si può dire che gli italiani non abbiano dimostrato partecipazione e solidarietà.
Già, ma che cos’è la solidarietà? Un valore perenne, si dirà. E si dirà giusto, nel senso almeno che è difficile immaginare un sistema di morale (e, quindi, un paese civile) che non apprezzi il gesto solidale con il quale ci si rivolge al prossimo per aiutarlo, al di là del proprio interesse, sul solo fondamento della comune appartenenza alla famiglia umana. Ciò non toglie che le forme in cui la solidarietà può manifestarsi siano storicamente diverse: ogni società ha i suoi modi per stabilire, anzitutto fra i suoi aderenti, vincoli di solidarietà.
Oggi, per esempio, la solidarietà si presenta con almeno un paio di caratteristiche un tempo pressoché sconosciute. La prima consiste nella visibilità che i gesti di solidarietà prendono più o meno necessariamente. Un po’ perché la società trasparente non consente, neanche volendo, di nasconderli; un po’ perché solo la solidarietà che si fa visibile, tangibile, riesce ad essere davvero efficace e credibile; un po’, infine, perché la capacità di una collettività di riconoscersi come tale sembra ormai affidata a poche occasioni, e i momenti di solidarietà sono tra questi (il che però sembra significare che c’è un interesse generale della società a che la solidarietà si manifesti fra i suoi membri, ma allora in che modo la solidarietà sarebbe veramente disinteressata?). Più banalmente, non c’è oggi attività umana che non abbia bisogno del testimonial, e anche la solidarietà non può non piegarsi a questa logica. Stessa cosa per la cosiddetta "gara di solidarietà", che è anch’essa una necessità dei nostri tempi: per stimolare la partecipazione, occorre che ci sia una gara, e perché la gara funzioni occorre stabilire un record: di telefonate e di raccolta di fondi, ad esempio (record stabilito peraltro in base alle promesse di donazione, non alle donazioni effettive: anche questo è un segno dei tempi).
L’altra caratteristica sono appunto i nuovi modi di fare la colletta. Un tempo c’era il cestino che girava tra i banchi della chiesa, e pochi luoghi di raccolta di generi di prima necessità. Oggi c’è un intero settore dell’economia che ruota intorno alla solidarietà. Oggi si può donare e dedurre; donare e dare un occhio al bilancio. E soprattutto si può donare via sms, al telefono, con la carta di credito. Si può cioè procedere più speditamente, ma anche compiere un gesto di solidarietà restando comodi a casa propria. È un gesto che viene così compiuto senza troppo sacrificio personale, e la cui moltiplicazione per il numero delle cause per le quali viene sollecitato finisce col rendere meno significativo. Alla stessa persona che è disponibile a donare un euro, provate peraltro a chiedere un minuto: il risultato non sarà lo stesso.
Ivan Illich, una grande figura di intellettuale irregolare, ha speso gran parte della sua vita per criticare l’istituzionalizzazione delle forme essenziali della convivenza umana: nella sua critica rientrava per esempio l’educazione, scolarizzata ed erogata come un ‘bene di servizio’, e la cura della salute, medicalizzata e burocratizzata. Persino la Chiesa non andava esente da questa critica, avendo essa trasformato il gesto evangelico dell’ospitalità nelle forme istituzionali di amministrazione della carità. L’intero Stato sociale, straordinaria invenzione del ‘900, appariva, in questa luce, come una gigantesca sottrazione per mano pubblica della libera esperienza di autentica convivialità tra gli uomini: proprio quella che i terremotati abruzzesi riscoprirebbero in questi giorni sotto le tende, come qualche servizio televisivo ci ha fatto vedere, scaricandoci addosso qualche senso di colpa in più per il fatto che non solo noi non viviamo sotto le tende, ma nemmeno ameremmo viverci.
C’era qualcosa di vero, forse persino di profetico nei moniti di Illich. A confronto con la solidarietà autentica, ogni forme intermediata di solidarietà appare fredda e ipocrita. E spesso persino interessata, poiché non c’è mediazione su cui non cresca robusto l’apparato, e il relativo costo. E tuttavia, a ben pensarci: abbiamo idea di cosa comporti vivere un’esistenza autentica 24 ore su 24? Vivere in assoluta sincerità, in assoluta dedizione, in assoluta benevolenza? Siamo sicuri che sarebbe il paradiso, e non invece una buona approssimazione dell’inferno?
Mi sono convinto, perciò: datemi un numero (verde, mi raccomando). Non sarà il massimo, ma non è nemmeno il minimo.
(Il Mattino)