Rocco Ronchi ha tenuto ieri la prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università degli Studi di L’Aquila, la prima dopo il terremoto. Ronchi parla dell’evento e della meraviglia, del reale e della catastrofe, della filosofia come scienza ‘pratica’ della verità e inizio di comunità. Che la filosofia prenda la parola sul fondamento, nella città del terremoto, sembra a me una cosa bella.
[Resumé: "Martin Heidegger faceva dell’esser sospeso dell’angoscia il fondamento comune di ogni sguardo teorico". L’evento di questa sospensione è il punto copernicano e inaugurale di ogni scienza, dice Ronchi, e con Sartre aggiunge che questo punto è ben più che una scelta di metodo: "ero brutto – scrive Sartre dei suoi esordi in filosofia -, e volevo piacere alle donne". Se si mantiene memoria di questo punto, di questa crepa o di questa angoscia, pratico-esistenziale e niente affatto astratta, si comprende come la filosofia non possa e debba essere mera sistemazione razionale ex post. E nemmeno edificazione: aveva ragione il Voltaire che parlava del terrimoto di Lisbona, e metteva alla berlina le formule edificanti della filosofia popolare.
La filosofia educa, e-duce, apre gli occhi, è sguardo inaugurale. Nel dopoguerra, le scienze dell’educazione han voluto emanciparsi dalla filosofia (in Italia: dal giogo dell’idealismo). Avevano le loro buone ragioni. Ma la tecnicizzazione senza teoria per la quale si sono incamminati in cerca di una propria autonomia metodologica ed epistemologica è buttare il bambino con l’acqua sporca. Una proposizione che non è filosofica alla sua radice, non è scienza.
La filosofia, dunque, generata nella catastrofe dell’evento, è epistrofe dello sguardo: conversione e rivoluzionamento delle pratiche abituali (di scienziati, di storici. ecc.). Ora, una catastrofe reale ha avuto luogo. Dobbiamo ricominciare. Un nuovo anno accademico ci attende. Non abbiamo più abitudini da ripetere semplicemente. Siamo costretti a porci di nuovo la domanda essenziale, che chiede quale sia il senso di essere qui e ora dinanzi agli studenti, col problema di fare fronte a nuove, enormi difficoltà.
Chi siamo noi, in quanto professori, compromessi con la verità? Il professore non è un esperto o un saggio. E’ sì titolare di una competenza, ma non è semplicemente un tecnico (e neppure un auratico maestro che dispensa verità trascedenti circa il senso ultimo dell’esistenza).
Nella società dello spettacolo la filosofia appare o degradata o fantasticata come luogo separato della società (roba da anime nelle). E la stessa distinzione fra facoltà scientifiche e umanistiche sembra cancellarla. Ma la specificità della nostra attività di ricercatori, devoti alla verità, va salvaguardata. Essa concerne il pensiero, anzi il pensare, l’atto del pensare, uno immobile intorno a cui ruota l’enciclopedia dei saperi. L’unum dell’uni-versitas.
Uno disinteressato perché il suo interesse unico è il suo stesso esercizio. Questo è poi, secondo tutta la tradizione, il bios theoretikos. E questa vita è essenzialmente libertà, perché il suo stesso evento è il farsi fenomeno della libertà. Un pensiero non libero è non pensiero.
Questo pensiero è ciò che non si muove. Ad onta di terremoti, diceva Husserl in un suo celebre manoscritto, l’arca originaria della Terra non si muove, perché solo in riferimento a lei hanno senso quiete e moto. Ora, questa Terra non è un valore o un principio posto, non è un pensato, ma il pensiero stesso. Il pensiero in quanto attività, in quanto praxis, che resiste ad ogni critica perché l’esercizio della critica lo presuppone operante.
E dunque l’Assoluto è finalmente presso di noi nella forma di un pensare che è salvo da ogni sommovimento tellurico perché è lui il cuore immobile di ogni terremoto. Il libero pensiero è il fondamento che non crolla, e su di esso è sempre possibile ricominciare a ricostruire.
Così pensava un italiano anomalo, Giacomo Leopardi: "…il pensiero solo per cui risorgemmo dalla barbarie e per cui solo crescemmo in civiltà".
L’università è stata fatta oggetto di campagne mediatiche su abusi corruzioni e nepotismo. Abbiamo il dovere di vigilare su tutto ciò. Ma forse il vero (e non confessato, e non confessabile) bersaglio di questi attacchi è il fondamento stesso dell’università, il libero pensiero. La difesa dell’università è la difesa del libero pensiero sono la stessa cosa. Chiudo con Simone Weil: non è il fascismo che soffoca il pensiero. E’ l’assenza di pensiero libero che rende possibile il fascismo].