C’è una cosa che il partito democratico dovrebbe mettersi bene in testa, ed è che di qui alle elezioni politiche generali mancano la bellezza di tre anni. E i tempi, in politica, sono tutto. Sono il metronomo dell’azione, il ritmo che ne scandisce il passo. In cerca di profili più o meno riformistici, il partito democratico ha finora trascurato di darsi idee e programmi e uomini in ragione dei cicli elettorali che doveva affrontare. Questa negligenza, ancor più che la mancata definizione di una propria identità, è forse il suo vero peccato originale, che sconta ancora adesso, nei risultati di domenica.
Alla sua nascita, il partito democratico ha impresso con Veltroni una forte accelerazione alla crisi del centrosinistra: che abbia o no provocato la fine del governo Prodi, è un fatto che dal battesimo iniziale del partito alla prova delle elezioni passarono, nel 2008, pochi mesi. Troppo pochi per chi voleva, allora, ricominciare daccapo e fare un partito tutto nuovo. È poi stata la volta di Franceschini, alla guida del Pd fino al congresso, ma in sostanza quasi sbalzato di sella già con le europee del 2009, cioè solo pochi mesi dopo la sua nomina a segretario. Anche in quel caso, il progetto e i tempi di realizzazione non erano accordati fra di loro. Ora è la volta di Bersani: per il momento è solo la figlia di Veltroni, su Facebook, che si domanda con candore se non si debba dimettere qualche dirigente del Pd, visto il voto, ma può darsi che prima o poi si facciano vive anche anime meno candide e molto più determinate nel chiedere al segretario di farsi da parte. Hegel la chiamava "furia del dileguare", e la considerava una malattia tipica di quel democraticismo astratto, incapace di produrre alcuna opera positiva, che risultava paradossalmente non da poca ma da troppa, moralistica virtù. I tempi stretti con cui finora si sono succedute le stagioni dei segretari del Pd sembrano suggerire una diagnosi del genere: il partito democratico non riesce a non essere troppo esigente con se stesso, e trova sempre, sui giornali o in qualche outsider balzato agli onori della cronaca, un fustigatore sin troppo severo delle sue incertezze, delle sue ambiguità, delle sue mediazioni. Che si tratti di Luttazzi nei teatri o di Grillo nelle piazze, dell’IdV in parlamento o di Santoro in televisione, la richiesta non manca mai di essere elevata. Da ultimo, sembra ora che Nichi Vendola sia intenzionato a rivolgere alle formazioni che lo hanno sostenuto un invito di questo tenore: scioglietevi, sciogliete i partiti che ormai sono roba vecchia, e ricominciate, ricominciate un’altra volta, un’altra volta tutto daccapo. Non il vento del cambiamento, che richiede pazienti tessiture, ma la furia del dileguare torna a soffiare con forza. Prima si gonfiava solo con le intemerate di Di Pietro; a queste elezioni sembra farsi forte anche dei risultati di Grillo e del carisma movimentista del governatore pugliese, che non avendo un partito vero dietro di sé ha tutte le ragioni di questo mondo per desiderare di fare piazza pulita degli altri. L’intenzione dei 49 senatori che ieri hanno scritto a Bersani sarà forse diversa, ma intanto pure loro non dicono altro: «Bisogna cambiare passo, bisogna muoversi subito». Si tratta sempre della medesima furia. I senatori parlano, come veri rivoluzionari, di «imborghesimento» e scrivono pure che «le liturgie della casa sono stantie». Non si rendono conto che la Lega, il partito che ha vinto le elezioni, si è permesso il lusso di inventarne davvero una, quella dell’ampolla del Po, e di ripeterla uguale ormai da almeno un decennio. Sono tempi che il Pd dovrebbe sapersi dare, perché non è che la politica estera, la politica economica o le riforme istituzionali si facciano ogni sera, di bel nuovo, all’ora del telegiornale. Quando si dice basta al teatrino della politica è perché bisognerebbe riempirlo di scelte strategiche su questi terreni, capaci, nel caso del Pd, di dargli la forza e la credibilità di un vero partito, interprete dell’interesse nazionale. A Bersani bisognerebbe chiedere solo questo: non di cambiare genericamente quel che non va, ma di mandare avanti qualcosa che duri. L’analisi delle regionali non dà indicazioni determinate. Non si può dire infatti né che il Pd vada meglio con l’Udc, né che vada peggio. Né che faccia bene a imbarcare la sinistra radicale, né che faccia male. I dati non sono un’opinione solo se si evita di piegarli a beneficio di una tesi precostituita. È abbastanza evidente, infatti, che essi non indicano una linea che non sia responsabilità di Bersani e della dirigenza del Pd tracciare. Non gliela dettano: non gli danno certo un risultato che gonfi le vele del partito e lo porti in carrozza fino al 2013, ma non lo deprimono abbastanza da imporre l’ennesimo nuovo inizio. Gli chiedono invece di placare la furia del dileguare e di fare davvero politica. A tutto campo.
a tutto campo? con chi? con d'alema, franceschini, fioroni, la bindi, soro&soru, chiamparino, fassino…vi bastano? roba vecchia lo dice un iscritto al PD pensate un pò! aspettiamo svolte coraggiose con animi coraggiosi, con volti nuovi e idee chiare e coraggiose, alternative a quel troiaio che c'è dall'altra parte.
anima bella sarai tu
quello che è successo in puglia(dai dibattiti che hanno preceduto le primarie fino alle elezioni) spiega in maniera limpida e chiara,direi esemplare, perchè il principale partito di centrosinistra fallisce da un po' di tempo:è sordo, tiepido e incoerente.
vendola non avrà un partito ma di certo ha qualcosa che manca l pd: cioè un immaginario – che sembra radicale solo a chi pensa da democristiano. vendola ha capito che la politica deve seguire la struttura comunicativa della società perché è questa che forma il principio di relazione tra gli individui i quali non tollerano che chi a sinistra dovrebbe tutelare l'egualitarismo (non solo di matrice economica!) poi si chiuda in una sorta di verticalismo leninista. ma si sa il lupo perde il pelo ma non il vizio. e la militanza nel pci senza le dovute letture eretiche può causare seri cortocircuiti affettivi e cognitivi. 56 68 79 non sono numeri del lotto da giocare!la lega con le sue strutture di partito ha funzionato, ma non meno delle fabbriche di nichi se pesiamo i rispettivi tempi di vita. e poi la destra è normale che tenda a verticalizzarsi.. ricordate mcluhan?? il medium è il messaggio. e da un partito di vertici non potrà che nascere una società similare. dispiacerà tutto ciò ai leghisti? e alla sinistra? non si tratta di volere tutto subito ma di creare un orizzonte mitico, magari lontano ma desiderabile e credibile. io sono giovane e non mai creduto nella rivoluzione e non ci credo tutt'ora. ma chi ci ha creduto sembra non riuscire più a sperare un benché minimo salto qualitativo. tornando alla sostanza: non dileguate! meglio un io ebete che la schizofrenia. ma un po' di critica seria, se siete ancora in grado di farla, vi prego.ps al posto di leggere quel sintetizzatore ossesionato dal negativo di hegel. perché non leggete meglio spinoza.