Archivi del mese: febbraio 2010

Eventi

Rocco Ronchi ha tenuto ieri la prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università degli Studi di L’Aquila, la prima dopo il terremoto. Ronchi parla dell’evento e della meraviglia, del reale e della catastrofe, della filosofia come scienza ‘pratica’ della verità e inizio di comunità. Che la filosofia prenda la parola sul fondamento, nella città del terremoto, sembra a me una cosa bella.

[Resumé: "Martin Heidegger faceva dell’esser sospeso dell’angoscia il fondamento comune di ogni sguardo teorico". L’evento di questa sospensione è il punto copernicano e inaugurale di ogni scienza, dice Ronchi, e con Sartre aggiunge che questo punto è ben più che una scelta di metodo: "ero brutto – scrive Sartre dei suoi esordi in filosofia -, e volevo piacere alle donne". Se si mantiene memoria di questo punto, di questa crepa o di questa angoscia, pratico-esistenziale e niente affatto astratta, si comprende come la filosofia non possa e debba essere mera sistemazione razionale ex post. E nemmeno edificazione: aveva ragione il Voltaire che parlava del terrimoto di Lisbona, e metteva alla berlina le formule edificanti della filosofia popolare.
La filosofia educa, e-duce, apre gli occhi, è sguardo inaugurale. Nel dopoguerra, le scienze dell’educazione han voluto emanciparsi dalla filosofia (in Italia: dal giogo dell’idealismo). Avevano le loro buone ragioni. Ma la tecnicizzazione senza teoria per la quale si sono incamminati in cerca di una propria autonomia metodologica ed epistemologica è buttare il bambino con l’acqua sporca. Una proposizione che non è filosofica alla sua radice, non è scienza.

La filosofia, dunque, generata nella catastrofe dell’evento, è epistrofe dello sguardo: conversione e rivoluzionamento delle pratiche abituali (di scienziati, di storici. ecc.). Ora, una catastrofe reale ha avuto luogo. Dobbiamo ricominciare. Un nuovo anno accademico ci attende. Non abbiamo più abitudini da ripetere semplicemente. Siamo costretti a porci di nuovo la domanda essenziale, che chiede quale sia il senso di essere qui e ora dinanzi agli studenti, col problema di fare fronte a nuove, enormi difficoltà.
Chi siamo noi, in quanto professori, compromessi con la verità? Il professore non è un esperto o un saggio. E’ sì titolare di una competenza, ma non è semplicemente un tecnico (e neppure un auratico maestro che dispensa verità trascedenti circa il senso ultimo dell’esistenza).
Nella società dello spettacolo la filosofia appare o degradata o fantasticata come luogo separato della società (roba da anime nelle). E la stessa distinzione fra facoltà scientifiche e umanistiche sembra cancellarla. Ma la specificità della nostra attività di ricercatori, devoti alla verità, va salvaguardata. Essa concerne il pensiero, anzi il pensare, l’atto del pensare, uno immobile intorno a cui ruota l’enciclopedia dei saperi. L’unum dell’uni-versitas.
Uno disinteressato perché il suo interesse unico è il suo stesso esercizio. Questo è poi, secondo tutta la tradizione, il bios theoretikos. E questa vita è essenzialmente libertà, perché il suo stesso evento è il farsi fenomeno della libertà. Un pensiero non libero è non pensiero.

Questo pensiero è ciò che non si muove. Ad onta di terremoti, diceva Husserl in un suo celebre manoscritto, l’arca originaria della Terra non si muove, perché solo in riferimento a lei hanno senso quiete e moto. Ora, questa Terra non è un valore o un principio posto, non è un pensato, ma il pensiero stesso. Il pensiero in quanto attività, in quanto praxis, che resiste ad ogni critica perché l’esercizio della critica lo presuppone operante.
E dunque l’Assoluto è finalmente presso di noi nella forma di un pensare che è salvo da ogni sommovimento tellurico perché è lui il cuore immobile di ogni terremoto. Il libero pensiero è il fondamento che non crolla, e su di esso è sempre possibile ricominciare a ricostruire.
Così pensava un italiano anomalo, Giacomo Leopardi: "…il pensiero solo per cui risorgemmo dalla barbarie e per cui solo crescemmo in civiltà".

L’università è stata fatta oggetto di campagne mediatiche su abusi corruzioni e nepotismo. Abbiamo il dovere di vigilare su tutto ciò. Ma forse il vero (e non confessato, e non confessabile) bersaglio di questi attacchi è il fondamento stesso dell’università, il libero pensiero. La difesa dell’università è la difesa del libero pensiero sono la stessa cosa. Chiudo con Simone Weil: non è il fascismo che soffoca il pensiero. E’ l’assenza di pensiero libero che rende possibile il fascismo].

Pd e cattolici. I pezzi perduti

L’addio di Paola Binetti non può essere salutato con soddisfazione, dentro il Pd. Sarebbe infatti ben strano quel partito che plaudisse all’abbandono di un suo esponente, a qualunque area culturale appartenga, e solo una sempre più appannata consapevolezza di cosa sia un partito può suscitare reazioni soddisfatte ad un simile annuncio. Bene ha fatto quindi Bersani ad esprimere il suo rammarico. E ancor meglio farebbe a togliere l’impressione che le sue siano state solo parole di circostanza, come ha lamentato Sergio Soave sull’Avvenire di ieri: non è sorvolando su questa decisione, come su quelle analoghe prese da Rutelli, Lusetti, Carra, che si dimostra di avere a cuore il dialogo fra laici e cattolici.
Beninteso, si farebbe un torto ai cattolici stessi se si presentasse il fatto come la dimostrazione che essi non possono stare dentro il pd. Si farebbe un torto anzitutto ai cattolici che dentro il Pd rimangono, e sono molti, certamente più di quelli che se ne vanno, e rappresentativi di tradizioni del cattolicesimo politico italiano per nulla marginali. Ma il torto lo si farebbe anche a quelli che se ne vanno, perché la gara a chi è più inflessibilmente coerente con i propri valori “non negoziabili”, e che perciò, in un empito di autenticità, lascia il Pd, reca danno anzitutto all’espressione plurale, varia e articolata dei cattolici in politica. E in realtà non conviene nemmeno alla complexio oppositorum, che pertiene alla forma stessa della Chiesa cattolica, selezionare cattolici esemplari, con la denominazione controllata all’origine, in cerca di una rappresentazione pubblica dei propri valori la più rigorosa possibile: il rischio di rimanere solo con un pugno di perfetti ma solitari cavalieri della fede sarebbe assai alto. D’altronde, l’integrità che costoro dimostrerebbero, nel non piegare mai la propria coscienza religiosa alle richieste del mondo (e della propria parte politica) è forse moralmente apprezzabile, ma politicamente si traduce in integralismo. E se nella tradizione politica italiana, in cui pure vi sono molti difetti, uno per fortuna non c’è, è proprio quello di dare spazio a manifestazioni di integralismo religioso. In questo campo, meglio non innovare.
Il caso Binetti merita perciò una riflessione sia in uscita che in entrata .
In entrata, e cioè da parte dell’Udc. Tocca a Casini domandarsi se l’Italia abbia bisogno di un centro, o proprio di un centro cattolico con l’imprimatur. L’Udc ha un chiaro obiettivo strategico nella disarticolazione dell’attuale sistema maggioritario, ma la domanda è se a questo obiettivo si avvicina o si allontana di più a seconda che l’Udc diventi o meno il partito dei cattolici con la ceralacca. E probabilmente la risposta è che si allontana, accentuando il tratto culturale identitario invece del tratto più robustamente storico-politico, che si lega al modo determinato in cui leggere la storia d’Italia degli ultimi vent’anni: come un depauperamento complessivo delle risorse politiche del paese, piuttosto che come perdita di centralità dei cattolici. Ma più in generale, non ha scritto Buttiglione che con il Concilio si è affermata per i cattolici "la cultura della mediazione e la fine dell’intransigentismo"? E non occorre tener ferma questa cultura, invece di costruire bastioni in senso contrario?
In uscita, e cioè da parte del Pd. C’è un buon modello di laicità, costruito da pensatori come l’americano John Rawls, che consiste non nel mettere in guardia dalle opinioni religiose in quanto religiose, ma dalle opinioni, religiose o no che siano, quando non siano sostenute secondo i criteri moderni dell’uso pubblico, cioè universale, della ragione. Dopodiché è evidente che non tutti i conflitti si dirimono con le sobrie precauzioni di metodo. Sono a tutti presenti questioni valoriali ultime che sembrano per principio incomponibili. Ma anche nel centrodestra vi sono forti differenziazioni su questi punti: basti pensare ai diversi accenti con cui Fini e Berlusconi hanno ricordato in questi giorni il caso Englaro. Il che dimostra che il vero compito di un partito non è quello di ottenere prioritaria purezza ideologica e compattezza assoluta su tali vicende, ma dispiegare la propria azione politica su altri fronti, proposti come preminenti rispetto all’interesse generale del paese. Ciò non significa fare orecchie da mercante sui temi eticamente sensibili, ma fare in modo che le questioni ultime diventino, almeno in politica, questioni penultime, e che altre risultino, nella formazione di una parte politica, davvero dirimenti.
A ben vedere, è questa la prestazione che la politica, in generale, ha assicurato nella modernità, mettendo così fine alle guerre di religione. Di cui nessuno sente la nostalgia, neppure nella forma blanda della Binetti di là e tutti gli altri di qua.

Il problema è politico

Che curioso editoriale, quello di Galli della Loggia sulla corruzione. Dove si spiega che hai voglia a dire che il problema è politico, come se "la sfera della politica fosse malata e il resto della società sana". La corruzione è in realtà un fenomeno radicato "nella storia profonda" del Paese.

E chi può negarlo? Sono totalmente d’accordo. Ma domando: i fenomeni storici di lunga durata li consideriamo immodificabili, o proviamo a modificarli almeno un po’? In tal caso, chi si occupa di fare la storia di un Paese? Non è forse anzitutto la politica?
Il problema, dunque, è politico: non nel senso che solo la classe politica è corrotta, che solo la classe politica (la casta! la casta!) è il problema – questa è un’enorme fesseria – ma nel senso che tocca anzitutto alla politica porsi il problema nella sua dimensione ‘profonda’, ‘storica’ che Galli della Loggia segnala. Sicché tutti gli argomenti da lui portati, se non sono una resa incondizionata al fatalismo, e una malattia della coscienza storica, ma vogliono essere utili per la vita del Paese, sono buoni per concludere che il problema, ebbene sì, è politico.

Anno accademico

de lucaIl frontespizio della tesi du laurea discussa a Salerno dall’attuale candidato alla carica di governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Il quale al Corriere della Sera di oggi avrebbe dichiarato, il condizionale è d’obbligo: "Io sono il rappresentante della destra europea".

(De Luca dice anche che del PCi il peggio era la doppiezza, che Berlusconi non avrebbe – qui il condizionale è d’obbligo per me. Se è così, se De Luca disprezza la doppiezza, forse quest’affermazione del candidato del Pd merita qualche chiarimento).

A livello di internet

Franco il macellaio: – Professo’, ma ieri vi ho visto in televisione? –
Io: – Non lo so…-
Franco il macellaio:  – Sì, eravate voi. Ma voi facite i programmi sul digitale? -.
io: – Sono repliche di un programma che ho fatto…-.
Franco il macellaio: – E che programma è? Non ho capito, ci stavate voi, e poi? –
Io: – E’ un programma sull’uomo. Ogni puntata è dedicata a una parte del suo corpo: mani piedi…
Franco il macellaio: – Ah, ho capito: a livello ‘e corpo umano? -:
Io: – Sì, a quel livello là -.

(Il titolo si spiega qua)

Insomma

Negli ultimi tre giorni ho postato su facebook, friendfeed, e buzz:
una citazione dello scacchista S. Tartakower, un link a Dionne Warwick, La voce del silenzio, una citazione di Hegel (Ich Bin der Kampf), un paio di ombelicali frasette sul mio stato di salute e sul mio stato d’animo, una piccola serie di foto di Renata Enrico e Mauro, una citazione di Costanzo Preve sul conto di Hannah Arendt (una professoressa di scuola media) e relativo link alla discussione in cui la citazione è inserita (fra Preve e Losurdo).
Nei commenti su Fb si trovano anche, in mezzo a poche altre cose, una citazione di Schopenhauer sul gioco degli scacchi, il link alla peggiore versione che sia mai stata realizzata de La voce del silenzio (Loretta Goggi), un attestato di solidarietà a Luca Sgroia, giovane dirigente del PD attaccato in modo vergognoso, oltre che infondato, da Marco Travaglio al solo scopo di trovare una chiusa al suo editoriale contro De Luca.

Insomma, di cose per far campare questo blog ce n’erano. Però qui è come se mi sentissi in dovere di spiegare, per ogni link e ogni citazione il perché e il percome, mentre nei social network a componente di cazzeggio elevata non avverto la stessa necessità, e faccio prima.

Pd-Di Pietro la strategia da ritrovare

"Dobbiamo ripulire la piazza per fare il bene della democrazia", ha detto Di Pietro concludendo il congresso dell’Italia dei Valori. Ha anche garantito che l’Idv non intende fare la rivoluzione – quella vera, quella con le armi – ed è una precisazione che rassicura tutti. Resta però il fatto che la politica annunciata è quella del repulisti. La prosecuzione di Mani Pulite con altri mezzi. Il che significa che c’è un partito, in Italia, che ritiene che quella stagione non sia ancora chiusa, e che c’è ancora da mandare a casa un bel po’ di classe dirigente del paese, prima che l’aria torni pulita.
È naturalmente, come tutte, un’opinione legittima. È anche probabile che raccolga umori presenti nell’elettorato, e che possa mietere consensi alle prossime elezioni. Il punto è che però sulla base di una simile opinione non si costruisce un sistema politico stabile. Una linea del genere è anzi in espressa contraddizione con l’idea che vi siano le condizioni per costruire, perché invece si tratta di demolire (far piazza pulita, appunto). Ora, poiché per Di Pietro l’opera sarà completata solo con la fine del berlusconismo, è evidente che l’intesa con il Pd sulla linea dell’opposizione dura al governo non presenta per lui alcuna difficoltà. Di Pietro non deve spiegare nulla ai suoi elettori che non sia già chiaro. Diverso è invece il caso di Bersani. Il quale è stato eletto segretario del Pd col mandato di individuare le linee di un programma alternativo a quello del centrodestra, ma anche di favorire la ridefinizione del sistema istituzionale intorno ad una rinnovata centralità dei partiti (secondo il dettato della Costituzione, peraltro). Ma l’abbraccio, fisico e simbolico, delle ragioni dell’Idv rende assai meno chiaro in che modo, in mezzo ai venti ancora forti dell’antipolitica, Bersani pensi di confermare un simile mandato.
Due sono le trasformazioni che, da vent’anni a questa parte, interessano i partiti italiani. La prima è la personalizzazione: i partiti si identificano sempre più con i loro leader. Che sia un male oppure un bene, è sicuramente un fatto, per giunta in linea con quel che accade negli altri paesi europei. E contro i fatti è inutile sbattere la testa. Quel che però si può fare, è attrezzare un partito perché abbia durata più lunga di quella dei suoi leader.
Ma qui interviene l’altra trasformazione, che è una peculiarità tutta italiana, la quale fa sì che, nel paese in cui la politica si infila dappertutto, i partiti abbiano vita terribilmente breve, e nascano quasi soltanto per scomparire. Il fenomeno è meno evidente nel centrodestra, grazie a Silvio Berlusconi, ma anche lì non sono poche le formazioni messe in campo prima di arrivare all’attuale PdL, e ancora in molti pensano che senza Berlusconi tutto si rimescolerebbe. Quanto al centrosinistra, la vita media dei partiti si è abbassata bruscamente, dopo Tangentopoli. Orbene, il partito democratico è nato proprio per invertire questa tendenza, ed anche al centro, dove le sigle si sono finora sprecate (Udeur, Ccd, Cdu, Udr, Cdr, per ricordarne alcune) la presenza dell’Udc si lega oggi ad un tentativo analogo. È un fatto però anche questo, che siffatti tentativi legano assai poco con la cultura politica dell’Idv, il cui giustizialismo ha anzi l’effetto non secondario di renderli vani.
Ora, a marzo si vota alle regionali. Le elezioni avranno un significato politico nazionale. Il centrodestra, male che vada, guadagnerà qualche regione: a mettere davvero in crisi i suoi equilibri sarà probabilmente un largo successo della Lega, più che non un risultato al di sotto delle aspettative. Nel centrosinistra c’è invece il rischio che la tattica offuschi la strategia. Bersani sembra infatti aver rinunciato a spiegare agli elettori quale disegno porti avanti, col risultato che le vittorie che potranno eventualmente fare la differenza, cioè il Lazio e la Puglia, non potranno avere il significato di una conferma piena della giusta direzione imboccata.
In Campania può accadere la stessa cosa. La candidatura di De Luca ha mostrato che c’è sempre un puro più puro di te che, se non ti epura, pensa però che prima o poi verrà la tua ora, come oggi pensano di Di Pietro i Travaglio e i de Magistris che di De Luca non vogliono sentir parlare. Ma anche in quel caso, perché una vittoria finora insperata possa arridere non solo al sindaco di Salerno ma pure al Pd, occorrerà che De Luca metta la sua indubbia forza personale al servizio di un progetto più ampio, e parli un linguaggio concreto, fattivo e determinato quanto vuole, ma con sapori diversi da quelli che – sembra un paradosso ma non lo è – hanno scatenato la plateale ovazione dell’Idv.

Un diamante è per sempre

Alessandria.
I carabinieri hanno identificato i falsi finanzieri che il 26 giugno 2009 rapinarono diamanti per un milione di euro in una nota ditta valenzana, e i basisti. Su ordinanza di custodia del gip ieri mattina sono scattati gli arresti nel casalese e in provincia di Torino. Cinque le persone coinvolte: Giovanni Fasolo, 44 anni, contitolare di un laboratorio orafo di Pomaro; Claudio Coppo, 55, commerciante di auto domiciliato a Camino; Massimo Adinolfi, 42, commerciante in alimentari di Venaria Reale (…).

I particolari in cronaca