L’Italia-Panda di Marchionne

La Fiat riparte da uno spot. Per il lancio della nuova Panda,
l’azienda torinese confeziona novanta secondi sull’Italia che piace,
scatta la sua fotografia del paese e sovraimprime ad essa la nuova
utilitaria «squircle»: un po’ tonda un po’ quadrata, come se a
Marchionne fosse riuscito finalmente di quadrare il cerchio. E siccome
lui è uomo del fare, impacchetta il tutto con parole che più
pragmatiche, anzi pragmatiste, non si può: «le cose che costruiamo ci
rendono ciò che siamo». Tanto di cappello: a Torino, il pragmatismo lo
conoscono. Da lì veniva il primo filosofo pragmatista italiano,
Giovanni Vailati, che nel 1899 – proprio l’anno della nascita della
Fabbrica italiana di Automobili – lascia l’università e si trasfersce
al sud, dove prova a gettare il seme di una proposta filosofica
inedita in Italia, ma già diffusa in America. Il seme non attecchirà:
un po’ perché Vailati morirà prematuramente, un po’ perché il paese
prenderà di lì a poco ben altra piega (alla quale Agnelli, fatto
senatore, aderirà). Ma poco più di un secolo dopo, grazie alla
fabbrica torinese – oggi un po’ meno di Torino e dell’Italia, un po’
più di Detroit e dell’America – quel seme viene piantato nuovamente al
sud: negli stabilimenti di Pomigliano, dove si produce la nuova Panda.
E siccome dal punto di vista pragmatista la verità è negli effetti che
produce, vediamo pure, in omaggio a Vailati e allo slogan, lo spot che
effetto fa.
Si comincia con rumori di fabbrica e operai al lavoro. Una voce
paterna e rassicurante, un filo autoritaria ma comunque benevola,
domanda quante Italia conosciamo. Presenta quelle di maniera, l’Italia
dei talenti e dell’inventiva, dell’intramontabile genio italico, ma
poi arriva al dunque: è il momento di decidere, di rimboccarci le
maniche, ci vogliono grandi imprese industriali per tirarci fuori dai
luoghi comuni e darci ancora un futuro. Ci vuole una nuova Panda tutta
rossa, insomma, e la voce conclude: «questa è l’Italia che piace».
Ora, la domanda di schietto tono pragmatista non può non essere: che
piace a chi, di grazia? A chi deve piacere l’Italia? Nei pragmatici
anni Ottanta andava molto lo slogan «piace alla gente che piace», che
aveva almeno il pregio di dire a chi si doveva piacere. Qui, è da
presumere, non lo si può dire a chiare lettere, con la stessa forza
stereotipata dei Pulcinella, del Vesuvio e delle caffettiere che nello
spot scorrono a rappresentare il passato, perché altrimenti si sarebbe
dovuto dire: ai padroni. O almeno ai committenti. Meglio, dunque,
glissare, così che si possa intendere: ai mercati, agli investitori,
all’America. Come se per far bene le cose ed entrare nel futuro
l’Italia dovesse mollare la zavorra di un passato irredimibile, tutto
maschere e folclore e pause caffè.
Insomma: la posizione di Vailati nella cultura filosofica del ‘900 è
ancora discussa, ma la posizione che l’Italia ha nell’ideologia
pubblicitaria targata Fiat non dà adito a dubbi. La voce fuori campo
sa essere morbida e suadente, ma il pragmatismo veicolato
dell’americano Marchionne suona invece molto poco filosofico e molto,
decisamente molto, spiccio.

L’Unità, 23 gennaio 2012

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