Archivi del giorno: novembre 5, 2011

Il suo unico messaggio è: destra e sinistra pari sono

Sbaglia chi fa di Michele Santoro un guru, un profeta o un martire: lo ha detto lui ieri, e non ho difficoltà a credergli. Spero che non sbagli neanche chi ha tuttavia qualche critica da muovere: non al tipo di giornalismo che Santoro pratica, da ottimo professionista qual è, ma all’idea di libertà, di politica e di servizio pubblico in nome della quale ha avviato una rivoluzione “civile, democratica e pacifica”.

Siccome Santoro ha esordito ieri con un “argomento molto razionale”, per spiegare quale danno venga al Paese da un sistema dell’informazione non completamente libero, vorrei proporre a mia volta una critica almeno altrettanto razionale, forse persino di più. Sento però di dover prima tranquillizzare il lettore, e Santoro medesimo, visto che non perde occasione per prendersela con la stampa e con l’opposizione tutta, per via della reazione “fiacchissima”, lui dice, alla soppressione di Annozero.

Diciamo allora, chiaro e forte, che la Rai ha fatto molto male a cacciare Santoro e a rinunciare a uno dei suoi programmi di punta: su questo Santoro ha ragione da vendere. Diciamo pure che i numeri – gli ascolti televisivi, lo share, i contatti on line – danno ragione pure al nuovo “Servizio pubblico” (anche se, televisivamente parlando, c’è molto da rodare). Dopodiché però guardiamo il menu: Travaglio sui privilegi dei senatori, Valter Lavitola che gigioneggia, Vauro indignatissimo, gli sprechi della politica, Scilipoti e la compravendita dei parlamentari, la casa di Scajola, le Maserati acquistate dalla Difesa. Ospiti in studio: Mieli, Della Valle, De Magistris. (A De Magistris va la massima solidarietà per l’aggressione subita ieri per le strade di Napoli: Santoro lo invita perché faccia il politico che “scassa”, ma ora è anche l’amministratore che deve costruire, e non è semplice). Comune denominatore: il refrain su una politica tutta inadeguata, non importa se di destra o di sinistra (e invece importa, e come se importa!). Poi, certo, Scilipoti è la caricatura di se stesso, e la casa “a sua insaputa” di Scajola è al di là del bene e del male, ma l’idea che bisogna tirare una riga non fra due idee dell’Italia, due parti politiche, due sistemi di valori o due politiche economiche, bensì fra buoni e cattivi, onesti e disonesti, poveri cristi e furbi matricolati, resta purtroppo il messaggio principale, se non unico, della trasmissione.

Ed è questo che non va. Chi avesse letto Gramellini sulla Stampa mettere seriamente in discussione il diritto di voto e augurarsi la “megliocrazia”; chi avesse ascoltato Michele Salvati dire a Radio Radicale che quel che ci vorrebbe ormai è una dittatura, avrebbe trovato al fondo la stessa premessa di Santoro (e si badi: parliamo di intellettuali moderati, sinceri riformisti, persone di ottime letture!): la classe politica è così incapace e compromessa – tutta: da destra a sinistra – che possono salvarci solo gli ottimati (tipo Della Valle o Mieli?) oppure una rivoluzione: però pacifica, però civile e democratica.

Ora, in apertura Santoro ha detto due cose. La prima: a causa di un’informazione compiacente, abbiamo scoperto tardi che non stavamo affatto meglio della Germania. È il suo argomento razionale a difesa della libertà dell’informazione: non saremmo sprofondati nel baratro di una crisi finanziaria se l’informazione avesse fatto da cane da guardia. In generale è vero, è un argomento fondato. Ma ora guardiamo la trasmissione: cosa ci ha aiutato a capire della crisi? Cosa delle politiche neoliberiste degli ultimi anni o dell’attuale direttorio franco-tedesco? Nulla. E cosa ha scoperto che non sapessimo già? Nulla. Grazie al “servizio pubblico”, sappiamo che Berlusconi tocca le ragazze e presta soldi a strani imprenditori ittici: ma è così che si viene fuori dal baratro? Ed è sicuro Santoro che il Paese ci guadagna, se affonda nel ridicolo tutta la politica? Lui infatti dice così: “la politica”, come una volta si diceva “il potere” sottintendendo che, in quanto tale, è male. Ed è questo che non va, nel suo programma, perché non è vero.

Ma non è ancora il mio argomento “molto razionale”. Si tratta della seconda cosa che Santoro ha detto. Rivolgendosi ai centomila che hanno versato 10 euro, Santoro ha detto che costoro hanno acceso con il loro contributo le luci della trasmissione, e ora sanno che possono accendere quello che vogliono: Celentano, Daniele Luttazzi, Serena Dandini.

Ma è questo quello che vogliamo? È così che si esercita o si misura davvero la libertà? Si dirà: non è colpa di Santoro se deve fare la “colletta”. Giusto. Ma è una sua scelta associare alla “colletta” un’idea di libertà. Ecco, l’idea di libertà che ha Santoro somiglia all’esercizio di libertà che compiamo andando al cinema: si tratta di starsene seduti, pagare 10 euro e scegliere a quale spettacolo assistere. Nel servizio pubblico di Santoro c’è Travaglio che sul quadernetto, per far sorridere, infila pure l’allusione al Presidente della Repubblica e il pubblico dovrebbe accendere? Ma, mi perdoni il conduttore, l’idea di libertà che hanno oggi le persone che in piazza chiedono di cambiare non è questa: è molto di più. È più bella. Ed è più politica.

(L’Unità, 5 novembre 2011)