Chi si ricorda di Franco Basaglia? Nel novembre di cinquant’anni fa, l’anno di Asylums di Goffman e della Storia della follia di Foucault, il giovane psichiatra veneziano assumeva la direzione del manicomio di Gorizia. Avviando una rivoluzione: dalla riorganizzazione del personale sanitario all’abolizione delle divise per i degenti, dai permessi di uscita alla eliminazione di ogni mezzo di contenzione, Basaglia interverrà su tutti gli aspetti della vita dell’ospedale, trasformandola radicalmente. E accompagnerà questa attività con una formidabile azione comunicativa e un impegno politico inesauribile, il cui ultimo frutto sarà la legge 180 sui trattamenti sanitari obbligatori.
Due anni dopo Basaglia muore, e poco alla volta i riflettori accesi da Basaglia sulla follia si spengono. La legge 180 rimane in vigore, ma le domande sollevate da Basaglia si attutiscono e le battaglie da lui condotte si smorzano fin quasi a scomparire. Chi oggi si chiede ancora se la follia sia (soltanto) una malattia mentale? In realtà, la questione arde ancora nel braciere a fuoco lento della filosofia, ma sapere medico e organizzazione sanitaria l’hanno ormai, di fatto, accantonata. E così a ricordarsi di Basaglia finiscono con l’essere quasi soltanto i filosofi o gli psicanalisti (che medici non sono), i quali hanno dedicato un libro, alla sua esperienza: Franco Basaglia. Un laboratorio italiano, a cura di Federico Leoni (Bruno Mondadori, € 11). La psichiatria universitaria, invece, forte di solide certezze farmacologiche e di un altrettanto solido naturalismo, si tiene parecchio alla larga dall’eredità di Basaglia.
Non è però il solo paradosso. Perché se a suo tempo erano le idee di Basaglia e dell’antipsichiatria a mettere a soqquadro il rassicurante fondamento di ogni umanesimo, la possibilità cioè di tracciare senza incertezze il confine fra il sano e il malato, il normale e l’anormale, l’umano e l’inumano, oggi le distinzioni saltano più facilmente per via della convinzione che tutto l’arcano della follia stia dentro i termini medico-biologici del problema. Negare alla parola, alle pratiche sociali o al contesto territoriale qualunque presa sulla realtà della follia significa infatti ridurre drasticamente fino a negarlo del tutto l’ambito in cui l’uomo si esprime e viene compreso come un uomo, e ampliare a dismisura quello in cui viene invece compreso e spiegato a partire da ciò che umano non è (ma è biologico o chimico o neurologico).
C’è quindi un motivo teorico di stringente attualità per ricordare Basaglia, ma c’è anche una ragione pratica e politica: basti pensare all’orrore della morte di Franco Mastrogiovanni, maestro elementare, sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, costretto per quattro giorni in un letto di contenzione del reparto psichiatrico di Vallo della Lucania e, a seguito di ciò, deceduto. Il processo al personale sanitario e agli infermieri è da poco ripreso, e nell’ultima udienza il direttore sanitario dell’Ospedale di Vallo ha avuto l’ardire di affermare che “la contenzione è un sistema di terapia”. Ora, non è sufficiente per indignarsi, ed entrare nuovamente con i fari accesi da Basaglia negli ospedali?
L’Unità, 26 novembre 2011