Socialismo uno spettro per l'Europa

Forse il modo migliore per capire la crisi dei partiti socialisti europei, è guardare le destre al governo. In verità, la crisi parla chiaro di per sé: in Germania, l’SPD non era andata mai così male. Francia e Italia hanno già svoltato a destra, mentre in Gran Bretagna la sconfitta di Gordon Brown alle elezioni del 2010 appare nell’ordine delle cose. Resta Zapatero, il Portogallo e probabilmente la Grecia di Papandreu: un confronto con i governi della metà degli anni Novanta, quando l’Europa era per due terzi a guida socialista, dà la misura dello spostamento. Che non è solo elettorale, ma, a quanto sembra, politico e culturale. Non si tratta solo di numeri, ma di prospettive. Sul piano politico, i problemi su cui si costruisce l’agenda dei paesi europei sono l’immigrazione, la sicurezza, l’identità nazionale: su tutti, la destra sembra avere una risposta in sintonia con le preoccupazioni dell’opinione pubblica, mentre la sinistra appare ancora in cerca di parole d’ordine credibili.
Neanche la crisi economica sembra avere offerto atout alla sinistra, vuoi perché nelle sue ultime e più significative esperienze di governo (Clinton e Blair, soprattutto) si era fatta senza grandi difficoltà alfiere della globalizzazione, scoprendosi così meno pronta a comprenderne la crisi, vuoi perché prevale un’interpretazione della crisi in chiave morale: la colpa è dell’avidità della speculazione mondiale, le regole c’erano ma sono state smantellate per torbidi intrecci di interessi; ripristinandole, tutto tornerà in ordine. Ora, è chiaro che una simile interpretazione consente alla destra di avere una risposta, di tipo paternalistico, e persino di tenere un tono severo nei confronti dei ciechi meccanismi di mercato (Sarkozy e la Merkel, e da noi Tremonti, quando indossa i panni di censore della finanza cattiva).
Sul piano culturale, il campo d’osservazione dovrebbe allargarsi di molto, poiché l’impasse attuale viene da lontano: dal ’68 e dalla difficoltà di assorbirlo, a sinistra, entro l’esercizio della democrazia politica (Sarkozy ha vinto «contro il ’68»), dalla crisi del marxismo sanzionata storicamente dalla caduta del muro di Berlino (Berlusconi lucra una rendita di posizione parlando ancora oggi dei «comunisti»), dall’erosione del paradigma keynesiano e fordista (così che l’esperimento modernizzatore di Blair pare infine essersi risolto in una prosecuzione del tatcherismo con altri mezzi). Ma in breve: qual è il leader della sinistra europea che sappia o possa alzare la voce, quando pronuncia (se le pronuncia) le parole chiave della sua tradizione: uguaglianza, progresso, diritti, emancipazione, antifascismo? Non è questo il modo in cui si rende più evidente la sua afasia?
Restringiamo ora il campo di osservazione, e guardiamo nuovamente alle elezioni tedesche: la CDU della Merkel ha vinto in termini di seggi, non in termini di voto. Ad avanzare elettoralmente sono stati i liberali. L’SPD ha perso voti alla sua sinistra, dove li ha raccolti la Linke di Lafontaine, e a favore di un’astensione mai così alta in Germania. Il che significa che, a Berlino, quel che resta del modello sociale di mercato, nella cui tradizione si colloca la CDU di Angela Merkel, dovrà assorbire le robuste dosi di liberismo che proveranno a iniettargli i liberali.
Questa è però la lezione del voto, che la sinistra dovrebbe imparare. La destra vince perché riesce a tenere insieme, senza perdere credibilità, spinte diverse e persino contraddittorie. Riesce a tenere dentro di sé un’anima moderna e tecnocratica, ma ad essere anche paladina dei valori tradizionali; riesce ad apparire insieme protezionista e liberista, populista e liberale – e da noi persino secessionista e nazionalista, a seconda dei luoghi e delle circostanze.
Non è una critica, ma un elogio. In Italia e in Europa, alla sinistra sembra invece che la tentazione di andare al centro e la necessità di ricollegarsi alla sinistra radicale siano irrimediabilmente inconciliabili. I suoi dirigenti spesso parlano come se l’opera che una volta si sarebbe detta di costruzione dell’egemonia sia per principio impossibile. Partono cioè già sconfitti. Ed è forse tutto qui, il problema: che alla sinistra sembra impossibile quel che la destra, invece, riesce tranquillamente a fare. Il che dimostra, banalmente, che l’egemonia, al momento, sta da un’altra parte.
(Il Mattino)

3 risposte a “Socialismo uno spettro per l'Europa

  1. Mi crocifiggo in pubblico, grazie alla segnalazione di una gentile lettrice: “come se sia”. Non ho scusanti

  2. E’ poco che son di ritorno nell’osservar le cose della nostra Italia, ma io per me non sapea spiegarmi come fosse che l’elettore nazionalista cosi fedele alla patria una, possa avere fiducia nella coalizione che si unisce con una forza secessionista che proprio quella stessa patria vuol dividere. E cosi a vicerversa.
    Lei, illustre, mi ha acceso un lume. L’egemonia. Perche’ i degni dirigenti del Partito Democratico non sono capaci di convincere la sinistra piu’ estrema a sostenere una coalizione che comprenda lor signori del Partito Cattolico all’opposizione? E cosi gli ultimi dei primi.
    E perche’ se la destra riesce a vincolare alla responsabilita’ del governo una forza antisistema come la Lega, la sinistra non puo fare altrettanto con i Giustizialisti?

  3. il vero problema – riguardo l’ Italia – sta nel fatto che l’ Apparato non vuole capire l’enorme potenzialità del Pd : libero dalle ideologie , partito "pratico" che agisce per risolvere radicalmente le storture del sistema italiano , senza ricadere in una sterile dialettica ideologica.
    Perchè l’ Apparato non vuole capire questo ?

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