Archivi del mese: Maggio 2010

Veltroni e il complesso di Robertino

Se c’è una cosa che bisogna usare con precauzione, è il principio di precauzione. L’uso incontrollato produce infatti seri danni collaterali. È così nella vita privata ed è così nella vita pubblica. Per la prima, chiunque abbia ad esempio una moglie troppo premurosa, maledettamente ansiosa, sa di cosa parlo. Tuo figlio vuol tornare da solo a casa, all’uscita da scuola? Basta che nella mente del coniuge si affacci la mera possibilità che lungo il percorso si appostino ladri, assassini e in generale brutte compagnie, per escludere che gli si possa dare il permesso. Naturalmente tutto ciò è molto improbabile, ma cosa vuoi che sia una probabilità più o meno grande a fronte di così gravi pericoli? Ci vuole accortezza. La prudenza non è mai troppa…

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Garantismo

L’essere è, e non può non essere. Come se ci fosse bisogno, per l’innocente, di dimostrare la sua non colpevolezza.

Nell'opposizione l'ora del dilemma

"Primum vivere, deinde philosophari", ha detto il ministro Tremonti, nel presentare la manovra finanziaria approvata dal Consiglio dei ministri. Si tratta dunque di sopravvivere, poi di far filosofia. E poiché far filosofia significa discutere, cioè parlamentare, a prenderla alla lettera quella proposizione dice niente di meno che, in una così grave condizione del paese, al Parlamento resta poco o nulla da fare. Non c’è dubbio infatti che, come tutti (o quasi) gli analisti hanno osservato, dai cieli azzurrini e dai miracoli della prima stagione berlusconiana, alle rassicurazioni dispensate a piene mani al principio di questa legislatura, fino alle brute questioni di sopravvivenza sollevate ieri dal ministro dell’Economia, qualcosa è drasticamente cambiato. E non c’è neppure bisogno di aggiungere che ci troviamo dinanzi ad un "tornante storico": numeri e cifre, indici di borsa e quotazioni della moneta, debiti pubblici e tassi di disoccupazione nell’area Euro parlano chiaro.
Resta però il fatto che il Parlamento è il luogo proprio e anzi esclusivo delle assunzioni di responsabilità dinanzi al paese, il che significa che nel caso delle comunità politiche democraticamente organizzate l’adagio citato da Tremonti, propriamente parlando, non vale: in democrazia, discutere, parlamentare, "far filosofia", è puramente e semplicemente vivere.
Orbene, in parlamento siede anche chi non è al governo, e cioè l’opposizione. E’ con l’opposizione, dunque, che si discute. Ma la condizione prima per discutere è per l’appunto quella di offrire al dibattito la possibilità di decidere insieme del "vivere", altrimenti la discussione è, molto banalmente, priva di oggetto. D’altra parte, la condizione che l’opposizione deve soddisfare è dimostrare che non intende discutere tanto per discutere, o peggio ancora rifiutarsi a priori di discutere per apparire più ferma e intransigente nella critica (essendo in realtà timorosa di non saperla a propria volta affrontare): le tocca invece di entrare nel merito, raccogliere la sfida e badare al vantaggio del paese più che a quello proprio.
Dopodiché le strade appaiono politicamente abbastanza ben tracciate. Quanto più si accentua la difficoltà del passaggio, quanto più si sottolinea la necessità che il paese affronti unito il peso dei sacrifici che dovrà compiere (come ha ricordato il Presidente Napolitano), quanto più si invita l’opposizione ad avere un atteggiamento non pregiudizialmente ostile, tanto più bisognerà che prenda corpo la possibilità di uno scenario politico diverso da quello attuale. Allo stesso modo, quanto più l’opposizione dimostrerà di sapersi accollare responsabilità, quanto più accetterà il terreno del confronto, tanto più dovrà segnare nel merito delle misure e delle proposte concrete le proprie ragioni politiche, invece di cercarle in sterili contrapposizioni di principio. Questo non toglie nulla alla distinzione di ruoli di maggioranza ed opposizione. Ma toglie qualcosa alla praticabilità di uno scontro politico condotto solo con le armi della propaganda: a tinte azzurre o a tinte fosche che siano.
Quel che però appare ben tracciato spesso non si rivela altrettanto facilmente praticabile, per colpa di quello che rimane inevitabilmente sotto traccia. La ragione è semplice: la strettoia non è tale solo per il paese nel suo insieme, ma anche per ciascuno degli schieramenti, che forse non può superarla senza mutare almeno un poco la sua fisionomia. Basti vedere quel che accade nella maggioranza, dove non sarà priva di conseguenze l’attenzione che Tremonti, nel disegnare le misure della sua manovra, ha riservato all’alleato leghista, cercando di urtarne il meno possibile la suscettibilità: cioè, poi, l’elettorato. Ma vale anche per l’opposizione: alla quale tocca anzitutto di esigere con ogni energia equità nelle misure da adottare, che allo stato paiono gravare troppo sul lavoro dipendente e sulla parte debole del paese, ma tocca anche guardare alla possibilità di acuire, proprio grazie al confronto di merito, le possibili tensioni all’interno della maggioranza, cosa che un’opposizione dura e pura, "senza se e senza ma", non può certo riuscire a fare. Col che appunto correrà il rischio che da sempre corrono le posizioni più raziocinanti: di apparire viziate da inconcludente tatticismo. Forse è un rischio al quale l’opposizione deve, a questo punto della legislatura, esporsi: qualcuno dirà che in questo modo si sarà messa ancora una volta a far della filosofia, smettendo di esistere come opposizione, mentre in realtà potrà forse ritrovare, proprio per questa via, le ragioni più vere del fare opposizione, e una nuova vita politica.

Cundariano

Se Cundari deve essere, qualunque cosa scriva, un "dalemiano", io potrò ben essere un "cundariano"? Penso di sì, e allora vi linko senza vergogna questo post (tutto il resto del dibattito con Alessandro Gilioli e Gian Antonio Stella è facilmente reperibile a partire dal suo blog).

 

Calzini bucati

Chi vorrà leggersi l’articolo di Emanuele Severino per intero può trovarlo qui. Non è che contenga nulla di nuovo quanto alle modalità del suo confronto con la scienza, ma il passaggio che qui riporto merita:

"Dice dunque Russell: «Può anche darsi che abbiamo cominciato tutti ad esistere cinque minuti fa, completi di ricordi preconfezionati, calzini bucati e capelli incolti». A parte lo stile di molti filosofi anglosassoni, che preferiscono parlare di calzini bucati piuttosto che della Passione secondo San Matteo di Bach e, questo, per far sapere che l’esistenza non è da prendere troppo sul serio—a parte cioè il senso che all’esistenza viene conferito dall’intero pensiero occidentale, che la ritiene caduca e preda del nulla (dunque degna di esser cominciata cinque minuti fa) anche quando e appunto perché la si pensa nelle mani di Dio—…"

Credo che Severino si sia sentito dare del trombonesco più di una volta, e questo sassolino dalla scarpa ha fatto bene a toglierselo.

 

Quel che una persona intelligente non può davvero pensare

"E siccome per quello che ti ho conosciuto mi sei sembrato una persona intelligente, sono convinto che in fondo alla tua anima nemmeno tu possa davvero pensarlo".
 
Nella discussione fra Francesco Cundari e Alessandro Gilioli, questa proposizione del secondo all’indirizzo del primo è quella che mi ha colpito di più. Quello che una persona intelligente non può davvero pensare secondo Gilioli (che è persona indubbiamente intelligente) è questo:
" … che questo paese sarebbe più civile e migliore se ai mascalzoni che ridevano del terremoto fosse stata garantita ‘la riservatezza’ ".
Una persona davvero intelligente non può pensare quello che Gilioli non può pensare. Dopo tutto, è un criterio.
Ora però: perché una persona intelligente non può davvero pensare una cosa del genere? Perché una persona intelligente non può davvero pensare che un diritto fondamentale (tale è la riservatezza di cui parla Gilioli) non può essere sacrificato solo all’esigenza di sapere qual genere di persone abiette viva a questo mondo? Faccio presente che Gilioli scrive la proposizione in questione a proposito della conoscenza, tramite pubblicazione dell’intercettazione, di parole moralmente riprovevoli pronunciate in una conversazione privata (gli imprenditori che ridono in occasione del terremoto pensando agli affari che faranno): perché una persona intelligente non può davvero pensare che un comportamento privato, moralmente riprovevole, abbia tutto il diritto di rimanere privato?
A costo di apparire non intelligente agli occhi di Gilioli (o forse peggio: complice delle abiezioni altrui) dirò: non mi è chiaro, non mi è affatto chiaro. (Però io ufficialmente sono dalemiano, e questo deve ottenbrarmi la mente).
Non voglio aggiungere altro; mi piacerebbe però invitare in conclusione Gilioli a riflettere su cosa significhi dire a un interlocutore che lui non può davvero pensare quello che pensa. Oppure, Dio non voglia!, Gilioli, che è persona intelligente, non ha, lui, pensato per davvero a quello che ha scritto?

La cellula e i suoi proprietari

Creazione della vita artificiale, si dice. Ma, si obietta, non è affatto creazione e non è neppure vita. Non è creazione, perché la creazione procede ex nihilo, mentre nel caso del Mycoplasma mycoides JCVI-syn 1.0 c‘è del materiale di partenza: i composti chimici necessari per sintetizzare le molecole; e non è neppure vita, perché la vita consiste in molto più che non il suo motore. Quel che si sarebbe infatti ottenuto nel laboratorio di Craig Venter è solo la sostituzione del motore principale di una cellula (il suo Dna) con un motore del tutto artificiale, ma la vita non si risolve nel funzionamento del motore…

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Vincenzo Vitiello

«Dobbiamo renderci conto che siamo circondati da enigmi». In uno dei suoi ultimi libri, I tempi della poesia. Ieri/Oggi (2007), Vincenzo Vitiello ricorda le parole con cui Arnold Schönberg si rivolgeva a Wassily Kandinsky per apprendere con lui ad avvicinarsi, non più che avvicinarsi, all’«inattingibile». C’è da domandarsi quali e quanti di questi enigmi saranno accostati domani, nell’incontro con Cacciari, Cantillo, De Giovanni ed Esposito che si terrà al SUM per i 75 anni del filosofo napoletano. Una cosa comunque è certa, che quel che accadrà non porterà, in ogni caso, allo scioglimento di alcun enigma. Schönberg proseguiva infatti così: «Dobbiamo avere il coraggio di affrontarli senza chiedere vilmente di avere una soluzione».
C’è molto del filosofare di Enzo Vitiello in queste parole: invece di precipitarsi verso la soluzione, approfondire radicalmente la domanda, fino a precipitarla nell’aporia. Al tempo in cui, dopo un lungo attraversamento dell’idealismo tedesco fino a Heidegger, Vitiello pubblicò Topologia del moderno, nel 1992, l’intento più visibile era quello di condurre una rivisitazione della modernità col dichiarato proposito di respingere ogni interpretazione di carattere storicistico. Ma di sotto all’intenzione dichiarata stava il tentativo di determinare il luogo paradossale in cui si esercita il pensiero: fra fiume e roccia, per dirla con il poeta Rilke, o fra cielo e terra, per dirla con il filosofo Kant, e insomma fra gli arcani di un’antica sapienza poetica e il gran rumore del mondo, con la sua infaticabile prosa. Il nome per quel luogo sottile e inospitale era allora contradictio contradictionis: non quindi un luogo in cui riposare, in cui trovino soluzioni i dilemmi eterni di Dio e dell’uomo, ma il luogo della massima inquietudine. Per una certa tradizione hegelo-marxiana, assai viva e presente anche nella cultura filosofica napoletana, ogni epoca storica pone soltanto i problemi che può risolvere; per Vitiello, in contra-dizione col proprio tempo, si tratta invece di avventarsi solo sui problemi per i quali non c’è soluzione possibile.
Da quel libro decisivo ad oggi, la ricerca di Vitiello ha preso due direzioni: quella estetica, con un costante confronto con i linguaggi dell’arte, e quella teologica, con un’intransigente ermeneutica della parola di Dio. In un caso, allo scopo di mostrare quanto avanzata sia, in campo artistico, la forza di contestazione delle forme istituzionali dell’arte; nell’altro, per sommuovere l’intera biblioteca teologica dell’Occidente, da Paolo a Karl Barth, e giungere sino alle soglie di un Dio almeno possibile. In tutti e due i casi, con l’intento dichiarato di mettere radicalmente in questione le false certezze dell’io, il protagonista principale del racconto moderno, e renderlo estraneo ed infine ignoto persino a se stesso.
All’incrocio di queste due direzioni di ricerca grandeggia la figura, cresciuta sempre più in importanza, di Giambattista Vico. A Vico Vitiello torna non per riabbracciare un nuovo umanesimo di stampo storicistico, ma proprio al contrario per disfarsene, grazie ai geniali sondaggi genealogici della vichiana Scienza Nuova. Sta qui, forse, il senso più profondo dell’incontro di domani, a Napoli, sede di una scuola di studi vichiani importante e ancora ricca di voci significative: come rivisitare la propria tradizione, i linguaggi della storia ma pure la storia o la preistoria del linguaggio, e come scavare di sotto ad essa, per ripensare anche il modo di fare e di stare nella città, nella polis –   luogo che l’uomo costituisce ed abita proprio grazie al linguaggio, e con il quale la filosofia ha stabilito una lunga alleanza. Ma forse è un piccolo enigma anche questo: se si tratti oggi di scioglierla o invece di rinsaldarla, una simile alleanza, e se non resti dunque che abitare sugli incerti margini della città, di Neapolis, o anche nel suo cuore ferito, dolente ma forse ancora vitale.
 
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Vitiello sarà oggi a Salerno, alle 18.30, presso la Sala Genovesi della Camera di Commercio di Salerno, per un incontro su "La crisi della politica", con Massimo Cacciari e Biagio De Giovanni, modera Massimo Adinolfi. Domani sarà invece a Napoli, alle 17.00, all’Istituto Italiano di Scienze Umane, con Massimo Cacciari, Giuseppe Cantillo, Biagio De Giovanni e Roberto Esposito, per un incontro organizzato in suo onore.
 

Il Pd torna al lavoro

Ecco come la racconta Platone: la vita associata nasce per le varie necessità degli uomini. I primi e più fondamentali bisogni sono cibo, casa, vestiti: cose così. E la divisione del lavoro è il modo migliore per farvi fronte, dal momento che nessun uomo è autosufficiente. Con la divisione del lavoro sorge anche il commercio, insieme alle altre attività necessarie allo scambio dei prodotti. Fin qui Platone non vede sorgere alcun problema. Tutti vanno d’amore e d’accordo. I problemi cominciano per lui quando gli uomini, invece di starsene contenti nei limiti di questa frugale economia del bisogno, si mettono in cerca del superfluo; quando non gli basta più il cibo, perché…
(continua su Left Wing; e non dimenticate la Summer School sul lavoro)

La danza macabra attorno a Mariarca

Non è vero che dinanzi alla morte si può soltanto tacere. È vero invece il contrario: dinanzi alla morte, dinanzi ad ogni singola morte si deve parlare, anche se la morte giunge nel più inaccettabile dei modi, nell’inabissamento di un grido di protesta estremo, inaudito e perciò scandaloso. Mariarca Terracciano Calabrese, l’infermiera di Napoli che aveva deciso di prelevare 150 milligrammi di sangue dal suo stesso corpo per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul mancato pagamento dello stipendio, non immaginava che sarebbe finita così, senza poter avere una parola con cui dare un senso al suo gesto. È svenuta, ha perso conoscenza, non si è più ripresa, è andata via. In realtà a ciascuno è preclusa per principio la possibilità di appropriarsi del senso della propria fine, ed è per questo che noi, i sopravvissuti, siamo chiamati a compiere l’esercizio più umano e più pietoso di cui siamo capaci e che ci rende, appunto, uomini: l’esercizio della parola, in memoria di chi non può più averla. Trovare il tono giusto non è facile, mantenersi, parlando, nel ritegno che è dovuto al cospetto di una vita fuggita via prima del tempo non è agevole, ed espone sempre chi parla – chi commemora, chi prega o chi impreca – al rischio di pronunciare parole inconcludenti. Peggio ancora è però quando si crede di poter conchiudere la vita e la morte di una persona in parole che attribuiscano a quella vita e a quella morte il senso che si vuole che abbia, in base non alla preoccupazione desolata per chi muore, ma all’interesse arcigno di chi vive. Peggio ancora è quando ci si sente in dovere di rilasciare, comunque, dichiarazioni. Spaventati dal pensiero che la morte di Mariarca possa essere loro imputata, i nostri politici si esercitano infatti, che se ne accorgano o no, nell’arte dello scaricabarile, la quale, poco nobile di per sé, è in circostanze del genere addirittura ignobile. Prendono allora la parola non per scusare la propria impotenza, ma per accusare quella altrui. Non dunque per compiere quell’esercizio di consapevolezza, di sereno e insieme luttuoso apprendimento dei propri limiti, delle proprie insufficienze, delle proprie sconfitte, che è richiesto all’uomo dinanzi alla morte, ma per indicare dove siano i limiti, le insufficienze, le sconfitte altrui, essendo inteso che di proprie non ce ne sono affatto. Non che una morte tragica e improvvisa (e insensata, come tutte le morti improvvise) non chiami ognuno alle sue responsabilità. Ma il fatto è che appunto le responsabilità sono in primo luogo di tutti, senza per questo diminuirne di una sola oncia il peso su ciascuno. Sono di tutti in quanto, nella morte e nel morire che interpella la società nel suo insieme, che si rivolge inascoltata alla collettività intera, ne va del senso stesso del fare politica e del fare comunita. Qual è infatti questo senso? Molto prima di essere una questione che riguarda la malasanità, lo spreco di denaro pubblico o l’ingiustizia di certe decisioni (e «molto prima» non significa affatto che non sia il tempo anche per siffatte questioni), si tratta dell’esperienza che sempre più spesso compiamo: ormai la politica si fa sui corpi, nei corpi, coi corpi. Mariarca lo aveva detto: «Voglio dimostrare che stanno giocando sulla pelle e sulla salute di noi tutti». È un gioco che purtroppo, la politica (la politica tutta intera, non solo questa o quella sua parte) gioca sempre più spesso, con un’intensità forse fino ad oggi sconosciuta. Che si tratti di Welby, di Eluana Englaro o di Mariarca, per limitarci solo ai più eclatanti casi italiani, sono sempre i corpi esposti nudi e senza difese al mondo quelli intorno a cui sembra accendersi con maggiore virulenza la posta in gioco della politica oggi. Ma questo è anche il fallimento clamoroso della politica, alla quale è infatti consegnato il compito di costruire – sia pure faticosamente, pazientemente – il precario spazio della mediazione, della parola o della legge, proprio per evitare che i corpi si urtino rovinosamente fra di loro, o che diventino l’oggetto diretto di sempre più invasive pratiche di potere. Accade invece sempre più spesso che solo giungendo fino all’esposizione stessa del proprio corpo, alla messa in pericolo della propria vita, diventi possibile compiere un’azione di qualche significato politico: «Farsi ascoltare», come si dice, che si tratti di salire sul tetto di una fabbrica o di incatenarsi ai suoi cancelli, o infine dello scandalo di un sangue versato volontariamente, dissipato gratuitamente fino al precipizio della propria vita. Bisogna dunque saper ascoltare. Prendere la parola solo se si è capaci di ascoltare che cosa un corpo esanime può dire, invece di metterlo nel conto dei propri morti da vendicare. Spendere qualche parola in più per provare nuovamente a rappresentare le vite spezzate degli uomini e delle donne del nostro Paese, prima, molto prima che si presentino nella forma esacerbata della protesta, inutile e tragica al tempo stesso, e tragica proprio perché inutile. Se la politica torna finalmente ad addossarsi questo compito, avrà tutto il tempo e il modo di non spendere le parole vane che in circostanze come queste finisce invece purtroppo con l’usare.

Io c'ero

Atletico Madrid(Per sbaglio, ma c’ero. E siccome ero in taxi, e cercavo di raggiungere l’albergo per il mio meritato riposo, confesso che avrei visto molto bene una vittoria del Fulham)

Trasporti funebri

Enrico: – Papà, ma quando uno muore lo portano nella tomba, oppure muore proprio nella tomba? –
Io: – No, lo portano -:
Enrico: – E che lo portano a fare? -.
Io: – Eh, perché il corpo diventa come la terra -.
Enrico – E quanto si deve aspettare per andare in cielo? -.
Io: – Non lo so, nessuno lo sa -.
Enrico: – Papà, ma io mi annoio. Che ci faccio là? Allora voglio morire vecchio –

il lavoro fra mercato e democrazia

 
 
 
 
International Summer School di Filosofia e Politica
 
“Il lavoro tra mercato e democrazia”
Capaccio-Paestum (SA), 4-6 giugno 2010
 
La Fondazione Italianieuropei organizza la terza edizione dell’International Summer School di Filosofia e Politica sul tema “Il lavoro tra mercato e democrazia”, che si svolgerà aCapaccio(SA), dal 4 al 6 giugno 2010. La School, rivolta anzitutto a un pubblico qualificato di studiosi e ricercatori, vedrà la partecipazione di docenti e studiosi di fama internazionale.
Le ragioni che suggeriscono la scelta di questo tema si situano tra le esigenze dell’attualità politica e quelle della riflessione filosofica. Il tema del lavoro e più in generale della prassi comporta infatti un ripensamento del rapporto tra filosofia e politica, e per usare le parole del giovane Marx ripropone il problema del “farsi filosofia del mondo e [del] farsi mondo della filosofia”. Ma comporta anche una ricognizione delle forme di vita e di produzione contemporanee, che nel delineare scenari spesso inediti richiedono alla filosofia e all’insieme dei saperi sociali un supplemento di riflessione. E, infine, la necessità di interrogarsi intorno allo stato di salute della nostra democrazia e ai suoi rapporti con la sfera economica e del mercato, nonché a porsi un quesito di fondo sui diritti di coloro che, pur lavorando nel nostro paese, restano quasi sempre senza alcun diritto.
 
PROGRAMMA
Venerdì 4 giugno
10.00-13.00
 
 
 
15.00-17.00
 
 
 
17.30-19.30
La filosofia, il lavoro e le forme del fare
Intervengono: Carlo Sini, Laura Bazzicalupo e Salvatore Natoli
Coordina: Massimo Adinolfi
 
Sistema dei bisogni e bene comune
Intervengono: Alessandro Ferrara, Carlo Galli, Mauro Magatti
Coordina: Geminello Preterossi
 
Visita all’area archeologica di Paestum
Sabato 5 giugno
10.00-13.00
 
 
 
15.00-17.00
 
 
 
17.30-19.30
Dopo Marx: lavoro e soggettivazione politica
Intervengono: Stefano Petrucciani e Michele Ciliberto
Coordina: Davide Tarizzo
 
L’economia politica tra sapere e potere
Intervengono: Franklin Serrano e Salvatore Biasco
Coordina: Alfredo D’Attorre
 
Lavoro, cittadinanza, immigrazione
Intervengono: Renzo Guolo e Alessandra Facchi
Coordina: Luca Baccelli
Domenica 6 giugno
10.00-13.00
 
 
Tavola rotonda conclusiva
Il lavoro e la costruzione politica del mercato e della democrazia
Intervengono: Massimo D’Alema, Nigel Thrift e François Jullien
Coordinamento scientifico della School: Massimo Adinolfi e Alfredo D’Attorre.
 
 
In collaborazione con il Comune di Capaccio e con il patrocinio dell’Istituzione Poseidonia.
 
 
Modalità di iscrizione
 
Per gli studenti, i borsisti e i dottorandi sono a disposizione 50 posti con una quota di iscrizione ridotta, pari a 200 euro. È necessario in tal caso allegare al modulo di iscrizione una certificazione attestante lo status di studente.
Sono inoltre disponibili 20 borse di studio per la School, del valore di 150 euro ciascuna. Per poter partecipare all’assegnazione delle borse è necessario completare l’apposita sezione all’interno del modulo di iscrizione, allegando la documentazione richiesta. Potranno partecipare coloro i quali risulteranno già iscritti e avranno pagato la quota di iscrizione al momento della richiesta.
L’iscrizione si considererà confermata solo dopo l’avvenuto pagamento (da effettuarsi tramite bonifico bancario, conto corrente postale o carta di credito online entro il 24 maggio 2010).
 
Tutte le informazioni e il modulo di iscrizione sono disponibili sul sito www.italianieuropei.it.

Ripartenze

Left Wing è tornato. Voi potete partire da La dannazione della retorica, ma pure da tutto il resto.

Partenze

[E domani, nubi permettendo, ce ne andiamo a Madrid]:

CONGRESO INTERNACIONAL
 TEOLOGÍA Y TEONOMÍAS POLÍTICAS
Coordinadores: Félix Duque, Roberto Navarrete y Valerio Rocco
Organiza: Proyecto de Investigación: “Pensar Europa”
Departamento de Filosofía
Facultad de Filosofía y Letras
 
SALÓN DE GRADOS DE LA FACULTAD
Jueves 13 de mayo: de 12 a 14 horas
JORGE PÉREZ DE TUDELA: Apertura del Congreso
MODERA: GONZALO VELASCO
VINCENZO VITIELLO, Pensar la política tras el eclipse de la teología política
JOSÉ FRANCISCO LANCEROS, De los nombres de Cristo
 
Jueves 13 de mayo: de 16 a 20 horas
MODERA: ROBERTO NAVARRETE
GABRIEL ARANZUEQUE, Teonomías. Figuras de derecho en la antigua Grecia
VOLKER RÜHLE, Teología en tiempos sombríos
MESA REDONDA
ROBERTO NAVARRETE, LUCIANA CADAHIA, GONZALO VELASCO, VALERIO ROCCO.
 
Viernes 14 de mayo: de 10 a 14 horas
MODERA: VALERIO ROCCO
MASSIMO ADINOLFI, "Una promesa mesiánica di nuevo cuño": fin de la historia y espíritu del marxismo
FÉLIX DUQUE, Teofranquismo
ERNESTO FORCELLINO, “Sólo un dios puede salvarnos”: Habitar el mundo entre el acaecimiento y la historia