Archivi del giorno: giugno 14, 2009

Il sorriso della giovane cameriera

 "Nei Souvenirs di Alexis de Tocqueville si narra di una giornata del giugno 1848. Siamo all’ora della cena, in un bell’appartamento della Rive Gauche, VII Arrondissement. La famiglia Tocqueville è riunita. Nella dolce serata, tuttavia, improvvise risuonano le cannonate che la borghesia tira contro la canaglia operaia insorta – rumori lontani, dalla Rive Droite. Ma a una giovane cameriera, che serve in tavola e che arriva dal Faubourg Saint Antoine, sfugge un sorriso. Viene immediatamente licenziata. Non v’era forse, in quel sorriso, il vero spettro del comunismo? Quello che atterriva gli Zar, il papa… e il sieur di Tocqueville? Non v’era là una scintilla della goia che costituisce lo spettro della liberazione?" (Il sorriso dello spettro, in Aa. Vv., Marx & Sons. Politica, spettralità, decostruzione, Mimesis, MIlano 2008)
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"Perché la decostruzione si inceppa, subordinando la nuova fenomenologia dello spettro (che, ciononostante, ha una base ontologica produttiva e singolare) alla più antica delle ontologie reazionarie: quella teologica?"
Toni Negri su Jacques Derrida. Più precisamente: su Spettri di Marx (nel saggio citato).
Volgarizzando un po’: la fenomenologia dello spettro è la descrizione di come funziona il capitalismo moderno. Marx però poteva ancora descrivere il capitalismo moderno per smascherarne la logica, perché, a smascheramento effettuato, aveva da liberare dallo sfruttamento capitalistico il lavoro operaio: una cosa ben reale. Invece con Derrida diviene ingenuo pensare che vi sia un soggetto produttivo (reale e non spettrale) da emancipare. E così quel che rimane a Derrida (al "triste tergiversare di Derrida") non è una prassi politica ma solo un "discorso di resistenza etica" dai contorni paradossali (infinitamente altri da ogni definizione di diritto).
Invece Negri:
"Se Derrida, con zelo e intelligenza, affina le «armi della critica», gli fa tuttavia difetto l’altra spettrologia, quella organizzata dalla «critica delle armi".
Ecco il punto. Il concetto di realtà che non c’è in Derrida è quello che organizza e autorizza la critica delle armi. Se devi (come devi?), "costituire una nuova realtà", c’è poco da fare: le armi della critica non bastano.
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Ora, il Sieur di Tocqueville avrà visto lo spettro del comunismo, sul volto della giovane cameriera. Ma la giovane cameriera no: lei non l’ha visto né, soprattutto, dato a vedere. E perché lo spettro diventi reale, "nuova realtà", c’è bisogno che anche lei, che anche la cameriera voglia darlo a vedere. Ma la cameriera vuole darlo a vedere? Vorrà mai darlo a vedere? Di quale critica c’è bisogno perché voglia anche lei "costituire una nuova realtà"? Se non bastano le armi della critica per strapparla alla tavola imbandita, la critica delle armi finirà col rivolgersi anzitutto contro di lei, contro il suo volere. Perché avrà pure sorriso, ma un sorriso non basta, per "costituire una nuova realtà".
Il sorriso della cameriera sta invece tra la tavola imbandita da lei ma non per lei, e le barricate, alzate non da lei ma per lei. Forse, non vi è sorriso se non lì. Negri pensa che la prima cosa non va bene, ma la seconda sì (il Sieur di Tocqueville pensa naturalmente che la prima va bene, la seconda no). Forse Derrida è più fedele al senso di quel sorriso, che si allarga sul volto della giovane cameriera tra le due situazioni: gli va bene questo tra, più rispettoso di lei delle altre due situazioni.
Questo tra è, infatti, il senso della realtà per la decostruzione: (più di) un sorriso tra le tavole e le barricate.
(E lo sfruttamento? C’è, e come se c’è. Ma forse ci si illude se si pensa che fiorirebbero più sorrisi, se accettassimo di morire sulle barricate per rovesciare le tavole).