La prima volta che accadde i partiti non c’erano ancora. C’erano però, divisi e meno solidi degli omologhi europei, gli stati regionali. I quali, incapaci di trovare un punto di equilibrio, pensarono che la cosa migliore sarebbe stata di affidarsi a un sovrano straniero. Nella persona di Carlo VIII. Che un po’ combattendo, più spesso mercanteggiando, attraversò col suo esercito la penisola, spingendosi fino a Napoli. Non ottenne gran che, anzi batté presto in ritirata, ma la sua impresa aprì un ciclo cinquantennale di guerre, dal quale l’Italia ha impiegato secoli per riprendersi.
Non siamo però così pessimisti e non esageriamo con le metafore. Se oggi si invocano i papi stranieri (con la minuscola: quello con la maiuscola pare abbia concluso le sue gaie scorribande) non è però da temere che ce ne possano venire secoli di sventure e di guerre orrende, come diceva amaramente quel gran politico di Niccolò Machiavelli. Ma serpeggia, anzi si manifesta apertamente un’analoga sfiducia nelle risorse del sistema politico nazionale. E cioè, in primo luogo, dei partiti. E come allora, così ora, c’è chi pensa di cercare il punto di equilibrio fuori dal sistema dei partiti, magari non spalancando le porte delle città, come allora, ma sbriciolando quel che resta di formazioni politiche le quali, bene o male, sono ancora la via costituzionalmente indicata per la determinazione della politica nazionale. Perché questo è il punto: chi determina la politica nazionale? O c’è qualcuno che pensa per davvero che le soluzioni sono sempre tecniche, mentre a creare problemi sono sempre i politici? Sta volgendo al termine la più sconquassata delle stagioni che l’Italia repubblicana abbia attraversato, che è stata anche quella di maggiore debolezza dei partiti politici. Come non vedere il rapporto diretto che sussiste fra l’uno e l’altro fattore? E come pensare allora di costruire la soluzione per il 2013 sulle macerie dei partiti, per fare largo al papa straniero, o al mite condottiero di turno? Non abbiamo già sperimentato abbondantemente, coi risultati che sappiamo, l’idea che la politica sia il campo in cui qualcuno, venuto da un’altra parte e dunque (solo apparentemente) non compromesso con il teatrino della politica, scenda tra ali di folla per salvare l’Italia dalla crisi, dallo sfascio o dai comunisti? Prima ancora che venisse giù il muro di Berlino e la prima repubblica, l’opinione pubblica aveva già cominciato a baloccarsi con il «partito che non c’è», quello fatto dagli uomini migliori del paese. Quando poi i partiti non ci sono stati per davvero, s’è visto chi c’è stato al posto loro. E non è stato un bel vedere
Certo, una differenza con il Papi con la maiuscola c’è, e non è una differenza di colore. Non si tratta cioè della diversa posizione nella classifica degli uomini più ricchi del paese, e neppure di una differenza di stile, come se Berlusconi avesse perso credibilità in Europa per qualche battuta di troppo sulla Merkel. È che l’uomo di Arcore si è dovuto accontentare di un ingresso laterale, da destra, nella vita politica italiana, mentre al prossimo papa straniero si vuole offrire la possibilità di entrare dal più largo portone centrale. L’intuizione di Berlusconi – che era tutta nel nome originario del suo partito, Forza Italia – quanto meglio funzionerebbe, qualcuno starà pensando, da questa nuova, più agevole posizione!
Ora, è difficile dire se dal conclave uscirà il nome di Monti, oppure quella di Passera, o ancora quello di Montezemolo (che è un pochino calato nel borsino dei papabili, ma siccome è notoriamente un uomo fortunato non ce la sentiamo di escluderlo del tutto). Quel che purtroppo è facile intravedere è il tentativo à la Carlo VIII: la croce addosso ai partiti, dipinti come gli staterelli di allora, rissosi e inconcludenti. L’impasse, le pressioni degli Stati europei e infine l’uomo che viene da fuori e scompagina i giochi. Che poi qualcuno disponibile a mercanteggiare, in città, purtroppo, lo si trova sempre. Quel che invece bisognerebbe trovare, è il modo di evitare, dopo vent’anni, di replicare ancora lo schema di Papi.
L’Unità, 22 febbraio 2012