Socialdemocrazia e voto europeo

Non entro nel merito della riflessione sul destino delle socialdemocrazie europee che Andrea Romano ha proposto su Il Sole 24 Ore. Mi soffermo solo sull’argomento finale: nel recente voto europeo le sinistre non hanno tratto affatto vantaggio dalla crisi, dice Romano (e questo è un fatto), il che dimostra che le ricette tradizionali della socialdemocrazia non sono più credibili, almeno agli occhi dell’elettorato europeo. E questo però non è un fatto ma solo un’opinione, che peraltro ho sentito far propria anche da Biagio De Giovanni, alla recente presentazione napoletana del suo ultimo, bel libro (A destra tutta, Marsilio).
E’ un’opinione, peraltro, discutibile per la banale ragione che non mi pare affatto che le forze di sinistra si siano presentate all’elezioni sbandierando programmi di schietta impostazione socialdemocratica. Non ho il quadro complessivo delle prese di posizione dei diversi partiti aderenti (o quasi aderenti) al partito socialista europeo, ma se devo giudicare dal caso italiano, mi sembra difficile sostenere che il nostro caro partito democratico si sia presentato con un profilo tradizionalmente socialdemocratico e che sia stato perciò punito dagli elettori. Tutt’altro.
Può darsi dunque che la sinistra debba fare ancora molti passi "all’insegna di quello spirito di libertà e innovazione che ne ha segnato la sua più recente e migliore stagione", come scrive Romano, ma può darsi anche che proprio quello spirito, di cui sono impregnate le sinistre europee che hanno governato negli anni Novanta, e con le quali si sono presentate all’appuntamento elettorale, non basti più, in tempi di crisi.

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