Archivi del giorno: dicembre 22, 2009

Pelle

Pezzo a pezzo, prosegue la serie di Puzzle. L’uomo a pezzi e la filosofia. Stasera (Red Tv, ore 21) tocca a La pelle.

(E siccome mi si prende in giro sull’accento napoletano, stasera leggo un pezzetto de La pelle di Curzio Malaparte, per il quale non c’è accento migliore)

Naturalismus

F.B. mi ha mandato l’articolo di Armando Massarenti (Com’è naturale la filosofia), apparso sul Sole 24 Ore di domenica scorsa, che riporta i risultati del convegno su "Linguaggio, scienza e storia. La filosofia analitica e le altre tradizioni", e io, che mi riprometto di tornare a scrivere sul blog, dal prossimo anno, comincio da qui.
L’obiettivo del convegno? Dice Massarenti: "portare come tema di discussione generale – per tutti i filosofi, indipendentemente dalle diverse correnti – un approccio finora praticato soprattutto dai filosofi analitici: il naturalismo".
Mi fermo. In quanto appartenente alle altre tradizioni, ho bisogno che il tema che mi viene portato mi venga anche definito. E così sono pronto a complicare, obiettare, eccettuare, cavillare. Ad approfittare della difficoltà di fornire una definizione non meramente stipulativa del tema, per tirare in ballo tutta la tradizione continentale del mondo.
Ma Massarenti non ha difficoltà: "Che cosa si intende per naturalismo filosofico?". A partire da Quine, si intende che tutti i problemi – quindi anche quelli relativa alla conoscenza o alla mente o al significato, vanno studiati "con lo stesso spirito delle scienze naturali".
Ma perché? Perché questo spirito dovrebbe prevalere? E la domanda circa il prevalere di questo spirito può essere anch’essa trattata e dunque avere risposta secondo questo stesso spirito? Non so.
Accantono la questione, che non mi pare di poco conto, e mi chiedo perché si debba chiamare naturalismo un approccio che si caratterizza per essere quello delle scienze naturali. Mi piacerebbe invece che si chiamasse naturalismo un approccio che si caratterizza per il fatto che comincia con una definizione di ente naturale (e forse nemmeno con una definizione), e che sostiene che non vi sono al mondo altro che enti naturali. Sarebbe più corretto, o no? E soprattutto: perché non pensare che una importante distinzione alla quale di sicuro gli analitici fan caso, quella fra ontologia ed epistemologia (fra essere e sapere), è perlomeno oscurata dalla denominazione di naturalismo per una corrente filosofica che non muove dalla natura, ma dalla natura in quanto oggetto di scienza? Cosa ha la natura per vedersi trattata anzitutto così?
Nel seguito dell’articolo qualcosa di queste preoccupazioni affiora ("Che cosa si deve intendere per «natura»? I fenomeni fisici, quelli psicologici e percettologici, o altro ancora? E che cosa si intende per «scienza»?"), ma – se capisco – in relazione al carattere più o meno liberale, cioè più o meno ampio, del naturalismo in questione, avendo cioè messo innanzi e ben stabilito che quelli fisici sono di sicuro i fenomeni naturali, e domandandosi quindi quali altri fenomeni siano ad essi riconducibili.
La qual cosa è indubbiamente sensata, interessante e molto produttiva: di quei fenomeni, infatti, c’è scienza, c’è conoscenza nel senso della scienza moderna, sicché la questione della liberalizzazione del naturalismo viene ad essere nuovamente la questione di «che cosa e quanto» possa essere studiato secondo lo spirito delle scienze naturali, immutato restando lo spirito.
Ma di nuovo: perché quello spirito? Quello spirito mi pare abbia due tratti essenziali: in primo luogo il dominio dei fenomeni, la conoscibilità nel senso della controllabilità e della riproducibilità; e in secondo luogo l’unificazione, perché non si vede per quale ragioni alcuni domini del reale dovrebbero essere eccettuati da un approccio di tipo scientifico.
Di entrambi i tratti io vedo la potenza, ma non riesco a vedere il fondamento. Il fondamento naturalistico, intendo. E soprattutto mi viene abbastanza naturale sospettare che l’obiettivo dell’unificazione ultima non solo non sia alla nostra portata, ma nemmeno possa esserlo, perché l’obiettivo suppone che la natura non sia altro che la somma dei fenomeni naturali (sia dell’ordine della cosa, e non dell’evento, direbbero gli impenitenti continentali), il che non va affatto da sé, e che nel qualificarsi come oggetto scientifico  non le accada proprio nulla.
(Io scrivo: ens qua cogitatum; ora, il cogitare sarà pure scientifico, ma resta che qua introduce un complemento di limitazione. E chissà, magari il naturalismo filosofico è precisamente quello che si occupa del complemento e della limitazione)