“I monti supera,/ divora i piani;/ sorvola i baratri;/ poi si nasconde/ per antri incogniti/ per vie profonde”. Se non è la descrizione del corridoio che deve attraversare la Val di Susa, poco ci manca. E forse non scalderà i cuori sapere che la celebrazione del “bello e orribile/mostro che si sferra”, cioè del treno, si deve a Giosuè Carducci: i suoi quinari sdruccioli e piani sono molto lontani dalla nostra sensibilità, e tutto l’armamentario retorico della sua poesia ci riesce fastidioso. E poi nessuno ha voglia di tornare sui banchi di scuola.
Ma se si bada al titolo del componimento le cose cambiano. E fanno riflettere. I versi si trovano infatti nell’Inno a Satana. Carducci ha le idee molto chiare (anche se, per la verità, un poco giacobine). E cioè: gli sbuffi della locomotiva sono il progresso, e l’oscurantismo e la reazione non lo fermeranno.
Mai avrebbe potuto pensare, il furente poeta, che a distanza di un secolo e mezzo qualcuno avrebbe provato ancora a rallentare “Satana il grande”, che passa “di loco in loco/ su l’infrenabile/ carro del foco”. Tantomeno avrebbe potuto immaginare che a farlo sarebbe stato non qualche pontefice reazionario – come quel Gregorio XVI che considerava la ferrovia strumento del demonio – ma, insieme ai valligiani, i seguaci di un crogiuolo di idee arrabbiate, radicali e antagoniste, lui che pensava che quel genere di idee poteva arrivare solo dove sarebbe arrivato un giorno il fischio turbinoso del treno.
Perché treno voleva dire progresso, e quelli erano tempi in cui il progresso, il movimento e la ferrovia stavano indubbiamente a sinistra, mentre a destra stavano l’immobilismo, la reazione e le carrozze dei signori.
Certo, all’indomani dell’unità d’Italia (Carducci scrive nel 1863) c’era un paese intero da costruire, un’intera rete ferroviaria da posare, ma anche oggi l’Italia sconta un pesante deficit infrastrutturale, e poi è sempre più chiaro che nelle lotte condotte per difendere la Valle dall’aggressione dei cantieri c’è ormai qualcosa di più di una diversa idea di salvaguardia del territorio. Le motivazioni ambientali, quelle sociali, quelle economiche, non sono secondarie; e può darsi anche che non si sia fatto abbastanza per confutarle. Ma la lotta non sarebbe diventata un catalizzatore dell’antagonismo delle più varie marche, e la stessa espressione No Tav non avrebbe preso il valore di una sigla di opposizione al “sistema” in quanto tale, se non avesse agito in queste rivendicazioni una potente miscela ideologica, in cui si trovano ambientalismi di diversa ispirazione e idee romantiche e terzomondialiste sulla decrescita insieme a furori anticapitalistici e rinnovate analisi di classe (oltre a un pizzico di giustizialismo e di risentimento verso “i politici”: un articolo che tira sempre). Un po’ di verde ma anche molto rosso, insomma, però in una composizione che taglia fuori uno dei vettori principali intorno a cui si è costruita l’identità otto-novecentesca delle forze di sinistra: il progresso, appunto.
Ed è indicativo che la cosa accade proprio mentre, a livello europeo, dovendosi mettere le diverse famiglie dei socialisti insieme con i nostrani democratici, si sia cercato nella parola “progressista” il denominatore comune per costruire una nuova piattaforma di idee. Forse non è un fenomeno del tutto nuovo. Abbastanza inedita, però, e alquanto pericolosa (almeno per le proporzioni che può assumere), è la saldatura fra le battaglie one issue, cioè su un elemento specifico di protesta, e gli orizzonti generali della lotta antagonista. Coltivarne una per farne esplodere cento, si potrebbe dire parafrasando un po’.
Naturalmente, si potrà sempre sostenere che non è affatto progresso affiancare una linea ferroviaria ad un’altra già esistente, oppure sprecare soldi per opere faraoniche ma inutili. Si potrà sempre considerare scandaloso l’impatto ambientale e eccessivi i rischi per la salute e la qualità della vita. Ma è sempre più evidente che non è in termini di un’analisi costi/benefici che si discute (e risolve) la faccenda, anche perché non si saprebbe proprio dire quali sarebbero i benefici che giustificherebbero l’opera, agli occhi di molti dei contrari irremovibili.
Così si prova a frenare il treno. Satana non sta più sul locomotore ma si è messo di traverso sui binari. Prima era, superbo e orgoglioso, la Ragione; adesso non meno altezzoso, di ragioni non vuole sentirne più.
Il Mattino, 3 marzo 2012