"Occorre un nuovo materialismo, distante da ogni ontologia che basi il principio della realtà del reale sulla correlativa affermazione dell’irrealtà dell’irreale".
P. Macherey, a proposito di Spettri di Marx di Derrida.
Formalizzo: il nuovo materialismo deve porre A senza porre non-non-A. Si può fare?
Si può fare solo se A = non-non-A è la legge non di tutta la realtà, ma solo di una sua porzione (una proposizione problematica).
Naturalmente, questo non significa che in altre porzioni della realtà impazzi la contraddizione più sfrenata; significa invece che l’operazione logica di identificazione non è neutra né innocente, ma ha effetti su ciò che viene così identificato (e – occorre aggiungere – ha o può avere effetti alienanti).
L’effetto in questione si chiama effetto "in-quanto". Identificare è prendere una cosa in quanto è quella cosa (e così non è mai prenderla tutta: in quanto introduce un complemento di limitazione)
Tenetelo a mente, e torniamo a Derrida
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Per Derrida, il limite della critica marxiana sta precisamente in ciò, che egli scopre il carattere spettrale della realtà (la "fantasmagoria" della merce), con riferimento economico-politico al dominio del capitale (ma in generale: del valore di scambio sul valore d’uso), quasi che il valore d’uso non ne fosse anch’esso toccato: "Chi ci assicura di questa distinzione?" – di questa pura distinzione, cioè, fra valore d’uso e valore di scambio?
Se la distinzione non è mai pura, significa che la cosa è sempre, già da sempre "scambiata". E infatti: il primo e più fondamentale degli scambi, quello che rende possibile ogni equivalenza (e per esempio quella fissata nel prezzo) è lo scambio dell’identificazione. Non è che identificare una cosa (una biglia di vetro, ad esempio) significa cambiarla o scambiarla, ma per scambiarla, potremmo dire, occorre che sia all’opera l’effetto "in quanto". E ancor prima per usarla: sia infatti che io voglia venderla, sia che voglia usarla, occorre che io la prenda in quanto gioco, e non in quanto pezzo di vetro (e per di più, per prenderla come gioco, occorre pure che altri la prendano così: ma questa complicazione, per cui nessuna identificazione si fa da soli, qui ce la risparmiamo).
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La critica di Derrida dice dunque (o le possiamo far dire): ogni cosa è presa in quanto. Questo effetto non lo puoi togliere mai. La prima risposta potrebbe essere: d’accordo, non prenderò mai la cosa tutta. La cosa tutta (la realtà vera) è perciò un miraggio proiettato dall’in quanto? Ora, sarà pure un miraggio, ma senza quel miraggio, come posso vedere:
1- i molti in quanto della cosa?
2 – l’in quanto stesso?
1 – Prendere la cosa per un lato soltanto, senza vedere i suoi molti lati: questa è poi l’alienazione, che Marx critica.
2 – Con ciò, d’accordo, non siamo ancora alla cosa tutta, onnilaterale (il miraggio). Siamo ai molti lati, non alla cosa da tutti i lati. Ma senza di essa, la realtà tutta, vera e intera, non viene forse definita proprio dall’effetto "in-quanto"? Cioè: non è ora questo stesso effetto la verità della realtà tutta?
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Ma poi (seconda risposta): è davvero così difficile prendere la cosa da tutti i lati? Prendo una biglia di vetro, e gioco. Derrida mi farà notare che la prendo in quanto biglia. Ma io dico: questo è solo il modo in cui tu intendi che io l’abbia presa, e di cui hai bisogno per distinguere i molti lati della cosa. Certo: se vuoi i molti lati della cosa, per criticare l’alienazione, devi prima mostrare l’effetto all’opera, e poi come l’alienazione consista nell’oscurare gli altri lati della cosa. Devi eseguire tutte e due le operazioni. E se invece ti porti al di qua dell’operazione stessa di identificazione, accusando l’effetto "in-quanto" in quanto tale?
Ora, Derrida penserà che così siamo catturati dal miraggio. Ma in realtà è lui che è prigioniero della intranscendibilità dell’effetto "in-quanto". E non è che così si rinuncia a criticare l’alienazione in quanto si rinuncia a mostrare gli altri lati della cosa; si afferma piuttosto la possibilità di un mondo dis-alienato (che può anche essere la possibilità di descrivere in questo modo una piccola porzione di mondo, o di vita).
Ecco tutto. Derrida pensa in fondo che la cosa
tutta sia solo un miraggio, e che sia pericoloso non vedere che è solo un miraggio, perché è pericoloso pretendere di
realizzarla, sganciando la cosa da tutti gli
in quanto che le sono agganciati sul dorso. Io penso invece che è pericoloso pretendere di realizzarla (
vedi post precedente), anche perché non c’è da sganciarla da alcunché (altrimenti non è la cosa
tutta, ma la cosa
sganciata) ma ciononostante non penso che sia un miraggio. Intendere il
possibile come un miraggio solo perché non è realizzabile è infatti dare ragione alla realtà dell’alienazione.
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Infine: la cosa tutta, se è tale, è sempre reale e mai da realizzare. È reale, ma ora non chiedetemi di identificarla. (E così si dà ragione a Macherey, che chiede di rimaterializzare Marx, dopo la dematerializzazione di Derrida. Rimaterializzarlo dopo la dematerializzazione richiede un nuovo concetto di realtà che, come si vede, non si oppone al possibile)