Archivi del giorno: febbraio 22, 2012

Papi stranieri

La prima volta che accadde i partiti non c’erano ancora. C’erano però, divisi e meno solidi degli omologhi europei, gli stati regionali. I quali, incapaci di trovare un punto di equilibrio, pensarono che la cosa migliore sarebbe stata di affidarsi a un sovrano straniero. Nella persona di Carlo VIII. Che un po’ combattendo, più spesso mercanteggiando, attraversò col suo esercito la penisola, spingendosi fino a Napoli. Non ottenne gran che, anzi batté presto in ritirata, ma la sua impresa aprì un ciclo cinquantennale di guerre, dal quale l’Italia ha impiegato secoli per riprendersi.

Non siamo però così pessimisti e non esageriamo con le metafore. Se oggi si invocano i papi stranieri (con la minuscola: quello con la maiuscola pare abbia concluso le sue gaie scorribande) non è però da temere che ce ne possano venire secoli di sventure e di guerre  orrende, come diceva amaramente quel gran politico di Niccolò Machiavelli. Ma serpeggia, anzi si manifesta apertamente un’analoga sfiducia nelle risorse del sistema politico nazionale. E cioè, in primo luogo, dei partiti. E come allora, così ora, c’è chi pensa di cercare il punto di equilibrio fuori dal sistema dei partiti, magari non spalancando le porte delle città, come allora, ma sbriciolando quel che resta di formazioni politiche le quali, bene o male, sono ancora la via costituzionalmente indicata per la determinazione della politica nazionale. Perché questo è il punto: chi determina la politica nazionale? O c’è qualcuno che pensa per davvero che le soluzioni sono sempre tecniche, mentre a creare problemi sono sempre i politici? Sta volgendo al termine la più sconquassata delle stagioni che l’Italia repubblicana abbia attraversato, che è stata anche quella di maggiore debolezza dei partiti politici. Come non vedere il rapporto diretto che sussiste fra l’uno e l’altro fattore? E come pensare allora di costruire la soluzione per il 2013 sulle macerie dei partiti, per fare largo al papa straniero, o al mite condottiero di turno? Non abbiamo già sperimentato abbondantemente, coi risultati che sappiamo, l’idea che la politica sia il campo in cui qualcuno, venuto da un’altra parte e dunque (solo apparentemente) non compromesso con il teatrino della politica, scenda tra ali di folla per salvare l’Italia dalla crisi, dallo sfascio o dai comunisti? Prima ancora che venisse giù il muro di Berlino e la prima repubblica, l’opinione pubblica aveva già cominciato a baloccarsi con il «partito che non c’è», quello fatto dagli uomini migliori del paese. Quando poi i partiti non ci sono stati per davvero, s’è visto chi c’è stato al posto loro. E non è stato un bel vedere

Certo, una differenza con il Papi con la maiuscola c’è, e non è una differenza di colore. Non si tratta cioè della diversa posizione nella classifica degli uomini più ricchi del paese, e neppure di una differenza di stile, come se Berlusconi avesse perso credibilità in Europa per qualche battuta di troppo sulla Merkel. È che l’uomo di Arcore si è dovuto accontentare di un ingresso laterale, da destra, nella vita politica italiana, mentre  al prossimo papa straniero si vuole offrire la possibilità di entrare dal più largo portone centrale. L’intuizione di Berlusconi – che era tutta nel nome originario del suo partito, Forza Italia – quanto meglio funzionerebbe, qualcuno starà pensando, da questa nuova, più agevole posizione!

Ora, è difficile dire se dal conclave uscirà il nome di Monti, oppure quella di Passera, o ancora quello di Montezemolo (che è un pochino calato nel borsino dei papabili, ma siccome è notoriamente un uomo fortunato non ce la sentiamo di escluderlo del tutto). Quel che purtroppo è facile intravedere è il tentativo à la Carlo VIII: la croce addosso ai partiti, dipinti come gli staterelli di allora, rissosi e inconcludenti. L’impasse, le pressioni degli Stati europei e infine l’uomo che viene da fuori e scompagina i giochi. Che poi qualcuno disponibile a mercanteggiare, in città, purtroppo, lo si trova sempre. Quel che invece bisognerebbe trovare, è il modo di evitare, dopo vent’anni, di replicare ancora lo schema di Papi.

L’Unità, 22 febbraio 2012

Strauss-Kahn in cella, la solitudine di un satiro

«Tutta l’infelicità dell’uomo – diceva quel gran moralista di Blaise Pascal – deriva dalla sua incapacità di starsene da solo in una stanza». Se poi la stanza è una stanza d’albergo, la cosa si fa più difficile. E se quell’uomo è Dominique Strauss Kahn, essa diventa, a quanto pare, impossibile. C’è bisogno di qualche allegra compagnia. Così, dopo la disavventura newyorkese, nella quale l’allora direttore del Fondo Monetario Internazionale fu coinvolto dalle denunce di una cameriera del Sofitel, che lo accusò di averla stuprata, è ora la volta di un’altra stanza e di un altro albergo, il Carlton di Lille, dove pare si organizzassero serate allietate dalla compagnia di prostitute di alto bordo. Come nello scandalo americano, così in questo nuovo episodio in patria il profilo penale della vicenda è tutt’altro che chiaro. Ma colpisce la frequenza con cui quest’uomo di una certa età e di molto potere si trova coinvolto in sordide vicende a sfondo sessuale.

Nel leggere queste cronache e nel domandarsi che cosa possa spingere un uomo così influente a mettersi nelle mani di (e a mettere le mani su) donne a pagamento, rovinando la reputazione e la carriera, all’opinione pubblica francese non può non venire in mente l’opuscolo scritto, negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione, dal divin Marchese. Il cui titolo recita: «Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani». Luigi XVI lo avete ghigliottinato, ragionava con cinismo il Marchese de Sade, ma per essere veramente democratici c’è altro da fare. C’è da garantire per legge ad ogni cittadino il diritto di vedere soddisfatte le proprie voglie. Per questo il Marchese apparecchiava un discorso del genere: le autorità provvedano ad intimare alle donne, specie quelle oneste, di prostituirsi e, se occorre, le consegnino agli uomini e le mettano nella loro assoluta disponibilità, in modo che possano soddisfare, con altrettanta umiltà che sottomissione, tutti i capricci che agli uomini piace di togliersi.

Quel che né la legge repubblicana né alcun altra legge dopo di allora ha mai imposto, può comunque essere ottenuto. Col denaro. E non sono poche le circostanze in cui gli uomini mostrano di trovare non semplicemente compagnia, ma un piacere tutto particolare nei favori di una prostituta. La spiegazione sta in quell’innegabile fenomeno, che consiste nel cercare il piacere nella sottomissione. È chiaro infatti che col denaro, speso non per corrompere le virtù altrui ma solo per godere dei servigi di una professionista del sesso, l’uomo non desidera la donna per quel che essa è, ma per la forma di dominio che esercita su di lei.

Si dimostra così la stretta parentela fra sesso e potere. E l’imprecisione del detto che «comandare è meglio che fottere», il quale trascura il fatto che fottere può essere e spesso vuole essere una forma di comando, oppure l’esercizio del comando con altri mezzi. Una forma di comando schietta, assoluta, sbrigativa, del tutto priva di senso o di parole.

Proprio quello che in regime democratico né Strauss Kahn né nessun altro può più vantare. Perché in democrazia, dove ai re per diritto divino è stata tagliata la testa, il potere deve essere legittimato tramite il lento esercizio della parola. Non a caso i parlamenti si chiamano così: perché lì i nostri rappresentanti parlamentano, cioè si parlano, e solo dopo possono assumere la decisione ed esercitare il loro potere. La forma pura di potere, il piacere malvagio di disporre assolutamente del corpo altrui, è quindi negata per principio, ed è per questo che l’uomo ha finito col cercarlo in altre forme, in grado di compensare la perdita di un potere secolare, smarritosi nelle faticose lungaggini parlamentari, che stanno alla decisione politica un po’ come i preliminari stanno all’atto sessuale.

Dominique Strauss-Kahn, dunque, non lo sa, ma al di là delle sue inclinazioni personali, delle sue debolezze senili (o di misteriosi complotti a suo danno: non si sa mai), quel che sta vivendo, nella solitudine di un satiro a cui la fortuna presenta il conto, è, in una prospettiva non esistenziale ma storico-politica, lo sforzo secolare della democrazia (evidentemente non ancora compiuto) di mettere uomini e donne gli uni di fronte agli altri in un dialogo tra pari, quello da cui a volte gli uomini rifuggono cercando facili compagnie in una camera d’albergo.

Il Mattino,22 febbraio 2012