Si dice: i partiti che in Europa appartengono al campo socialista hanno subìto con il voto di giugno una dura sconfitta. La cosa è tanto più significativa in quanto la consultazione si è tenuta in un momento di crisi: sarebbe stato perciò naturale attendersi un risultato importante per la sinistra, che poteva tornare a cavalcare le sue ricette tradizionali nelle materie economiche e sociali. E invece non è andata così. La sinistra ha perso in quasi tutta Europa, mentre il Partito popolare risulta essere di gran lunga, nel Parlamento di Strasburgo, il primo raggruppamento. Si dice così, e si conclude: dunque alle socialdemocrazie europee tocca mettersi con maggiore convinzione sulla strada dell’innovazione, della rottura col passato, dal momento che con il voto nulla o quasi del vecchio patrimonio politico e ideologico pare essersi salvato. Se poi si traduce nel linguaggio della politica italiana questo ragionamento sembra che esso conduca diritti a quello «spirito del Lingotto» che aprì due anni fa, con il discorso di Veltroni a Torino, la prima stagione del Partito democratico. A quello spirito, infatti, nonostante i suoi progetti di vita lo portassero altrove, è tornato di recente l’ex segretario, senza tuttavia spiegare quando esso sarebbe andato smarrito, visto che lui stesso, che lo ha enunciato e impersonato, ha tenuto la segreteria del Pd fino al febbraio scorso, e che a sostituirlo dopo le dimissioni, per affrontare il voto europeo, non è andato un suo acerrimo oppositore ma il vicesegretario Franceschini, che ha tuttora il suo leale e convinto sostegnoA ogni buon conto, nel discorso del Lingotto si diceva analogamente: «L’Europa è andata a destra perché la sinistra è apparsa imprigionata, salvo eccezioni, in schemi che l’hanno fatta apparire vecchia e conservatrice, ideologica e chiusa». Se questo era vero (e in realtà era solo parzialmente vero), allora la domanda, riferita all’oggi, è se il Partito socialista di Zapatero o il Partito laburista di Brown si siano presentati alle scorse elezioni di giugno ancora nella forma «ideologica e chiusa» che il discorso del Lingotto imputava loro, e se, soprattutto, hanno perso per questo. La domanda è poi, per venire all’Italia, se il partito democratico, guidato da Veltroni e Franceschini, abbia conservato, nei due anni che lo separano dal Lingotto, una tal forma «ideologica e chiusa» – e in tal caso a chi poi se ne dovrebbe imputare la responsabilità, visti i ruoli dirigenti da loro ricoperti. In realtà, si vede bene che è piuttosto il contrario. Che almeno per il caso italiano le cose sono andate diversamente. Che cioè il Pd, che nel discorso del Lingotto si presentava come un partito del tutto nuovo, come il partito del nuovo millennio, non è apparso affatto imprigionato in una forma «vecchia e conservatrice, ideologica e chiusa», perché è apparso, casomai, stentare a trovare una forma che fosse una. Sul concetto di ideologia ci sarebbe poi da intendersi. Nel linguaggio corrente, e nel discorso del Lingotto, il termine, oltre a significare qualcosa di brutto e impresentabile, indica un insieme compatto di idee, abbracciate però indipendentemente dai fatti e adoperate come chiave generale di interpretazione dei fatti stessi: qualcosa come un partito preso, insomma. Poi però uno guarda i risultati delle europee, e scopre che i due partiti usciti vincitori dalle urne, l’Idv e la Lega, sono le due formazioni a più alto tasso di «partito preso»: quelli cioè di cui si può sapere cosa pensano i loro dirigenti intorno a questo o a quello ancor prima di leggere le loro dichiarazioni – mentre al contrario, nel caso del Pd, è difficilissimo sapere in anticipo quale linea mai prenderà. Forse anche il partito tutto programmatico e anti-ideologico sin qui immaginato, nello spirito del Lingotto, ha bisogno di qualche bussola in più. Tutto questo non significa che bisogna far macchina indietro e tornare appagati ai vecchi partiti di una volta. Ma poiché alla prova del voto la sinistra europea è andata avendo già da anni mollato gli ormeggi, e abbracciato una cultura vagamente liberale, è più ragionevole indicare nella confusione ideologica (o più banalmente culturale), sin qui comportata da un generico nuovismo, la prima responsabile delle sconfitte elettorali. Dopo di che, la nuova sintesi politica resta ancora da fare, e il congresso del Pd sarà probabilmente un buon congresso se proverà a farla. Il che però significa: piantare sì nuove radici, ma evitando di carbonizzare i vecchi alberi. Anche perché, per un partito, forse non è il caso di abbracciare euforici le parole di Nietzsche: rotolare «via dal centro verso la x», e affrontare il mare incognito della modernità senza avere né fondamento né scopo.
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